Volantino per la manifestazione del 18 febbraio 2006 - Como.
Il sistema neoliberista, dominante nell’occidente industrializzato,
assorbe in sé capitali e risorse sottratte indebitamente al resto del mondo.
Ciò provoca squilibri economici e sociali che hanno portato ad un aumento del flusso migratorio.
La globalizzazione è una diretta conseguenza di queste pratiche politico-economiche; nata
come particolare paradigma sociale, è causa della costruzione di una società che emargina
e contemporaneamente sfrutta i migranti, considerandoli semplice manovalanza a basso costo anziché preziosi
portatori di configurazioni culturali differenti.
La conseguente situazione di squilibrio socio-economico, causato da queste politiche discriminatorie, è inoltre
legittimata ed alimentata da un sistema burocratico statale etnocentrista, che nega il diritto universale
della libera circolazione degli individui, avvallato dall’a-scientificità del concetto
di “straniero”.
La burocratizzazione dei diritti è una diretta conseguenza degli interessi della classe dominante;
tali interessi sono convogliati in qualità di flusso informazionale all’interno dei
media che a loro volta trasmettono alla massa, in modalità rigorosamente di fruizione passiva,
gli stereotipi dei modelli culturali della classe assoggettata.
Gli stereotipi, ormai entrati a far parte dell’humus conoscitivo populista, si trasformano “magicamente” in
seggi elettorali per le formazioni politiche xenofobe della classe dominante.
Queste dinamiche hanno fatto si che la percezione del conflitto traslasse dalle classi sociali alle “classi
culturali”, spostando la tensione da scala nazionale, nell’internità del suo concetto,
a scala mondiale.
Le tesi in opposizione a questo ordine sociale, individuate come corpi estranei, vengono represse
in quanto portatrici di identità non conformate agli stereotipi globalizzati dell’ identità nazionale.
Le armi utilizzate per reprimere queste diversità si fondano sul razzismo culturale. Questo
non è nient’altro che la teorizzazione della “diversità”, che ha
come obiettivo il diffondersi di atteggiamenti discriminanti basati su costumi ed abitudini.
L’attitudine delle istituzioni è il controllo della cultura che, essendo diversa per
ogni etnia, può modificare e addirittura migliorare in maniera incontrollata quella attuale.
L’istituzionalizzare pratiche razziste significa dapprima inserire all’interno dei programmi
elettorali, punti che mirino alla radicalizzazione dell’intolleranza etnica in qualsiasi forma.
In seguito,avendo fomentato il razzismo culturale, e quindi raccolti i frutti dell’odio seminato
tra la popolazione, vengono promulgate leggi e norme che limitano le libertà fondamentali
e umiliano la dignità umana.
La paura dello straniero, alimentata dalla formalizzazione e dalla regolamentazione del razzismo culturale, diventa un pretesto per minare le basi concettuali della multietnicità, principio culturale sul quale è stata edificata “teoricamente” la convivenza tra i popoli dopo la caduta dei regimi nazi-fascisti.
L’istruzione pubblica e i messaggi propinati dai media sono responsabili della formazione
del pensiero critico della cittadinanza.
Una volta trasmessi concetti mirati alla costruzione di stereotipi e forti identità nazionali,
cancellati paradigmi culturali universali e introdotte ideologie reazionarie e oscurantiste, si va
a formare una contrapposizione accentuata e fortemente conflittuale tra culture differenti, non necessariamente
antagoniste.
L’educazione al razzismo è quindi legittimata da un pensiero che edifica sull’intolleranza
la propria ragion d’essere.
Mezzo di questo processo, tra gli altri, è il revisionismo storico che consiste in una rivisitazione
totale o parziale e alterata degli avvenimenti passati, che ha come conseguenza la creazione di ideali
incoerenti con la realtà dei fatti; questi portano ad una riabilitazione storico-politica
di idee ed ideologie non solo totalitarie, ma anche sconfitte dalla Storia.
Un esempio calzante dell’istituzionalizzazione del razzismo nella nostra città è la
chiusura della moschea di Camerlata, prodotto di una serie di minacce e denigrazioni. Questa azione è frutto
di una grande pressione perpetrata dalla Lega Nord nei confronti della giunta Comunale che, sbandierando
il concetto di legalità e privando una comunità di un luogo di aggregazione (non solo
religiosa), non fa altro che alimentare i risentimenti di questa minoranza.
La situazione è aggravata dal fatto che da parte del sindaco Bruni e della giunta comunale
non c’è alcuna intenzione di trovare una soluzione al problema.
La politica della Lega Nord è basata sull’odio e la denigrazione di tutto ciò che è estraneo
alla cultura locale. Questo atteggiamento palesemente xenofobo e intollerante è portato avanti
speculando sul piano culturale e sociale.
In primo luogo tale partito manifesta un ostinato e ipocrita etnocentrismo locale, attraverso un “cristianesimo
di facciata”, condito di non meglio definite tradizioni celtiche che rimarchino la loro superiorità rispetto
alle altre culture, e ne tesse patetiche e faziose lodi (la “laboriosità padana” contrapposta
agli “scansafatiche” meridionali; la civiltà cristiana contrapposta alla barbarie
musulmana; ecc).
