Eletto il nuovo Papa, è Joseph Ratzinger, si chiamerà Benedetto XVI

Ratzinger, il crociato della fede

Gioiscono i conservatori, si allarmano gli innovatori ed anche i cristiani protestanti e ortodossi.

Città del Vaticano - Sì, è proprio lui, Joseph Ratzinger, il nuovo papa. Un papa tedesco, dopo l'era polacca. Un papa del centro Europa, dopo quello dell'Oltrecortina. Con lui il papato resta lontano dall'Italia, ma non si lancia neppure verso il sud del mondo. Verrebbe da dire che resta in curia ma probabilmente è un giudizio troppo sommario.

Quel fumo salito a sorpresa dal comignolo della Sistina alle 17,50, poche ore dopo la fumata nera di mezzogiorno, conteneva già la notizia. Era segno che i cardinali avevano fatto presto e non avevano avuto neppure bisogno del secondo scrutinio pomeridiano. Dunque c'erano alte probabilità che i suffragi per l'ex custode della dottrina fossero cresciuti in tre successivi round e ciò fa supporre che anche il consenso iniziale, subito dopo la sua dura omelia nella messa "Pro eligendo papa", fosse tanto largo da farne un candidato autentico e non soltanto una bandiera per lo schieramento più tradizionalista. Ha festeggiato così, tre giorni dopo, il suo 78° compleanno. E subito si parla di un pontificato "di transizione", un genere però che nella storia della Chiesa non ha mai coinciso con innocui passatempi.

In piazza San Pietro, già piena di gente con lo sguardo fisso a decifrare il colore indecifrabile della fumata, le campane hanno tardato a suonare. Sono stati lunghi minuti, mentre altra folla accorreva, romani, turisti, giovani, preti, tanti preti e seminaristi, e si agitavano bandiere di molti colori, alcune arcobaleno ed altre statunitensi e vaticane. Chi si sarebbe affacciato alla loggia? Qualcuno sperava ancora in Martini, altri in Maradiaga, i più sentivano già nell'aria il nome di Ratzinger. E finalmente ecco lo scampanio del campanone a dare la conferma che il papa era stato eletto.

L'attesa però è durata ancora, in un clima festoso, quasi che ad interessare fosse soltanto il fatto che Wojtyla aveva trovato rapidamente il successore, a prescindere da chi fosse l'annunciato papa. Hanno visto giusto, almeno in questo, i porporati: dilungarsi troppo avrebbe distrutto in poco tempo l'effetto emotivo suscitato attorno alla Chiesa dalla morte di Giovanni Paolo II lasciando il posto alla delusione. Finché la finestra, contornata dai drappi, non si è aperta e il protodiacono Arturo Medina Estevez ha annunciato l'Habemus papam, facendolo precedere da un "fratelli e sorelle" in italiano, spagnolo, francese, tedesco e inglese. Un sussulto già al suono della lingua germanica. E poi il nome di battesimo, Joseph, e quello acquisito, Benedetto XVI.

