Intervista a Gioacchino Natoli, componente del Csm

La riforma di Berlusconi ferisce la democrazia e la magistratura

All'indomani della seduta di Palazzo Madama, nel corso della quale si sarebbe dovuto dibattere sulla mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni nei confronti del sottosegretario agli Interni, Carlo Taormina, e tradottasi invece in una requisitoria contro i magistrati da parte del ministro della Giustizia, abbiamo intervistato il sostituto procuratore Gioacchino Natoli, componente del Consiglio superiore della magistratura e già pm a Palermo nel processo di primo grado contro il senatore a vita Giulio Andreotti, sul progetto di riforma della Giustizia che il governo di centrodestra si appresta a predisporre.

Dottor Natoli, come già preannunciato dal presidente del Consiglio, il governo si appresta a lanciare il cosiddetto “piano dei 100 giorni sulla giustizia”. Già ieri, il Guardasigilli Castelli ha dichiarato nell'aula del Senato di essere pronto a discutere della sottomissione del pubblico ministero all'esecutivo il che significa, in buona sostanza, procedere alla separazione delle carriere tra giudicanti e requirenti.

Sull'indicazione di un eventuale sottoposizione del pm all'esecutivo, ovviamente, non posso che essere contrario. Voglio ricordare che la conquista dell'indipendenza e dell'autonomia del pubblico ministero è stata una conquista della nostra Costituzione repubblicana, dopo ciò che era avvenuto durante il ventennio fascista in cui gli italiani avevano avuto modo di sperimentare che cosa significa avere un pubblico ministero che la mattina prende, non dico ordini, ma comunque direttive dal ministro dal quale dipende. Ministro che non potrà che indirizzarlo se non nei confronti, da un lato, dei suoi avversari politici e, dall'altro, di tutti coloro che comunque risultano distonici rispetto ad una visione della società, del mondo e dei diritti di libertà. Mi pare che su questo non ci sia molto altro da dire se non, forse con una battuta, che cinquant'anni di democrazia hanno fatto dimenticare da che cosa nasce la indipendenza e l'autonomia del pubblico ministero.

Il governo ha predisposto un disegno di legge per la modifica del sistema elettorale del Csm.

Questo disegno di legge ritorna là dove l'attuale legge, quella del 1990, era partita. La legge del '90 per combattere il fenomeno deteriore del correntismo, che è una cosa diversa dell'articolazione in correnti ideali della magistratura associata, aveva ritenuto ad esempio che il collegio unico nazionale dovesse essere abbandonato, che dovesse essere frazionato, come attualmente è, in quattro maxi collegi e che la composizione di questi maxi collegi dovesse di volta in volta essere affidata al sorteggio dei distretti che vanno a comporre i maxi collegi. Da questo punto di vista, credo che i problemi che vengono indicati nel disegno di legge non sono minimamente cambiati rispetto al problema che era presente nel 1990 e che aveva portato all'attuale legge elettorale. Il ritorno al collegio unico nazionale fa riapparire in tutta la sua gravità il fenomeno deteriore del correntismo, cioè del prevalere all'interno della magistratura di gruppi organizzati i quali, evidentemente per raggiungere dei risultati elettorali a loro favorevoli, devono in qualche modo interferire sulla libertà ed autonomia del voto dei singoli magistrati.

Nel piano predisposto dal governo, si prevede di affidare ad un apposito organo elettivo l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati.

Bisogna andare a vedere nel dettaglio in che senso si vuole organizzare una sezione disciplinare autonoma rispetto al Csm. Dico soltanto che l'esperienza di questi anni ha portato a toccare con mano che la sezione disciplinare del Csm, così come configurata fino ad oggi, è stata una delle più rigorose. Ad esempio, in tutta la stagione degli anni '80, nella quale l'Italia venne travolta dalla scoperta del piduismo, gli unici che riuscirono a fare pulizia al proprio interno sono stati i magistrati e per loro quella sezione disciplinare che oggi, non so per quale motivo, si vorrebbe modificare. Questo da un punto di vista generale. Nello specifico, ritengo che pensare ad una sezione disciplinare la quale non partecipi della vita del Csm, intendendo per vita del Csm la non possibilità di conoscere nel dettaglio e quotidianamente tutti i vari aspetti che affliggono e intersecano la vita dell'ordine giudiziario, sia una perdita secca di elementi conoscitivi per dei giudici (non dimentichiamo che la sezione disciplinare è una sezione giurisdizionale) i quali per ben decidere devono, a mio avviso, prima ben conoscere qual è il reale stato delle cose.

Il governo vorrebbe anche attenuare l'obbligatorietà dell'azione penale.

Sull'obbligatorietà dell'azione penale, a mio avviso, non si può minimamente demordere perché si tratta di uno dei fondamenti della Costituzione, cioè della realizzazione concreta del profilo dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Per quanto riguarda l'introduzione di eventuali criteri di priorità, invece, è un problema che può essere affrontato. Si tratta, intanto, di vedere chi deve stabilire i criteri di priorità e, soprattutto, evitare che essi diventino uno strumento per scegliere i reati che si preferisce perseguire. Tutto deve essere connesso ad un criterio di reale efficienza che non si può pensare che sia uguale in tutto il territorio nazionale. Perché i problemi di Palermo sono diversi da quelli di Trieste e i problemi di Napoli non sono quelli di Ancona. Mentre si può discutere, come già si discute da qualche anno, sulla possibilità di introdurre dei criteri di priorità (che non significa facoltatività dell'azione penale), bisogna stare però molto attenti nell'individuare esattamente chi stabilisce i criteri e chi risponde a chi di come i criteri sono stati utilizzati.

Qual è il quadro complessivo che si può trarre dall'insieme delle riforme sulla giustizia ipotizzate dal governo?

E' un quadro complessivo che personalmente non condivido. Perché attribuisce tutte le responsabilità alla magistratura là dove viceversa, ammesso e non concesso che la magistratura abbia delle responsabilità, ce le ha unitamente a tanti altri soggetti tra i quali il ministero della Giustizia e lo stesso Parlamento che, con la massa alluvionale di leggi che ha esitato in questi ultimi tre anni, ha messo in crisi il processo penale. Processo penale che, peraltro, ha già gravissime difficoltà strutturali per funzionare bene soprattutto in quelle regioni dove la presenza mafiosa è più invasiva.

Toni Baldi
Roma, 6 dicembre 2001
da "Liberazione"