La Corte d'Assise di Palermo riconosce che fu
la mafia ad uccidere l'attivista di Democrazia Proletaria

Giustizia per Peppino Impastato

Ergastolo al boss Gaetano Badalamenti

Peppino Impastato è stato ucciso dalla mafia. Ieri, infatti, i giudici della seconda sezione della Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Claudio Dell'Acqua, hanno condannato all'ergastolo il boss Gaetano Badalamenti, accusato di essere stato il mandante dell'assassinio del giovane militante di Democrazia proletaria ucciso a Cinisi (Pa) il 9 maggio del 1978. Alla lettura del dispositivo, avvenuta nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone, ha assistito il fratello di Peppino, Giovanni, che si era costituito parte civile e al quale i giudici hanno assegnato una provvisionale di 100 mila euro.

Prove ignorate

Il collegamento in videoconferenza con il carcere di Fairton (Usa), dove don Tano Badalamenti sta scontando una condanna a 45 anni di carcere per traffico di stupefacenti, è rimasto invece spento. Il boss di Cinisi, infatti, aveva annunciato ieri l'altro che non avrebbe assistito alla lettura della sentenza.

«Finalmente quell'assassino paga la sua colpa». Così Felicia Bartolotta, l'anziana madre di Peppino, ha commentato la condanna all'ergastolo di Tano Badalamenti. «Non ho mai provato sentimenti di vendetta - ha aggiunto mamma Felicia - mi sono sempre limitata a invocare giustizia per la morte di mio figlio. Confesso che, dopo tanti anni di attesa, avevo perso la fiducia, dubitavo che saremmo mai arrivati a questo punto, ma ora provo tanta contentezza, provo una grande soddisfazione». Il corpo dilaniato di Peppino Impastato era stato ritrovato la notte del 9 maggio del 1978 lungo la linea ferroviaria che collega Palermo a Trapani. Nonostante le prove trovate dai compagni di Peppino subito dopo il ritrovamento del cadavere, gli inquirenti cercarono di far credere che il militante di Dp fosse rimasto ucciso nel tentativo di compiere un attentato terroristico. Adesso, dopo ventiquattro anni da quel tragico giorno, la verità giudiziaria fa finalmente piazza pulita di tutti i tentativi di depistaggio che hanno caratterizzato l'intera vicenda.

Già nel marzo del 2001, la Corte d'Assise di Palermo aveva condannato a 30 anni di reclusione il boss Vito Palazzolo, riconosciuto come uno dei mandanti dell'assassinio di Impastato. Il procedimento era stato infatti sdoppiato in quanto Palazzolo, al contrario di Badalamenti, aveva chiesto di essere processato con il rito abbreviato.

Il depistaggio

«L'impianto accusatorio è quello messo in piedi dall'Ufficio Istruzione guidato da Rocco Chinnici all'inizio degli anni '80 - aveva dichiarato la pm Franca Imbergamo subito dopo la sentenza contro Vito Palazzolo - Se non ci fossero stati i collaboratori di giustizia comunque tutto questo non sarebbe stato possibile». Per il presidente della Commissione Antimafia, Roberto Centaro (Fi), la condanna all'ergastolo del boss Gaetano Badalamenti è la dimostrazione del fondamento delle tesi portate avanti da amici e parenti di Impastato. «E' la dimostrazione che la mafia teme anche chi la colpisce nella credibilità sociale mettendola alla berlina - ha aggiunto Centaro - Impastato, infatti, non era una persona pericolosa perché capace di contrastare i traffici di Cosa nostra. Piuttosto, riusciva a risvegliare dal torpore la coscienza sociale».

Umberto Santino, presidente del Centro siciliano di documentazione "Peppino Impastato", ha dichiarato che la sentenza di condanna di Badalamenti come mandante del delitto, a poco più di un anno dalla condanna di Vito Palazzolo, costituisce un passo in avanti sulla strada della verità e della giustizia. «Subito dopo il delitto siamo riusciti a smantellare la montatura che voleva Impastato terrorista e suicida - sottolinea Santino - in seguito siamo riusciti a fare riaprire l'inchiesta, portando documenti ed elementi di prova, e solo negli ultimi anni abbiamo ottenuto la celebrazione dei processi a carico dei mafiosi incriminati dell'assassinio». Per Santino, tutto questo ritardo è dovuto al depistaggio delle indagini operato dalle forze dell'ordine e della magistratura, come ha inequivocabilmente riconosciuto la relazione della commissione Antimafia del dicembre 2000, redatta dal parlamentare di Rifondazione comunista Giovanni Russo Spena e frutto delle sollecitazioni del Centro Impastato nonché delle testimonianze dei familiari, dei compagni e dal Centro a lui intestato.

«Ora, dopo la condanna di Palazzolo e di Badalamenti, rimangono da fare altri passi - aggiunge il presidente del Centro Impastato - In base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, gli esecutori del macabro assassinio sono stati Nino Badalamenti, Francesco Di Trapani (nel frattempo deceduti) e Salvatore Palazzolo, detto Turiddu, che è ancora vivo. Non abbiamo capito perché quest'ultimo non sia stato coinvolto nel processo». Santino chiede, infine, che venga fatta giustizia anche nei confronti dei responsabili del depistaggio «in modo da far coincidere verità storica, ormai definitivamente acclarata, e verità giudiziaria».

Toni Baldi
Palermo, 12 aprile 2002
da "Liberazione"