Casa, proposte di legge nelle regioni. Il ligure Nesci: «Continuiamo a tenere la gente negli alberghi?». Bertinotti: «Emergenza drammatica».

Requisire per soli diciotto mesi la terza casa sfitta. Dov’è lo scandalo?

Dopo Roma, anche in Liguria, Lombardia e Veneto si studia una proposta di legge regionale contro l’emergenza abitativa. Al proprietario garantito l’80 per cento dell’affitto e la totale esenzione dall’Ici. Intanto il governo fa sparire la proroga sugli sfratti: non ci sono i soldi

Occupazione di via Palmieri a Milano, settembre 2002.

Photo by Rebellioninfo

Requisire case sfitte per darle agli sfrattati? Buona idea, dice Rifondazione. E l’idea piace così tanto che dopo il Prc ligure anche il Prc lombardo di Luciano Muhlbauer pensa di farne una legge regionale.

Non si tratta di un fenomeno isolato. Pietrangelo Pettenò, unico consigliere di Rifondazione in Veneto, rivela che a giorni il partito chiamerà le altre forze politiche venete ad appoggiare le requisizioni. Certo, sarà dura in una regione dove il vicesindaco di Treviso, Giancarlo Gentilini, si augura che in un quartiere della città recentemente ristrutturato vada ad abitare solo «gente della razza Piave». Pettenò non si scompone: «Siamo consci che la Lega, Forza Italia e An non ne saranno entusiaste, ma spero almeno nell’appoggio dei Ds». Dice quell’ “almeno” perché il presidente della Liguria Burlando - della Quercia - non crede nella bontà delle requisizioni, e punta su un’altra ricetta: «Sul fronte privato si può pensare a nuove norme per incentivare i proprietari ad affittare, agendo sulla leva fiscale, perché è vero che esiste uno spreco abitativo».

Bertinotti da parte sua non vuole sentire parlare di espropri, com’era nel titolo del Giornale di ieri ( «in campo sociale bisogna essere precisi», rimarca), e insiste sul carattere emergenziale: «L’emergenza della casa esiste e in alcuni casi è drammatica. Per fronteggiarla si possono avanzare delle proposte, o no?».

Tutto parte dall’esperienza del presidente del X municipio di Roma, Sandro Medici, che il settembre scorso diede l’ordine di aprire le porte di una quindicina di appartamenti sfitti da anni per darli ad altrettante famiglie romane disagiate e sotto sfratto esecutivo.

Indagato per abuso d’ufficio, la settimana scorsa il Tar del Lazio gli ha dato ragione: requisire è legale se lo si fa per dare casa a famiglie sul marciapiede.

Così Marco Nesci, capogruppo di Rifondazione alla regione Liguria, e il segretario regionale Giacomo Conti nei giorni scorsi hanno lanciato una proposta di legge, la prima in Italia di questo tipo: un Comune ad alta densità abitativa può requisire la terza casa di proprietà, se sfitta da almeno un anno, e farci entrare una famiglia già in graduatoria per le case popolari. La famiglia beneficiaria dovrà pagare un canone sociale: l’80% al proprietario dell’immobile - che nel frattempo non pagherà l’Ici - e il 20% ad un fondo di edilizia popolare. La misura è temporanea: 18 mesi rinnovabili, dopodiché il legittimo proprietario può riavere l’alloggio, sicuro che per i dieci anni seguenti non subirà altre requisizioni.

E ieri il consigliere regionale lombardo Luciano Muhlbauer ha presentato un documento - fotocopia di quello ligure in regione, con un occhio di riguardo per «le persone sottoposte a sfratto esecutivo e alle giovani coppie». Nelle grandi città lombarde, spiega Muhlbauer, l’emergenza casa è di giorno in giorno più drammatica e la politica regionale di edilizia residenziale pubblica, continua, «è assolutamente inadeguata». A Milano, avverte, nei prossimi dieci anni ci sarà bisogno di 100-140mila alloggi, quando la percentuale di case sfitte è dell’8%, «assolutamente superiore alla media delle grandi città europee». Senza contare che nel capoluogo lombardo sono in arrivo 10mila nuovi sfratti.