Rivediamo la scena. Quando Ratzinger appare alla loggia sulla marea di folla, sorride. Non è il sorriso fortemente comunicativo di Wojtyla, nulla in questo suo primo presentarsi al mondo da pontefice rivela una vaga intenzione di imitarlo. E' però un sorriso insolito, non ironico, gioioso. Stringe le mani, allarga appena le braccia, le alza, quasi fosse un gesto di vittoria, guarda lontano, in fondo alla piazza. Poi parla: «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore della vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà e Maria starà dalla nostra parte». Nessuna battuta, tranne un grazie finale, nessun atto di particolare suggestione mediatica. Giovanni Paolo II, citato come grande, ma non come «il grande», né come santo. Un messaggio c'è, eccome. Innanzi tutto nel nome che ha scelto per il suo pontificato, una decisione che ha un duplice significato: non rimanda ad un papa antimoderno ma al pontefice che contrastò inutilmente «l'inutile strage» del primo conflitto mondiale. Al contempo, però, il nuovo papa tedesco salta d'un colpo ai primi del Novecento, interrompendo la serie dei Giovanni e dei Paolo. E' come se papa Ratzinger volesse mettere tra parentesi la difficile storia, tra aneliti di rinnovamento e normalizzazione, che è seguita al Concilio Vaticano II. Lui, che fu protagonista di quel grande evento nella storia della Chiesa e poi nemico aspro di tutte le interpretazioni più avanzate. D'altra parte avrebbe mai potuto chiamarsi Giovanni Paolo III, dopo un pontificato così forte e lungo, e soprattutto dopo averne incarnato gli atti fondamentali dal punto di vista della dottrina? La continuità è implicita ma le prime mosse preannunciano anche rotture, e non solo di stile. Il nuovo papa si affaccia dalla loggia sopra un drappo su cui spicca ancora la M mariana dello stemma di Wojtyla e alla Madonna dedica l'ultima invocazione del breve discorso. Quel suo primo riferimento agli operai della vigna del Signore piace particolarmente al clero che ieri lo applaudiva in piazza. Ai loro orecchi suona come un riscatto. Ai cardinali di Curia, invece, erano giunti graditi alcuni passi dell'omelia pre-Conclave di Ratzinger. Certamente molti di loro lo hanno votato e non è difficile immaginare che alcuni italiani che, come Re o Sepe, potevano ambire alla Segreteria di stato solo con un papa straniero, alla fin fine non devono essersi strappate le vesti per l'elezione dell'ex prefetto.

Altro messaggio interessante. Benedetto XVI è stato appena eletto e già Navarro annuncia che alla sera cenerà con i cardinali e dormirà nella Domus Santa Marta, dove gli elettori hanno alloggiato per due notti - un evidente omaggio al sacro Collegio - e stamattina celebrerà la messa con loro nella cappella Sistina pronunciando l'omelia in latino. Nessuna riforma liturgica vieta l'uso dell'antica lingua, benché perfino i "principi della Chiesa" spesso non vadano d'accordo con la consecutio temporum e con il latino parlato. Per anni tuttavia, il latino è stato il simbolo che i tradizionalisti nostalgici opponevano alla modernità introdotta dal Concilio. Un segno?

Gioiscono i conservatori, si allarmano gli innovatori ed anche i cristiani protestanti e ortodossi. Che fine farà il dialogo ecumenico con una Chiesa cattolica nelle mani dell'autore della "Dominus Jesus"? Per tutti loro questa non è una notizia rassicurante. E che cosa raccontare ai vescovi di tutto il mondo costretti a lasciare la guida della loro diocesi a 75 anni se è stato eletto Vescovo di Roma un cardinale di 78? Porterà nella Chiesa l'assillo di quel pessimismo radicale verso la società contemporanea scristianizzata, così prepotente nei suoi ultimi discorsi? Sarà davvero pronto a sferrare l'attacco a quella che gli appare «una dittatura del relativismo» anche avallando scelte equivoche sul piano politico e internazionale? E sarà questa preoccupazione per il disastro della civiltà europea a guidarlo nel rapporto con il mondo islamico?

Benedetto XVI si annuncia come un pontefice molto rivolto all'interno della Chiesa, desideroso di "sistemare" le cose di casa dopo la bufera provocata dalle migliori profezie di Wojtyla. Ma non potrà sottrarsi all'esigenza di qualche modifica nel governo ecclesiale, emersa con forza nell'ultimo periodo di pontifcato. Sembrava che i cardinali latino-americani fossero pronti a fare blocco per contrastare una candidatura italiana nel caso che i porporati nostrani avessero riportato le loro divisioni in Conclave. E' da supporre che anche molti cardinali dell'America Latina e dell'Africa abbiano votato per Ratzinger. Dovrà dunque tenerne conto. Ha una lunga storia di ripensamenti dal riformismo all'identità in senso tradizionalista. E' però uomo colto e intelligente. Staremo a vedere. Domenica prossima in San Pietro la cerimonia d'investitura.

Fulvio Fania
Roma, 20 aprile 2005
da "Liberazione"