Lazio - Livorno, 10 aprile 2005. Insulti alle donne, manganellate e prevaricazioni per chiunque, accompagnati dal grido di “sporco comunista”, che non guasta mai.

Che succede nelle curve?

Domenica scorsa abbiamo visto da una parte uno striscione “sovversivo” che chiede giustizia per le vittime della tragedia del Moby Prince trafugato irreprensibilmente, dall’altra casuale distrazione quando passano celtiche e svastiche o viene esposto lo striscione “Roma è fascista”.

Domenica 10 Aprile duecentocinquanta tifosi del Livorno, una tifoseria storicamente comunista, quest’anno in serie A dopo più di 50 anni (era ora!) sono stati tenuti per una notte e più rinchiusi in tre anguste stanze della questura di Roma con la negazione totale dei più elementari bisogni fisiologici, senza poter mangiare, bere e andare in bagno.

Insulti alle donne, manganellate e prevaricazioni per chiunque, accompagnati dal grido di “sporco comunista”, che non guasta mai.

Il tutto come approdo finale di una situazione studiata ad arte nei particolari (non c’è bisogno di essere giornalisti “istruiti” per capirlo… appunto!).
Un freno a mano che viene tirato in corrispondenza di una stazione di transito secondaria come quella di San Pietro (e domenica sera finalmente vuota, dopo il definitivo deflusso del caos creato dall’omaggio al papa amico di Franco e di Pinochet); un bel numero di celerini che spuntano fuori dal nulla e il “casus belli” è bello che servito.

Tre ore prima c’era stata Lazio-Livorno, con tutto quello che da mesi si sapeva sarebbe successo, soprattutto dopo l’esperienza di Roma-Livorno di un mese e mezzo fa.

Due curve guidate da gruppi fascisti che rispolverano i simboli della loro canaglia e li sventolano per riaffermare la loro identità (tranquilli, non ce l’eravamo scordata) di fronte ai tifosi del Livorno.

Così domenica scorsa abbiamo visto da una parte uno striscione “sovversivo” che chiede giustizia per le vittime della tragedia del Moby Prince trafugato irreprensibilmente, dall’altra casuale distrazione quando passano celtiche e svastiche o viene esposto lo striscione “Roma è fascista”.

Sicuramente domenica ai cancelli della curva della Lazio c’erano gli stessi poliziotti distratti che non si accorsero anni fa dell’omaggio alla “tigre Arkan”, criminale di guerra serbo, che alcuni tifosi volevano “innocentemente” portare in curva.

 

Fuori la politica dalle curve?

Adesso non mancano, e mancheranno sempre meno, gli articoli di denuncia dell’ingresso della politica nelle curve. A questi giornalisti travestiti da sociologi vogliamo ricordare che la politica nelle curve c’è da sempre, perché un giovane quando sale i gradini di uno stadio non può fare tabula rasa delle sue idee, di tutto quello che ha pensato fino alla sera prima.

Più serio sarebbe che almeno i giornalisti dell’Unità, del Manifesto o di Liberazione scrivessero articoli sulle ragioni per cui molte curve che prima erano di sinistra adesso sono nel migliore dei casi neutrali oppure dichiaratamente di destra.

Negli anni novanta sarà successo qualcosa su cui interrogarsi nei quartieri, nelle borgate, nelle periferie?

Ci sarà un motivo per cui gruppi fascisti sono penetrati in fasce sempre più larghe di giovani in luoghi dove negli anni settanta non si spostava una mattonella che il PCI non lo volesse?

Al contrario, c’è francamente da stropicciarsi gli occhi dallo sconcerto a leggere gli articoli scritti sull’argomento ad esempio su il Manifesto.

Dopo il saluto romano di Di Canio, l’elogio della chiarezza e della decisione di un gesto almeno coerente; sabato scorso un articolo in previsione di Lazio-Livorno che parlava di come si sarebbe assistito a due “opposte pagliacciate, Bandiera rossa da una parte (che in curva non sta bene cantarla) e le svastiche dall’altra”. Due opposte pagliacciate? Compagni del Manifesto, ma lo avete riletto l’articolo prima di mandarlo in stampa?