In secondo luogo, del resto strettamente connesso al primo, porta avanti una delegittimazione del
concetto stesso di “status-migrante” (gli immigrati che rubano il lavoro, i cinesi che
distruggono l’economia locale…).
Tutta questa propaganda sfrutta i potenziali conflitti tra diverse identità culturali e lo
stereotipo della “paura del diverso”, solamente per interessi elettorali e individuali,
lasciandoli irrisolti o aggravati.
Il principale istigatore dello scontro tra civiltà è il vescovo Alessandro Maggiolini,
più volte paladino della “crociata” contro la minaccia islamica, sostenitore della
guerra al popolo afghano per “legittima difesa”, noto per le sue posizioni di integralismo
cattolico.
Alcune dichiarazioni:
Fondamentale è quindi evidenziare come Maggiolini, sfruttando la sua posizione di attuale
autorità religiosa locale, si faccia promulgatore di idee xenofobe, caratteristica comune
alla Lega Nord e all’estrema destra.
La comunità islamica non è l’unica minoranza ad essere discriminata.
Azione Giovani sta portando avanti una raccolta firme per espellere la comunità Rom, con la
scusa dello sfruttamento minorile; è caratteristico della destra rifiutare il dialogo con
le alterità invece che intraprendere politiche sociali di sostegno e rispettare la loro identità culturale.
Il 5 novembre 2005, in contrapposizione alla presenza in piazza di elementi neofascisti richiamati
dal corteo della Fiamma Tricolore, una cinquantina di studenti hanno contestato l’ennesimo
tentativo dell’estrema destra organizzata di inserirsi all’interno del dibattito politico
cittadino, formando spontaneamente un controcorteo.
La risposta delle istituzioni si è concretizzata in tre denunce per “manifestazione
non autorizzata” riprendendo una legge ancora vigente dal 1931,esattamente l’articolo
18 Del Regio Decreto del 18 Giugno 1931, nr 773/r.d. 6 Maggio 1940 nr 635: gli Studenti antifascisti,
per logica conseguenza, sono stati perseguiti da una legge introdotta dal regime fascista e fatta
applicare dalla D.I.G.O.S della Questura di Como.
L’esempio eclatante che ha scatenato la reazione degli studenti è stata la presentazione
in più istituti superiori della provincia di una lista,la “giovine italia”, appartenente
ad una corrente interna al partito neofascista “fiamma tricolore”.
La storia della “giovine italia”, sconosciuta ai più, è caratterizzata
da episodi di fanatismo neonazista; Base Autonoma, organizzazione paramilitare neonazista, sciolta
nel 1993 dalle forze dell’ordine, nel 2002 si riorganizza e viene inglobata dal Movimento Fiamma
Tricolore con il nome di “giovine italia”.
Nel 2006, dopo un accordo elettorale, il partito di Luca Romagnoli inizia un percorso politico di
collaborazione con la casa delle libertà; ha così inizio un processo di legittimazione
dell’estremismo neonazionalista e reazionario, coperto dal centrodestra.
Lo stesso centrodestra che sostiene la proposta d’istituire il percorso storico sulle ultime
ore del Duce e il museo del ventennio a Mezzegra.
Questo progetto è considerabile come l’ennesimo tentativo di riabilitazione del periodo
fascista: il polo storico-culturale non è altro che un tentativo di mascherare le reali intenzioni
revisionistiche e propagandistiche, se non meramente economiche, della giunta provinciale, o meglio
di alcuni suoi esponenti.
Per questo è deliberatamente ingenuo continuare a parlare di esclusione/inclusione.
Bisognerebbe tener conto dell’esistenza di potenziali attriti culturali, senza cadere nel fatalismo
politico, cercando soluzioni che valorizzino l’alterità.
Le istituzioni, che tanto professano le politiche d’integrazione, hanno la possibilità
materiale e i mezzi necessari ma non la volontà politica per ovviare ai contrasti e distendere
le crisi evitando, ad esempio, nella quotidianità, lo sfruttamento nel lavoro e la speculazione
nelle politiche abitative, riconoscendo ai migranti il diritto alla libera circolazione.
Una svolta interculturale del sistema formativo rappresenterebbe un tassello fondamentale per la
realizzazione di una società multiculturale, permettendo la trasmissione di strumenti atti
al riconoscimento delle identità culturali: tutto questo è possibile rendendo l’istruzione
libera, laica, plurale e accessibile a tutti e opponendosi con forza ad ogni forma di negazionismo
e revisionismo.
Lo spettro di una cittadinanza senza memoria come effetto del principio del progresso neoliberista, in cui lo sviluppo della società borghese passa necessariamente attraverso la distruzione dei valori di riserva,perché tutto diventa merce e assume un valore economico di scambio nel presente, in cui il ricordo e la memoria sono solo un residuo irrazionale.