A proposito del fatto che la svizzera ha minato il Gottardo (come le altre gallerie).
Segreto all'italiana

Possibile che anche nella pacifica Svizzera un segreto militare sia più importante di qualsiasi forma di sicurezza?
Sembra di sì se il “segreto dei fornelli” cioè delle cavità in cui si nascondono le mine per interrompere il passaggio nelle gallerie e nei ponti è stato custodito così bene.
Nel caso del San Gottardo è stata così messa a rischio l'opera dei soccorritori e forse di coloro che si trovavano in galleria nel momento in cui è scoppiato l'incendio che poteva raggiungere la zona minata.
La Svizzera deve avere imparato da noi, dalla nostra “Repubblica fondata sul segreto”.
In Italia, in base al regio decreto 1161 del 1941 firmato da Benito Mussolini e Vittorio Emanuele III ancora oggi pienamente in vigore, è da considerarsi segreto anche l'orario ferroviario perché fornisce indicazioni sui movimenti dei treni.
Siamo evidentemente dei caposcuola e il segreto è materia di esportazione.
Quando per il San Gottardo si è sparsa la voce che i soccorritori potevano correre dei rischi nessuno credeva che potesse esser vero e invece era vero, c'erano proprio le mine nascoste dall'esercito perché questo tunnel in caso di guerre potesse esser fatto saltare: dunque il segreto militare.
In Italia ogni ponte autostradale che si rispetti ha i suoi bravi fornelli perché in caso di ritirata (e purtroppo alle ritirate siamo stati abituati!) possiamo far saltare i ponti alle spalle.
E in qualche caso con le mine ci è pure andata bene. Pietro Micca con grande sprezzo della vita (un kamikaze ante-litteram) si è fatto saltare in aria nel cunicolo salvando Torino dall'invasione.
Il fatto tra il tragico e il grottesco del segreto all'italiana è che il segreto è così segreto che coloro che lo possiedono finiscono per non sapere in che cosa consista.
Così probabilmente è andata più o meno nel San Gottardo (e meno male che è finita bene: le mine non sono esplose). Coloro che custodivano il segreto probabilmente non lo conoscevano. Ma il discorso da farsi è più generale: viene simbolizzata una condizione mentale e culturale dell'apparato militare oggi come cento anni fa, anzi oggi peggio che allora, se è vero che con i decreti Corcione e D'Alema il segreto militare si estende, per ogni più risibile questione, anche a 50 anni.

Trasparenza e segreti

La legge sulla trasparenza, la legge 240/90 si è trasformata, con i “decreti applicativi” relativi alle Forze Armate e ai servizi segreti, nella legge della più oscura caligine.
Un generale ministro e un politico di sinistra si sono trovati perfettamente in sintonia. Lo status della questione si legge del resto sui cartelli stradali in vicinanza delle caserme: “Zona militare. Limite invalicabile”.
I divieti di intrusione, come “mine metaforiche”, servono a proteggere la società militare da ogni controllo civile.
L'arretratezza delle forze armate è dovuta in larga parte ai “fornelli” che chiudono ogni comunicazione tra la società civile e militare così come nel San Gottardo le mine erano pronte a chiudere il varco tra la Svizzera e l'Italia.
I nostri gladiatori segretissimi, anzi “cosmic top secret” nascondevano le armi in cunicoli segreti (ve lo ricordate il deposito di Aurisina?).
I luoghi dove le hanno nascoste erano così segreti che ad oggi ne mancano all'appello un buon numero e così scavando in qualche cimitero o sotto qualche sacrestia (le ubicazioni preferite dei gladiatori) non dovremmo meravigliarci se trovassimo delle casse piene di granate.

Armi atomiche segrete

Tempo fa abbiamo letto sui giornali che armi all'uranio venivano custodite nel deposito segretissimo delle casermette presso Bibbona, recentemente abbiamo letto che armi all'iprite erano custodite a Civitavecchia (anche se l'ordine di distruggerle risaliva al 1925) e 16 depositi Nato custodivano armi chimiche “binarie” nel nord est d'Italia.
Del resto la soglia di Gorizia è stata protetta (e forse lo è ancora oggi) da mine atomiche.
Nessun politico può controllare l'apparato militare là dove viene posta la barriera del segreto.
E così assistiamo a conseguenze più o meno umoristiche come quelle dei nostri propositi di invio di truppe in Afghanistan.
In quel “parlamento ristretto” che è diventato “Porta a Porta” abbiamo appreso che - dal momento in cui ci verrà fatta la richiesta (in carta da bollo?) - dovranno passare 60 giorni prima che siamo in grado di inviare i nostri soldati: così ora conosciamo qual è la prontezza operativa delle nostre truppe: potrebbero giungere a guerra finita.
Ma forse l'aspetto più preoccupante riguarda il “segreto” custodito dai servizi segreti. Non ci hanno insegnato proprio nulla le stragi, i “servizi paralleli”, Ustica o la “falange armata”.

Servizi ancora più segreti

E ciò mentre sembra che il governo si proponga di estendere i margini di autonomia e di copertura dei servizi segreti: evidentemente le deviazioni del passato non sono state un monito sufficiente.
Per i rappresentanti dei servizi il segreto è - come ci ricorda il generale Serravalle nel suo libro su Gladio - irrinunciabile, ma spesso è fatto di deviazioni perché la deviazione nell'orbita delle strutture occulte serve meglio “gli interessi del Paese”.
Del resto, come ci insegna Bobbio, «se il segreto appartiene all'essenza del potere la deviazione appartiene all'essenza del segreto».

Falco Accame
Roma, 28 ottobre 2001
da "Liberazione"