Si è svolta a Milano, dal 24 al 26 novembre, la seconda edizione del convegno Erotismo Lesbico

I movimenti del desiderio. Il lesbismo come resistenza al patriarcato.

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La sessualità è un oggetto altamente mercificato, sia in senso culturale che propriamente concreto, e ancora largamente dominato dall'invadenza maschile.

La sessualità non riguarda solo l'ambito erotico ma è anche fondamento di determinati rapporti sociali. Ad esempio l'istituzione dell'eterosessualità è la base del contratto sociale sessista che ha imposto un destino materno e privato alle donne, e il mito della complementarità fra i sessi.

Il lesbismo assume in questo senso un ruolo culturale, perché denuncia il contratto sociale sessista, e può avere rilevanza politica, avanzando rivendicazioni collettive in contrasto con l'ordine tradizionalista e religioso.

Osserva Liana Borghi ideatrice del primo centro studi gay/lesbico/trans/queer italiano: «Mentre in vari paesi è materiale di studio universitario, in Italia la nostra cultura rimane un campo di nessun valore. Non le viene riconosciuto, per esempio, il ruolo che i movimenti GLTQ hanno avuto nella messa in crisi del soggetto post-moderno attraverso la critica palese della nozione di “genere”, e della costruzione delle identità e differenze all'interno dell'ordinamento eterosessuale».

La resistenza delle lesbiche a questo stato di cose si è manifestata soprattutto attraverso l'estraneità e il silenzio ma oggi sentiamo la necessità di esplicitare e di dare visibilità alla nostra esperienza, alla nostra ricerca di rapporti liberi, alla nostra opposizione alla violenza e alla banalizzazione della sessualità.

Una nuova generazione La seconda edizione del convegno Erotismo Lesbico che si è svolta a Milano dal 24 al 26 novembre 2000, organizzata dall'associazione ArciLesbica, ha raccolto intorno a questi temi circa 800 presenze, dimostrando ancora una volta che le giovani donne sensibili alla politica sono soprattutto lesbiche: una generazione che raccoglie e rilancia l'esperienza del femminismo, agendo la possibilità di pensare la soggettività femminile come soggettività individuale e collettiva.

Il lesbismo - è stato sottolineato ampiamente nella sessione dedicata agli studi di Teresa De Lauretis curata da Lidia Cirillo - «si rivela ancora una volta la forma più persistente di resistenza al patriarcato, sorretta dalla sessualità e dal desiderio e per la forza obiettiva di questo sostegno, capace di riattivare i processi di ricomposizione e di riaggregazione».

La sovversione di genere, il piacere, il rapporto tra sessismo e razzismo sono punti cardine di questa riflessione teorica. De Lauretis - fa notare Lidia Cirillo - affronta un tema intorno al quale la teoria femminista aveva girato, senza trovare il bandolo della matassa, cioè il tema della soggettività e del soggetto. «La difficoltà a mettere a fuoco l'oggetto della ricerca si è manifestata anche nell'improprietà di un linguaggio che ha fatto della differenza un paradigma politico.

Il problema teorico, che è in ultima analisi solo il riflesso di quello pratico, è nell'elaborazione di una teoria del soggetto-donna che sfugga al duplice rischio sia di replicare la dicotomia uomo-donna dei discorsi patriarcali, sia di demolire il genere con lodevoli intenti liberatori, ma con il rischio di renderlo invisibile, lasciando le donne prive della possibilità di rappresentarsi come soggetto collettivo, cioè di non poter dire noi donne».

La soluzione teorica, che è poi anche una soluzione pratica, riguarda in primo luogo il soggetto lesbico, ma può essere estesa anche alle donne eterosessuali. Se sul piano politico De Lauretis riconferma l'importanza di una comunità con le sue pratiche subculturali discorsive, critiche, artistiche, eccetera, sul piano della teoria l'idea del soggetto come prodotto dell'esperienza apre la strada a nuove e inedite possibilità di pensare la soggettività femminile, come soggettività individuale e collettiva.

In tempi in cui gli ambiti della cittadinanza attiva e della democrazia partecipata ci spingono ad una ridefinizione complessiva delle relazioni sociali e dei soggetti, il discorso sulla costruzione dei generi merita un'attenzione rivitalizzata.

Follie “scientifiche”...

Un punto di vista originale nelle giornate del convegno sull'Erotismo Lesbico lo ha proposto Nicoletta Poidimani, trattando del saggio Clitoral Corruption, di Margaret Gibson, che presenta la costruzione medica dell'omosessualità femminile in America fra il 1870 e il 1900, periodo di vasta produzione di testi medici sulla cosiddetta “inversione” femminile. Questi documenti mettevano fortemente in luce il legame tra omosessualità femminile e ipertrofia della clitoride, sovrapponendosi al nesso preesistente tra iperclitoridismo e ninfomania, prostituzione, masturbazione, disturbi mentali, povertà, criminalità e appartenenza ad una razza non bianca. «La cura a tutto ciò - ci riporta la Poidimani - era la clitoridectomia, ovvero la mutilazione genitale.

Per quanto riguarda poi le donne nere, si veniva a determinare una duplice costruzione: rappresentate in generale come ipersessuali, queste donne erano imprigionate fra una rappresentazione esotica della sessualità indomabile, e la versione omosessuale di quella sessualità selvaggia. Non ne venivano risparmiate nemmeno le donne bianche, per le quali si stabiliva una sorta di razzializzazione che includeva le classi più basse, le lesbiche, le prostitute e le donne appartenenti ad un livello più basso di civiltà». Queste teorie non si sono stratificate soltanto nella cultura americana di inizio '900.

Nel libro degli psichiatri italiani Lombroso e Ferrero su La donna delinquente, la prostituta e la donna normale (la quarta edizione è del 1923), vengono applicati i metodi della antropologia criminale alle donne, secondo la convinzione che i tratti della personalità criminale fossero determinati da tare e da anomalie somatiche. Poidimani rileva che nello studio dei comportamenti devianti i due studiosi descrivono la donna come un elemento borderline, al confine fra natura e cultura, in un equilibrio precario che essa è in grado di gestire solo adeguandosi al ruolo femminile previsto dalla società civile.

Ma c'è di peggio: tanto più essa è somaticamente prossima al modello non-europeo, e corrispondente ad un immagine di virilità, tanto più sarà predisposta al delitto. E' il fondamento della costruzione simbolica del razzismo, basata sul presupposto che l'alterità alla norma è sinonimo di inferiorità e di devianza.

... e psichiatriche

Carla Lonzi nel saggio del 1971 La donna clitoridea e la donna vaginale mette a fuoco il meccanismo freudiano di controllo della sessualità delle donne. La psicoanalisi ha perseguitato la donna clitoridea creando una sorta di ghetto dentro la stessa discriminazione tra i sessi. Una parte dell'umanità femminile che non faceva dell'uomo il centro delle proprie emozioni, è considerata «una parte malata, traumatizzata, nevrotica e frigida».

Ancora oggi, il desiderio, l'anticonformismo nei comportamenti e nelle scelte sessuali, l'autodeterminazione del corpo delle donne, confliggono con un sistema di interdizioni rispettate o violate che ci rimanda alle pratiche di potere che le lesbiche intendono spezzare.

Cristina Gramolini, Titti De Simone
Milano, 28 dicembre 2000