Intervista all'urbanista Giorgio Ferraresi

Milano, il non luogo dell'economia

La città da bere e quella da costruire, l'industria e i servizi, la produzione e la finanza: i cambiamenti della «capitale del capitale» da Craxi a Berlusconi.

«Silvio e Paolo Berlusconi, Salvatore Ligresti e altri personaggi di questo genere sono figli della mutazione antropologica e genetica che ha cambiato il volto di Milano negli anni '70 e '80. Me li ricordo ancora quando circolavano nelle stanze del Comune di Milano per combinare i loro affari. In quegli anni la Milano di Bettino Craxi, genio della politica, generò parecchi mostri politici e culturali. Uno di questi è proprio il berlusconismo». Giorgio Ferraresi ha 66 anni. E' professore ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano e si occupa da sempre dell'ex capitale del Capitale. La sua non è soltanto una conoscenza accademica: a cavallo tra gli anni '70 e gli anni '80, quando si sviluppa il craxismo e l'attuale presidente del consiglio inizia la sua irresistibile carriera di imprenditore tra affari oscuri e amicizie sospette, Ferraresi è uno dei tanti funzionari del Comune di Milano e appartiene a quel gruppo di tecnici che dà vita all'ultimo piano regolatore milanese, quello datato 1976-80. Nell'83 al culmine dell'occupazione craxiana, (data che tra l'altro coincide con la nascita del primo governo Craxi), Ferraresi lascia il Comune di Milano e inizia la carriera accademica. Da Allora si occupa da vicino del declino e delle grandi trasformazioni di Milano

Quando inizia il declino di Milano?

Io ho in mente una data simbolo: il 1973, anno in cui la popolazione inizia a diminuire sensibilmente. Da allora perde un quarto dei suoi abitanti, qualcosa come 450.000 persone. L'espulsione tocca in primo luogo i ceti produttivi e questo dato sarà alla base delle trasformazioni successive. Non si tratta soltanto di dati statistici: negli anni '70 scrissi un libro su Milano dal titolo: «La residenza operaia». Oggi non lo potrei più scrivere perché la prima espulsione, il primo `svuotamento' della città toccò proprio gli operai e i ceti popolari, prima spinti verso la periferia poi fuori dalla città. E' in questi anni che inizia l'allontanamento delle fabbriche dalla metropoli. Tenga conto che con l'espulsione dei ceti popolari la tradizionale borghesia industriale lombarda perde peso e potere , ponendo le premesse per la sua sconfitta e consentendo così la nascita degli attuali gruppi dominanti. Milano, a differenza ad esempio di Torino, è sempre stata una città complessa, dove si intrecciavano grandi e piccole industrie, artigianato, finanza e terziario. Una città pluriclassista, di popolo più che operaia in senso proprio. In quegli anni, tuttavia, Milano ha cominciato a perdere la sua complessità. Il piano regolatore 1976-80 esprimeva la consapevolezza di questo fenomeno ma le forze di sinistra non fecero nulla per fermarlo o governarlo. Non fecero nulla per difendere la complessità di Milano, evitando ad esempio lo spopolamento di quartieri popolari come il Garibaldi. Anzi, con il passare del tempo la cultura di governo della metropoli fu egemonizzata da Bettino Craxi e dai socialisti.

E questo mi pare ci conduca agli anni '80, il decennio del capitalismo rampante e avventuriero. Il decennio che precede e prepara tangentopoli

Certo, all'inizio degli anni '80 intervengono i grandi progetti espulsivi e inizia l'era delle grandi speculazioni edilizie sull'onda della deindustrailizzazione. Non a caso il mercato immobiliare in quegli anni si rafforza come non mai: visto sotto un'altra ottica il mercato immobiliare in quegli anni rappresenta la svendita della città.

Il fenomeno, tuttavia, non mi pare che sia soltanto di carattere strutturale. Si innesta su un mutamento politico che tocca anche la sinistra.

Direi proprio di sì. Devo drammaticamente constatare che la destra di oggi ha ereditato molte cose da una certa sinistra di ieri. L'altra faccia della trasformazione è infatti la liquidazione della Milano solidale. Il craxismo ha introdotto la competizione come valore dominante e la liquidazione della solidarietà che, vorrei ricordarlo, era uno dei patrimoni culturali di Milano. Il quegli anni nasce la cultura dell'apparire. Sono gli anni in cui Silvio Berlusconi, protetto da Bettino Craxi, si rafforza come imprenditore e introduce con la fondazione di Canale 5, la cultura dei media. E' un fenomeno importante perché in quegli anni cambia la geografia del potere. Accanto e parallelo a questo fenomeno avviene l'altra grande trasformazione: il passaggio dall'economia produttiva all'economia di carta. Il tessuto morale della città era basato su un sistema di welfare che si reggeva su una struttura di municipalizzate che gestivano minuziosamente il territorio. Bettino Craxi a suo modo è stato un gigante perché ha creato un altro sistema di valori, governando le trasformazioni e il declino verso la metropoli di oggi, nelle mani di Berlusconi, del sistema bancario e degli immobiliaristi. Marco Tronchetti Provera in vbeste di imprenditore del settore immobiliare è l'erede di quella storia. Il Piccolo Teatro, monumento senza arte, è invece un po' la metafora di questa trasformazione.

In un intervento a un convegno sul declino di Milano lei parlava anche di mutazione del territorio.

Milano era l'unica città metropolitana italiana. C'era un forte rapporto centro periferia, esisteva ancora una polarizzazione diffusa. Con le trasformazioni avvenute è diventata una città talmente diffusa che si è persa. E' uscita da sè.

Anche Londra è diventata prevalentemente una città di servizi. Ma la city finanziaria di Londra, ad esempio, pesa enormemente sul prodotto interno lordo. Si può dire la stessa cosa per Milano?

Direi di no. Milano è rimasta in mezzo al guado. Come in altre parti del mondo si è trasformata da città industriale in una città di servizi ma a differenza di altre esperienze, penso proprio a Londra, non è riuscita a trasformarsi in un centro finanziario, né in un efficiente centro di servizi. Il mercato finanziario italiano è piccolo e ininfluente sul prodotto interno lordo e i servizi finanziari sono pressoché inesistenti. E' vero, è diventata la città della moda ma così facendo si è trasformata in un non luogo. Mi consenta questa immagine: oggi al posto degli abitanti abbiamo le modelle che sono equiparabili a dei passanti senza dimora. Invece sono convinto che di fronte della globalizzazione la partita si giochi sul locale. E' una partita mortale tra uso delle risorse locali e valorizzazione. Prenda il tema delle grandi opere: la filosofia che si intravede nella politica delle grandi opere proposte dal governo Berlusconi rappresenta una omologazione globalizzante rispetto alla complessità del territorio. Secondo questa filosofia la cosa importante è costruire una grande autostrada, non importa come questa attraversi il territorio. Non si tratta di discorsi da aristocrazia pacifista o ambientalista ma di un problema reale. Se Milano non diventa un nodo importante di una rete più ampia è destinata, nella sua continua espansione, a dissolversi.

Bruno Perini
Milano, 7 maggio 2004
da "Il Manifesto"