I dati statistici a livello nazionale gli danno ragione: secondo il rapporto Eurispes 2006 nel 1984 furono 34mila gli alloggi costruiti con sovvenzioni pubbliche, mentre nel 2004 si è scesi a 2mila. I finanziamenti statali alle regioni per le case popolari sono sprofondati dall’1, 5 miliardi di euro del 2002 agli 808 milioni del 2004. Impietoso il confronto con altri Paesi Ue: in materia di sussidi governativi per la casa, la Francia destina quasi il 2% del Pil, la Germania lo 0, 20% e l’Italia lo 0, 07%. Un’inezia. Parallelamente i canoni di affitto sono cresciuti del 49% a livello nazionale, ma dell’85% nelle grandi città: il canone medio a Milano ormai viaggia sui 1650 euro, a Roma sui 1440. Secondo l’Istat un quarto degli italiani è povero o rischia l’indigenza, e il 58% ammette di non riuscire ad arrivare a fine mese. «Salari bassi, precarietà del lavoro, difficoltà crescenti sempre più tese ad emarginare molti soggetti», scrive Muhlbauer nella relazione che accompagna la pdl, «determinano la condizione di accesso ad un alloggio».

L’Unione Inquilini, a fianco di Sandro Medici all’epoca delle requisizioni lo scorso autunno, ora si mostra scettica. Dice il suo portavoce, Massimo Pasquini: «La requisizione è l’extrema ratio. E in Italia ormai non siamo di fronte all’emergenza. Qui si tratta di un problema strutturale. E poi non si possono mettere i numeri: dopo la terza casa sfitta e così via, potrebbero venire interpretati male e seminare zizzania nell’Unione». In che senso? «Dico che va bene come ha agito Medici, ma...». Vuole dire che è meglio concentrarsi su altre politiche abitative? «Sì, come ad esempio l’abolizione del libero mercato degli affitti, che abbasserebbe i canoni del 30-40%. Nei prossimi anni avremo bisogno di 500mila nuovi alloggi». Da costruire? «Da costruire, da acquistare, da recuperare». Pasquini sottolinea anche le difficoltà di chi appartiene al cosiddetto ceto medio: ha un reddito troppo alto per accedere alle graduatorie per gli alloggi popolari, e troppo basso per pagare un affitto nel libero mercato. Il 70% degli sfrattati, sono i dati di Unione Inquilini, lo è per morosità. La soluzione? «Requisire le case di chi subisce uno sfratto, così può rimanere dov’è». A prescindere dalla graduatoria.

I consiglieri regionali di Rifondazione non si lasciano intimorire dalle critiche. Specialmente da quelle provenienti dal centro-sinistra. Il ligure Nesci risponde al presidente della Ligure Burlando: la regione deve lasciare ai Comuni la possibilità di requisire quando ce ne sia il bisogno. Esattamente come è già nei pensieri del prefetto di Roma Achille Serra, aggiunge poi. «Nel frattempo che facciamo? Continuiamo a tenere in albergo gli sfrattati?». Nemmeno il veneto Pettenò è convinto che costruire nuovi alloggi sia parte della soluzione: «Il numero di alloggi sfitti è enorme, specialmente a Venezia».

E poi c’è il giallo del decreto che proroga gli sfratti di sei mesi. E’ scomparso nel nulla. Approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 gennaio scorso, non è ancora stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e quindi non è entrato in vigore. Un mistero. La Costituzione affida ai decreti del governo un carattere di urgenza. Secondo la neonata Rosso di Sera, velina quotidiana della Sinistra Europea, il problema sta nella copertura. Che mancherebbe, visto che Baccini e Alemanno, candidati sindaco a Roma, hanno voluto allargare la lista dei beneficiari a scopi elettorali.

