La "vittoria" del 1918 costata un'inutile guerra a tutta Europa con massacri ovunque

Niente fanfare per l'inaudito macello

L'ondata mondiale di follia sanguinaria produce nove milioni di morti e sei milioni di mutilati

La Brutta Vittoria. Il 4 novembre, la celebrata data di Vittorio Veneto, no, non ci suscita fremiti di orgoglio patrio, ci fa solo rabbrividire.

E' stato bello e drammatico il reportage dell'altro ieri su Raitre, ma ancora la verità manca, è solo intravista e subito richiusa. L'ultimo fante, l'ex ragazzo soldato Carlo Orelli, che ora ha 109 anni e che ha raccontato al Corriere la sua storia in guerra - quella mostruosa Grande Guerra finita appunto con la "vittoria" di Vittorio Veneto il 4 novembre 1918 - con la agghiacciante semplicità del testimone oculare ci ha ben spiegato di che si è trattato: «Un giorno siamo usciti all'assalto in 330. Siamo tornati in 30».

Sono passati quasi novant'anni, ma noi piangiamo ancora su quei morti innocenti, soldati inconsapevoli, fanti contadini e operai tutti poveri e poverissimi e per la maggior parte analfabeti, mandati a combattere per una patria mai vista né sentita; lontana e "nemica", una patria che lesinava pane e lavoro e praticava i salari più bassi d'Europa. Piangiamo ancora, su quelle seicentomila vittime in grigioverde inutilmente sacrificate (tanti sono stati i morti - e oltre 600 mila i feriti e i mutilati - della falsa guerra patriottica).

L'inaudito macello. Nel suo bellissimo libro (La Grande Guerra e la memoria moderna, il Mulino) - uno di quei libri che a scuola non si leggono mai -, Paul Fussel scrive che «l'alba non si è mai più ripresa dal colpo infertole dalla Grande Guerra». Per dire che dopo il 1914, nessuno oserà più pensarla e descriverla come "l'alba dalle rosee dita". Con quel colpo d'arma da fuoco a Sarajevo, «si spengono per sempre i lampioni della vecchia Europa», il mondo cambia e cambia per sempre, «l'estate del 1914 divenne "l'ultima estate" per antonomasia, il luogo simbolico di ciò che era perito nel naufragio». Inoltre, «tra il ‘14 e il ‘18 la guerra è diventata un'esperienza ininterrotta dell'uomo del ventesimo secolo», e tutte le guerre in un certo senso, aggiunge Galli della Loggia nella prefazione, «sono la Grande Guerra».

Niente fanfare per favore. L'inaudito macello foriero di altri macelli. A scannarsi sono tutti gli Stati europei ad eccezione di Spagna, Olanda, Paesi scandinavi e Svizzera. A scannarsi, tra il ‘14 e il ‘18, nei due campi avversi, Austria, Serbia, Germania, Russia, Francia, Belgio, Inghilterra, Montenegro, Giappone, Turchia, San Marino, Bulgaria, Italia, Romania, Stati Uniti, Panama, Cuba, Grecia, Siam, Liberia, Cina, Brasile, Guatemala, Nicaragua, Costarica, Haiti, Honduras.

L'ondata mondiale di follia sanguinaria produce nove milioni di morti e sei milioni di mutilati. I francesi vi perdono il venti per cento di tutti gli uomini in età militare (solo un soldato francese su tre è uscito indenne), Gran Bretagna e colonie hanno immolato il 35,8 delle forze mobilitate, la Russia il 76,3, la Germania il 64,9, Austria e Ungheria il 90, l'Italia il 39, gli Stati Uniti l'8,2.

Già, la posta di tanto sangue erano i nuovi assetti di potere in Europa prima, nel mondo poi (con buona pace dell'amor di patria).

