La storia di chi si pose al servizio di Hitler

Le SS italiane

Recensione del libro di Ricciotti Lazzero

La storia del corpo delle SS italiane è ancora oggi poco conosciuta e studiata. Rarissime le ricerche su questa pagina tra le più inquietanti della Repubblica Sociale di Salò. L'ultimo lavoro storicamente approfondito (Le SS italiane di Ricciotti Lazzero) risale ormai a più di vent'anni fa. Un testo da tempo fuori catalogo e quasi introvabile. In questo quadro si colloca il contributo di un ex-partigiano, non nuovo a lavori di storia sulla Resistenza e su questo periodo, Primo de Lazzari (Le SS italiane, Teti Editore, 10 euro per 230 pagine, prefazione di Arrigo Boldrini), che ha il merito soprattutto di riordinare e offrire agli studiosi diversi materiali di documentazione. Gran parte del libro, preceduto da un ampio saggio di inquadramento, è infatti utilmente occupato da analisi e giudizi di storici italiani e stranieri sulle SS italiane, da testimonianze dirette di chi ne fu vittima e di chi invece ne fece parte arruolandosi, ma soprattutto è interessante il materiale documentario relativo ai fatti e ai luoghi che videro impegnate le SS italiane negli eccidi dei civili e negli scontri con i partigiani, i decreti ed i bandi di arruolamento, gli strumenti di propaganda, le comunicazioni interne, la struttura dei comandi. Ampie e ricche, a completamento del lavoro, anche le sezioni dedicate alla genesi della Rsi, delle sue forze armate, e alle leggi successivamente emanate per i reati di collaborazione con l'esercito tedesco.

L'esistenza di una milizia armata di SS italiane fu caldeggiata da Mussolini fin dal suo arrivo in Germania, a metà settembre del 1943, dopo la sua liberazione dalla prigionia sul Gran Sasso. Mussolini illustrò il suo progetto al quartier generale dell'esercito tedesco, a Rastenburg, direttamente ad Hitler che lo sottoscrisse delegando Himmler per l'attuazione.

Il giuramento al Führer

Tra i diciotto e i ventimila furono in totale i volontari italiani - la cifra esatta non si è mai riusciti a definirla con certezza - che si posero al totale servizio della Germania. Nel quadro composito delle milizie e delle forze armate della Rsi le SS italiche costituirono in questo contesto un corpo a parte. Fu il generale di brigata delle Waffen-SS Peter Hansen ad assumerne per primo la direzione operativa, dipendendo a sua volta dal generale Karl Wolff, comandante supremo delle SS e della polizia tedesca nell'Italia occupata.

Le SS italiane furono in conclusione composte da militari che accettarono di agire al comando di ufficiali germanici. Tutti i gradi più importanti erano tedeschi, i nomi dei volontari venivano inviati a Berlino e gli stessi ordini per gli ufficiali superiori erano dati in lingua germanica. Le divise, a differenza delle SS tedesche, avranno inizialmente mostrine rosse e solo in seguito ( almeno per alcuni reparti) nere. I gradi erano ordinati secondo la gerarchia tedesca. Sui berretti e sugli elmetti il "teschio d'argento" e le due SS stilizzate. Unici segni distintivi: un'aquila su fascio littorio romano e, verso la fine del 1944, il simbolo delle tre frecce incrociate racchiuse in un cerchio da portare sulla mostrina destra.

Le SS italiane si proclamarono apertamente ammiratrici del nazismo. Impressionante la formula utilizzata per il giuramento: «…sarò in maniera assoluta obbediente ad Adolf Hitler supremo comandante dell'esercito tedesco».

Va anche detto che nelle SS italiane in realtà non tutti si arruolarono volontariamente. Diversi i casi di adesione forzata tra i prigionieri messi di fronte all'alternativa "o con noi o al muro". Non isolati furono i casi di diserzione, a volte tragicamente conclusisi con la fucilazione.

