Tutti assolti al processo d'appello per la bomba del 12 dicembre '69: 17 morti e 84 feriti.

Piazza Fontana, strage senza colpevoli

Dopo 35 anni il fallimento completo della giustizia

Tutti assolti. Ieri poco prima delle 11, dopo una lunga camera di consiglio durata ben sette giorni, il Presidente della 2° Corte d'Assise d'Appello del Tribunale di Milano, Roberto Pallini ha letto, tra lo sconcerto dei familiari delle vittime, la sentenza per la strage di Piazza Fontana che, ribaltando il 1° grado di giudizio, ha riconosciuto innocenti Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni. I primi due secondo l'articolo 530 del codice di procedura penale 2° comma, per insufficienza delle prove, il terzo per non aver commesso il fatto.

Il processo era iniziato il 16 ottobre scorso. Nella sua parte centrale, era stato quasi interamente occupato dalla testimonianza di Martino Siciliano, amico di infanzia di Delfo Zorzi, con lui nella cellula di Ordine Nuovo a Mestre. Attraverso il suo racconto era stato possibile ricostruire la storia del gruppo neofascista e del suo livello occulto, cui era stata affidata la gestione delle azioni armate. Le sue parole sembravano una conferma di quanto già dichiarato in primo grado da Carlo Digilio, l'armiere dell'organizzazione, oggi collaboratore di giustizia, anche riguardo le fasi preparatorie della strage.

Prove di terrore

Ben prima del 12 dicembre 1969 si era assistito ad un'escalation di attentati dinamitardi. Alla fine di quell'anno il Ministero degli Interni ne conterà 140, più di uno ogni tre giorni. Il sostituto Procuratore Generale, Laura Bertolè Viale, nella sua requisitoria si era in particolare soffermato sui 22 atti terroristici, con caratteristiche in comune, che avevano preceduto Piazza Fontana. Tra gli altri, i dieci sui treni, fra l'8 e il 9 agosto, i due di Milano del 25 aprile, alla Fiera Campionaria e all'Ufficio Cambi della Stazione Centrale, e quelli di Gorizia e Trieste del 4 ottobre, questi ultimi commessi utilizzando, proprio come per la strage, cassette metalliche per potenziare gli effetti dell'esplosione.

Alcune sentenze, ormai da tempo definitive, avevano già accertato la responsabilità di Ordine Nuovo, ed in particolare del gruppo di Freda e Ventura, riguardo questi episodi, almeno fino a tutta l'estate del 1969. Nel dibattimento di primo grado si era invece raggiunta la certezza della partecipazione di Delfo Zorzi agli attentati di Gorizia e Trieste. Lo avevano confessato ben in tre: Martino Siciliano, Giancarlo Vianello e Anna Maria Cozzo, presenti alla spedizione. Tutto ciò non è stato comunque ritenuto sufficiente a convincere la Corte d'appello come tappa verso il 12 dicembre. Così il racconto di Carlo Digilio.

Quel 12 dicembre

Carlo Digilio in 1° grado raccontò che qualche giorno prima del 12 dicembre, probabilmente domenica 7, venne chiamato da Delfo Zorzi a Mestre, in una strada poco frequentata e illuminata, nei pressi del Canal Salso, a verificare se una grossa quantità di esplosivo, con i relativi congegni di innesco, contenuta in alcune cassette metalliche poste nel bagagliaio della vecchia 1100 di Carlo Maria Maggi, potesse essere trasportata senza rischi fino a Milano. Questa sua confessione era risultata decisiva per far condannare all'ergastolo Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi. Ad esse, per altro, si erano aggiunte le parole di Martino Siciliano sulle confidenze avute da Delfo Zorzi circa la sua partecipazione diretta alla strage. La 2° Corte d'Assise d'appello ha evidentemente valutato in altro modo le loro deposizioni. Non ci resta che attendere le motivazioni. Il Presidente si è dato 30 giorni di tempo per depositarle.

In attesa della Cassazione

Le difese degli imputati avevano, dal canto loro, rilanciato la "pista anarchica", lasciata, a loro dire, "cadere", riproponendo neanche tanto velatamente i nomi di Valpreda e Pinelli. Più che a dei legali, l'impressione era stata quella di trovarsi di fronte a dei militanti di destra. Grottesca, in questo senso, l'arringa dell'On. Vincenzo Fragalà, deputato di Alleanza Nazionale, incredibile protagonista di una lunga digressione, decisamente fuori luogo, sulle foibe ed i crimini del regime di Tito. Per lui, con buona pace degli storici, la "strategia della tensione", era comunque stata solo un'invenzione di Mosca e di Enrico Berlinguer.

Questo processo d'appello era di importanza fondamentale nel quadro dei procedimenti giudiziari riapertisi sulle stragi di quegli anni. Da mesi si è in attesa del rinvio a giudizio per la bomba di Piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 e della fissazione di un nuovo processo di secondo grado per i mandanti del finto anarchico Gianfranco Bertoli per la strage del 1973 davanti la Questura di Milano. Decisivo era vagliare la credibilità dei cosiddetti "pentiti" e delle diverse testimonianze interne ai gruppi neofascisti. Ora dopo questa sentenza tutto diventerà più difficile.

Alla verità storica sulle responsabilità stragiste di Ordine Nuovo e delle sue complicità con gli apparati statali del tempo, comprovate da innegabili riscontri oggettivi, sembra non si riesca a far corrispondere una seppur parziale verità giudiziaria. Qualcuno tornerà a parlare di misteri, come se nulla si sapesse o fosse stato accertato. Sia il sostituto Procuratore Generale che gli avvocati di parte civile hanno preannunciato il ricorso in Cassazione. Resta al momento un fallimento della giustizia come unica amara verità.

Saverio Ferrari
Milano, 13 marzo 2004
da "Liberazione"