Le foibe: chi oggi parla dopo aver taciuto per anni lo fa per lo stesso motivo per cui è rimasto zitto a lungo.

La storia in gioco

Chi gioca con la memoria, mette nello stesso calderone fatti diversi come i massacri delle foibe e l'esodo degli italiani dall'Istria, ai soli fini della propaganda, solo per incalzare l'avversario politico di turno

Sapevano tutto. Politici, intellettuali e giornalisti di tutti i «colori», fin dall'immediato dopoguerra sapevano che qualche migliaio di italiani erano finiti nelle foibe del Carso durante i quaranta giorni dell'occupazione jugoslava di Trieste e dintorni, spesso con la sola colpa di un cognome italiano che veniva considerato sinonimo di fascismo. Sapevano ma hanno taciuto, per anni. Come sapevano dei massacri precedenti, quelli fatti dagli italiani in camicia nera contro le popolazione slave di Istria e Slovenia, prima cancellando cognomi e idiomi, poi con le fucilazioni di massa e, appunto, le foibe. In quei budelli neri dell'altopiano a est di Trieste finirono, in anni diversi, persone diverse per etnia e fede politica, uguali in una tragica morte. Si sapeva tutto, ma tutto veniva rimosso, ignorando cronache, rapporti di polizia e ricerche storiche. Un po' per non ingarbugliare ancor di più la difficile transizione che doveva riportare Trieste in Italia, un po' - da destra - perché bisognava appoggiare Tito contro l'Urss, oppure - da sinistra - per difendere un'armonia resistenziale che non è mai esistita. Alla fine, una bella pietra sopra e non se ne parli più. Ora, protagonisti di allora e loro eredi ritrovano memoria e sdegno; ma non per tutte le vittime, solo per quelle del comunismo. Gli altri - gli slavi - rimangono sepolti sotto quella pietra.

A dare l'esempio è il presidente della Repubblica, che pur sapeva da sempre, come tutti gli altri. La pacificazione nazionale che tanto gli sta a cuore lo spinge oltre il limite del revisionismo storico, usando la storia a puri fini politici, cioè estrapolando i fatti dal loro contesto, ignorandone le genesi, cancellando tutto ciò che dà fastidio per enfatizzare gli eventi utili a dimostrare la sua tesi. Che è una e semplice: siamo tutti italiani, buoni e indistinti. E finendo proprio per avallare i mostri che hanno generato quei massacri, il nazionalismo, l'identità etnica. Diventa facile, allora, il gioco degli eredi di Salò: le principali vittime di ciò che accadde durante e dopo la seconda guerra mondiale ai confini orientali sono stati gli italiani, dall'altra parte c'erano solo feroci barbari contro cui la X Mas si stagliava come baluardo di civiltà.

Chi oggi parla dopo aver taciuto per anni lo fa per lo stesso motivo per cui è rimasto zitto a lungo. L'opportunità politica lo spingeva allora e lo muove oggi. Questa è la sua principale colpa, manipolare gli eventi per convenienza. Gioca con la memoria, mette nello stesso calderone fatti diversi come i massacri delle foibe e l'esodo degli italiani dall'Istria, ai soli fini della propaganda, solo per incalzare l'avversario politico di turno. Cancellano le differenze, appiattiscono i processi solo per neutralizzare la storia. Delle vittime delle foibe e dei loro tanti perché, in realtà, non gliene frega nulla.

Chiunque entri in un cimitero a ridosso del confine che separa l'Italia dalla Slovenia - da una parte e dall'altra - trova un mescolio di cognomi, slavi, italiani, tedeschi. In quei luoghi un confine preciso non c'è, le etnie si mescolano e convivono, finché un evento esterno - un'ideologia nazionale, una guerra - non le divide forzatamente. La barbarie nasce allora, le differenze diventano trincee e la persone ci finiscono dentro, si arroccano in entità forzate, smettono di parlarsi e si sparano addosso. Ricostruire la memoria facendo perno su una posticcia identità nazionale buona che si contrappone a un'altra cattiva, indire una vuota giornata dei valori nazionali, scava nuove trincee, non pacifica ma prepara all'odio. In tempi di guerra permanente non se ne sentiva davvero il bisogno.

Gabriele Polo
Roma, 11 febbraio 2004
da "Il Manifesto"