Ancora. Dopo la partita di Domenica, articoli che spiegano che di fronte a quello che è successo allo stadio, la polizia si è comportata bene (c’è ancora da allibire!) e che “sì, sono una vergogna le svastiche e le celtiche però anche le bandiere con la falce e martello vanno evitate“.

Questo atteggiamento di neutralità non solo è sbagliato ma ha provocato grossi guai negli ultimi vent’anni.

A Roma, per tutti gli anni ottanta prima e gli anni novanta dopo, in curva Nord e in curva Sud si sono commessi specularmente gli stessi identici errori.

Chi guidava gli Eagle’s Supporters (curva Nord) e il CUCS (curva Sud), appellandosi alla neutralità politica che andava mantenuta, ha lasciato campo libero al fatto che la politica dentro lo stadio la facesse la destra, creando praticamente dal nulla due gruppi che, a fine anni ottanta in curva Nord e a fine novanta in curva Sud, hanno sottratto in un soffio il controllo della curva ai due gruppi storici che le guidavano da più di vent’anni.

Le bandiere con la falce e martello sventolate dalle BAL del Livorno e quelle con la svastica sono equidistanti, ugualmente da evitare?

Noi non la pensiamo così. Tra venti curve come quella del Livorno e venti curve come quelle della Lazio o della Roma preferiremo sempre le prime. E pensiamo che sia normale che giovani di sinistra, con tutto quello che si vede negli stadi, vedano adesso in questa tifoseria un punto di riferimento.

Se è successo quello che è successo negli ultimi anni in molte curve italiane è perché di fronte al peggioramento delle condizioni di vita, di lavoro e di studio a cui hanno assistito migliaia di giovani, di figli di lavoratori, nei quartieri più popolari, il PCI prima i DS e Rifondazione poi, non sono stati in grado di offrire risposte adeguate che canalizzassero la rabbia che lì si stava accumulando sui binari della lotta di classe per cambiare questa società.

E questa rabbia ha trovato un canale in cui esprimersi nella demagogia dei gruppi di destra che hanno cominciato a scorrazzare nelle praterie create dalla neutralità.

Ma adesso la vandea ha raggiunto il punto culminante e recuperare terreno nei quartieri non è impossibile, tutt’altro!

C’è un processo di graduale e sempre più marcata politicizzazione che investe le generazioni più giovani, gli studenti che negli ultimi anni sono scesi in piazza non solo contro la Moratti ma anche a fianco dei lavoratori che scioperavano, studenti che sono stati protagonisti delle mobilitazioni contro la guerra.

Sono spinti ad interessarsi di politica in maniera naturale dal futuro di precarietà che li aspetta e dal presente di incertezza che attanaglia le famiglie di lavoratori. Sono spinti ad interessarsi di politica da una società che, in base agli interessi di classe avversi che vengono difesi, ne attacca sempre di più le condizioni materiali.

Con un programma corretto, per l’abolizione delle leggi che hanno introdotto il lavoro precario, per la cancellazione della legge Moratti, per un piano di edilizia popolare che dia accesso alla casa a tutti i giovani per i quali adesso è un miraggio, per l’esproprio di tutte le case sfitte (a Roma la Mussolini ha fatto la campagna elettorale anche davanti allo stadio sul mutuo sociale).

Le risorse ci sono ma le tirano fuori solo quando fa comodo a lor signori, per dare pasti, bibite e da dormire a volontà ai pellegrini non hanno faticato molto a trovare i soldi! Solo con questo programma si può adesso combattere la destra nei quartieri, rispondere alla radicalizzazione che investe i giovani e canalizzarla verso il cambiamento di questa società capitalista.

Loris Boni
Roma, 12 aprile 2005
www.marxismo.net