L'ordine nero

Il caso di volontari non tedeschi nelle SS non fu un fenomeno solo italiano. Nel corso del secondo conflitto mondiale le Waffen-SS (le SS addestrate al combattimento) giunsero a contare circa 900.000 armati, articolate in 38 divisioni. Accanto ai reparti tedeschi si costituirono molte altre unità di diversa provenienza: di fiamminghi e valloni, di francesi, di olandesi, di norvegesi, di ungheresi, di albanesi, di croati, di lettoni, di estoni e di ucraini, di bulgari. Una divisione (la 13. sima), interamente composta da mussulmani bosniaci, fu impiegata in Jugoslavia contro i partigiani di Tito. Si allestirono anche battaglioni di cosacchi russi, di svizzeri, di finlandesi e di turchi. Un battaglione di calmucchi e turkestani operò anche in Italia, nel Piemonte e in Lombardia, in funzione antipartigiana, distinguendosi per ferocia e determinazione.

Una sorta di esercito internazionale, cresciuto all'ombra della svastica, che ancora oggi continua ad alimentare le fantasie ed i miti dei neonazisti di oggi.

Feroci assassini

Tranne due battaglioni inviati a contrastare lo sbarco degli americani ad Anzio, le SS italiane furono quasi esclusivamente impiegate dai tedeschi in operazioni di polizia e di rastrellamento antipartigiano nelle regioni del nord Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche e Umbria). Non meno feroci delle SS germaniche, si distinsero in eccidi e atrocità diffuse.

Da ricordare le stragi di Bucine, Cavriglia, Civitella della Chiana, nell'aretino, e di Bardine di San Terenzio in provincia di Massa Carrara, dove al comando del maggiore Walter Reder le SS italiane massacrarono 160 civili rastrellati nella vicina Pietrasanta. L'elenco potrebbe continuare. Alcune testimonianze parlano anche di una partecipazione, il 12 agosto 1944, alla strage di Sant'Anna di Stazzema, quando vennero massacrate 560 persone, 150 delle quali bambini sotto i 14 anni.

Ma il contributo di orrore e di ferocia delle SS italiane si espresse anche in altri campi: nei corpi delle polizie speciali che infestarono l'Italia (assai noto il caso della cosiddetta "banda Carità", guidata da uno dei più sanguinari torturatori della Rsi che operò a Firenze, Padova e Vicenza, e che si presentava come ufficiale delle SS) e soprattutto, con funzioni da aguzzini, nel lager-crematorio della Risiera di San Sabba a Trieste.

Questo «ordine» di «uomini razzialmente e fisicamente scelti», come recitava un loro manuale, si sciolse come neve al sole nell'aprile del 1945, poco dopo aver avuto l'onore da Himmler di poter costituire una divisione tutta italiana (la "29 Waffen-Grenadier-Division der SS Italienische Nr.1").

Fine ingloriosa

L'ultima brigata si arrese a Gorgonzola, nei pressi di Milano, ai carri armati americani, senza sparare un colpo. Una fine ingloriosa.

Quasi tutti gli ufficiali e i militi delle SS italiane uscirono dalla guerra indenni. Una parte finì nei campi di concentramento o davanti ai tribunali straordinari senza patire gravi conseguenze. Molto del materiale sulla loro formazione e sulle loro gesta venne per tempo occultato. Il grosso riuscì a squagliarsela, chi espatriando oltreoceano, chi reinserendosi in silenzio nella vita civile.

Uno di loro, Pio Filippani-Ronconi, aiutante maggiore del generale di brigata Piero Mannelli, l'ufficiale italiano delle SS più alto in grado, lo ritroveremo ancora nel dopoguerra. Parteciperà al famoso convegno, nel maggio del 1965, all'Hotel Parco dei Principi a Roma, dove insieme a Pino Rauti metterà a punto la «strategia della tensione» e, ancora recentemente, scriverà sulle pagine culturali del "Corriere della Sera" in qualità di esperto in lingue e culture orientali. Tra i suoi studenti, alla fine degli anni '60, Delfo Zorzi, condannato per la strage di Piazza Fontana. Forse un caso.

Saverio Ferrari
Milano, 13 ottobre 2002
Da "Liberazione"