Niente di nuovo sul fronte occidentale, Westfront, Orizzonti di gloria, questi film li abbiamo visti tutti. Niente fanfare per favore. Il 4 novembre a noi fa tornare in mente per esempio quello, il "fronte occidentale", pochi chilometri a est di Parigi sulla Marna, passato alla Storia. Detto in soldoni, quel fronte dove avvennero massacri atroci, «quali non si erano mai visti nella storia militare di tutti i tempi». Là dove milioni di uomini si fronteggiano nelle trincee - se ne sono scavate 6250 miglia nel solo fronte francese, 6.000 in quello inglese - nelle quali sono costretti a vivere come animali in attesa, dopo giorni e giorni e anche settimane di bombardamenti da parte delle artiglierie nemiche, del momento dell'assalto, «quando ondate di soldati balzano fuori, per avanzare sotto il fuoco delle mitragliatrici, che regolarmente li falciano».

Verdun, ricordate? Il tentativo tedesco di sfondare il fronte francese in quel punto tra il febbraio e il luglio del 1916 diventa un massacro gigantesco che vede coinvolti due milioni di soldati e produce un milione di morti.

La Somme, ricordate? La battaglia inizia alle 7,30 del disgraziatissimo 1° luglio dello stesso anno: costa alla sola Gran Bretagna 420 mila morti. E racconta Fussel: «Oltre ventimila giacciono nello spazio tra le due linee e devono passare diversi giorni prima che i feriti rimasti nella terra di nessuno cessino di gridare».

Non da meno furono gli orrori di casa nostra. «Anche dopo molti anni dalla fine della guerra, il nome Isonzo veniva pronunciato rabbrividendo... Lucinigo, Podgora, San Floriano, Calvario, Oslavia, Sabotino: tutte queste quote della testa di ponte di Gorizia per un intero anno furono veri e propri luoghi di terrore. Nel giro di un anno il Carso, venne trasformato in un immenso campo di cadaveri: su tutto l'altipiano gravava un odore nauseabondo e dolciastro, quello dei corpi in decomposizione».

Monte San Michele, lo celebra una famosa, terribile canzone: lì vengono fatti fuori sessantamila uomini tra morti, feriti e prigionieri. Monte San Michele: lì per la prima volta gli austriaci usano il gas, 6.000 bombole tutte insieme che uccidono 9.000 soldati.

L'inaudito macello ebbe i suoi entusiasti "eroi". In Italia, uno fu sicuramente il generalissimo Luigi Cadorna. Gli atti della Commissione d'inchiesta sulla condotta della guerra e la disfatta di Caporetto non furono noti sino al 1967 Ma il generalissimo, questo si sa bene, venne defenestrato su ordine degli alleati franco-inglesi, subito dopo la rotta del 1917. E lui, anche questo si sa bene, fu l'uomo della repressione contro i soldati, l'ispiratore della micidiale macchina della giustizia militare punitrice e implacabile nelle retrovie dell‘esercito, il promotore di molte delle circolari terroristiche che comminavano carcere, ergastolo, decimazione, pena di morte per i soldati non troppo entusiasti di andare a crepare inutilmente, quei soldati per lo più sobillati (era la sua idea fissa) da anarchici, socialisti, sovversivi.

E' anche questa una pagina accuratamente ignorata a scuola. Ma grazie al pugno di ferro del generalissimo, alle sue circolari e alle sue direttive, i solerti tribunali militari, tra il 1915 e il 1918, istituirono 100 mila processi per renitenza (più altri 370 mila a carico di emigrati), 340 mila contro militari alle armi, quasi tutti per diserzione e rifiuto di obbedienza. Almeno un soldato su dodici fu processato; i fucilati dopo regolare processo furono 750 (o forse 1.500, i dati sono discordanti), assai più numerosi i fucilati sul campo per un semplice ordine dei superiori, e quelli uccisi durante il combattimento al primo tentativo di fuga (regi carabinieri aiutando).

La guida di Cadorna fu considerata scandalosa, spietata e inetta anche al tempo, anche dai "Comitati segreti sulla condotta della guerra" (giugno-dicembre 1917) istituiti dal Parlamento. Ma può valere per tutti il lapidario giudizio che di lui diede Vittorio Emanuele Orlando: «La vera crisi morale del nostro esercito sta nel fatto che il Comando supremo ammazza troppi soldati e troppo in fretta».

Maria Rosa Calderoni
Roma, 5 novembre 2003
da "Liberazione"