Il decreto proroga lo sfratto solo a Roma e Milano, e si rivolge esclusivamente alle famiglie con particolari difficoltà: minori, portatori di handicap, anziani. Insomma, un decreto che solleverebbe 30mila famiglie su 200mila sotto sfratto. Se solo comparisse sulla Gazzetta Ufficiale.


L’ultimo sindaco che requisì appartamenti privati per assegnarli a famiglie sfrattate fu Giorgio La Pira, quarant’anni fa a Firenze.

L’ultimo sindaco che requisì appartamenti privati per assegnarli a famiglie sfrattate fu Giorgio La Pira, quarant’anni fa a Firenze. E’ stato beatificato: non principalmente per questa ragione, ma per altrettante benefiche iniziative. Ebbene, quel vistoso episodio di risarcimento sociale è stato presto classificato nella categoria dei “miracoli” e con il tempo è definitivamente scivolato nella mitologia popolare, fino a ritrovarsi nel polveroso scatolone dell’archeologia politica del secolo scorso.

Succede ora che da più parti, da diverse città si torni a evocare il ricorso alle requisizioni, non ricevendo tuttavia lo stesso benevolo riconoscimento spirituale di La Pira. Anzi.

Eppure, siamo di fronte a una misura che contiene più d’una ragionevolezza. Da una parte, si assiste a un crescente disagio abitativo, con un numero impressionante di senzacasa vecchi e nuovi… Dall’altra, si stratifica un’altrettanto impressionante numero di appartamenti vuoti e inutilizzati. E il rapporto tra i due fenomeni è all’incirca di uno a dieci. A ogni singolo bisogno di alloggio corrisponde una disponibilità immobiliare dieci volte superiore. E allora perché non si perfeziona quel consueto rapporto economico di incontro tra domanda e offerta tanto cara al sistema capitalistico? E’ qui che interviene la scelta di requisire temporaneamente case non utilizzate per assegnarle a chi ha bisogno di utilizzarle, dietro il pagamento di un regolare canone di affitto. Un sano intervento pubblico che serve a ripristinare una contrattualità privata inceppata. A vantaggio, peraltro, della proprietà immobiliare e in generale della dinamica di mercato, che finalmente ritrova la possibilità di rimettersi in moto. La recente sentenza del Tar del Lazio, che ha respinto il ricorso di una società romana a cui erano stati requisiti 15 appartamenti nel quartiere di Cinecittà, proprio con questi argomenti ha motivato la propria decisione.

Cosa c’è di scandaloso e allarmante? Dov’è il pericolo di esproprio proletario? Si preferisce sostenere che è giusto mandare la gente a dormire sotto i portici o in riva a un fiume, lasciando liberi i proprietari di case di tenere sfitti e vuoti i propri palazzi?

Di certo il patrimonio immobiliare inutilizzato una funzione “economica” la detiene: quella di esasperare allo spasimo il mercato, producendo un aumento socialmente insostenibile dei prezzi e degli affitti degli appartamenti. Intanto perché sottrae l’offerta alla domanda; poi perché induce nuove edificazioni con conseguente consumo di territorio; infine perché produce rendita finanziaria di per sé grazie al solo scorrere del tempo. Tutto questo nel secolo scorso l’avremmo definito parassitismo: siamo inclini a definirlo così anche oggi.

La requisizione non è la soluzione al problema abitativo. E’ una misura estrema, disperata, per rispondere a una emergenza sociale acutissima, dolorosa. Ma è tuttavia necessario che le amministrazioni locali possano utilizzarla. Se non altro perché dimostra che risolvere il problema abitativo in modo equo e sostenibile si può. Almeno in attesa di politiche più strutturali, di programmi e strategie (con annessi investimenti pubblici) di più ampio raggio.

Laura Eduati, Sandro Medici
Roma, 2 febbraio 2006
da "Liberazione"