Al cimitero di Seregno hanno collocato una lapide in memoria dei militari seregnesi che hanno militato nella Repubblica di Salò, una violenza contro la storia, la giustizia e la verità.

Quella lapide deve essere rimossa!

Le considerazioni dell'ANPI di Verano Brianza

 

Lapide fascista al cimitero di Seregno

Lapide a ricordo dei caduti seregnesi della RSI

Photo by Brianza Popolareinfo

 

Lapide fascista al cimitero di Seregno

Iscrizione sulla lapide a ricordo dei caduti seregnesi della RSI

Photo by Brianza Popolareinfo

 

Lapide fascista al cimitero di Seregno

Iscrizione sulla lapide a ricordo dei caduti seregnesi della RSI

Photo by Brianza Popolareinfo

Al cimitero di Seregno è stata posta una lapide a ricordo delle vittime seregnesi che appartenevano alla Repubblica Sociale Italiana, che sono riconosciute come “vittime della violenza nel nome di una patria straziata”.

Quella lapide è un insulto alla storia italiana, alla memoria collettiva, alla giustizia e alla verità.

Solo per una testimonianza, in corsivo riportiamo alcuni estratti del libro di Aldo Cazzullo “VIVA L'ITALIA” al fine di contribuire a portare alcuni frammenti di verità storica.

Il presidente del tribunale speciale rivolto agli accusati dice:

“avete nulla da aggiungere in vostra difesa?”

Il generale Perotti si alza: “se il capitano Balbis e il tenente Geuna hanno responsabilità, essi lo debbono esclusivamente all'obbedienza prestatami. Chiedo che ne venga tenuto conto”.

Il tenente Geuma si alza e dice: “Voglio dire che quello che ho fatto l'ho fatto di mia spontanea volontà e non per istigazione del generale Perotti, e siccome io sono scapolo mentre il generale Perotti è padre di tre figli, chiedo al tribunale di voler dare al generale la pena dell'ergastolo che è stata chiesta per me e a me la morte”.

Il generale Perotti grida “Viva l'Italia”, gli imputati rispondono “Viva l'Italia”. Il tribunale si ritira.

Il generale Perotti, il capitano Balbis, il tenente Geuna erano tra i capi del Comitato di Liberazione Nazionale del Piemonte e il tribunale speciale fascista della Repubblica di Salò li mandò a morte fucilati al poligono di tiro del Martinetto.

Il capitano Balbis era un decorato di Al Alamein. Il giudice del tribunale di Salò che lo interroga nel processo farsa gli rinfaccia: “Capitano, voi siete un valoroso, voi avete avuto un'alta onorificenza germanica, voi dovevate dare tutto per salvare la patria”. E Balbis risponde: “Io, ho dato tutto per la mia Patria. Ho camminato sempre sulla linea dell'onore, non ho mai dimenticato l'ideale del soldato e perciò del mio giuramento di fedeltà alla Patria”.

Questa risposta al funzionario di un regime fantoccio nelle mani di Hitler c'è la motivazione per individuare non solo quale fosse la parte giusta nella guerra civile, ma anche quale fosse la vera Italia, e quale il governo legittimo. Balbis non mostra soltanto come chi combatté i nazisti avesse ragione, e chi li appoggiò avesse torto, in poche lucidissime parole dimostra che i resistenti - i partigiani, la popolazione civile, i cinquemila fucilati di Cefalonia, i militari rinchiusi nei campi di prigionia in Germania - hanno servito l'Italia e adempiuto al loro dovere mentre i nemici che davano loro la caccia che li fucilavano, li impiccavano, li torturavano, hanno servito un esercito straniero e invasore.

Sul frontespizio della lapide posta al cimitero di Seregno a ricordo collettivo e onore dei martiri seregnesi della Repubblica di Salò è riportato “vittime della violenza nel nome di una Patria straziata”.

Furono proprio i militi della Repubblica di Salò che straziarono la Patria e le loro vittime, tantissimi partigiani. decine di migliaia di militari che si rifiutarono di schierarsi con gli occupanti nazisti e i loro alleati della Repubblica di Salò, decine di migliaia di cittadini italiani di origine ebraica deportati nei campi di sterminio, tantissimi civili vittime dei carnefici.

Vorremmo solo ricordare alcuni nomi di questi carnefici e dei loro gruppi:

La Guardia nazionale Repubblicana, le SS italiane, la X° flottiglia Mas, le Brigate Nere, la Legione Muti, la banda Kock incaricata di torturare e assassinare i cittadini italiani e collaborazionista del generale Kappler, la banda Carità, ufficialmente chiamata “Reparto dei servizi speciali.

La X° Mas in Garfagnana è tristemente ricordata. Questa una testimonianza di don Aristide Lavaggi parroco di Miseglia:

Il 24 agosto militari della Xa MAS provenienti da La Spezia incendiarono il paese di Guadine, uccisero tredici persone e ne ferirono altre. Poi ritornarono e incendiarono Gronda, Redicesi e Resceto. A Guadine i giovani militi della Xa MAS avanzarono sparando all'impazzata; giunti in località Pozzo Scuro uccisero Pucci Domenico, che andava loro incontro verso Forno; qualche metro più avanti, sparando verso le selve, uccisero Novani Pietro, che era su un albero a tagliare un ramo; ai piedi dell'albero c'era la moglie Menichini Fidalma e il figlio di circa otto anni.

La donna, vedendo cadere il marito, mandò un grido di dolore e di spavento che richiamò l'attenzione dei militi, alcuni dei quali si recarono sul luogo e, mentre il bambino riuscì a fuggire, la madre fu uccisa accanto al marito. Lì vicino furono uccisi Manchini Nerito e Faggioni germana. Entrati nel paese, sempre sparando, uccisero altre otto persone, alcune sulla strada, altre sulla soglia di casa. Poi, dopo il massacro, il reparto dà fuoco alle case, distruggendo quasi totalmente il paese.

Il reparto di Bertozzi funesta poi la Lunigiana e il Canavese, trasformandosi in una squadra di torturatori, che si diverte a incidere la X della Decima Mas sui petti e sulle schiene di donne e uomini.

Tante sono le testimonianze che indicano molti militi italiani della Repubblica di Salò tra i carnefici e i massacratori si Sant'Anna di Stazzema, guide e informatori della Brigata Nera di Massa Carrara oltre alle famigerate SS italiane che collaborarono attivamente nei rastrellamenti di cittadini italiani di origine ebrea come all'Hotel Meina, sul Lago Maggiore e a Merano.

La Repubblica di Salò approva e appoggia esecuzioni contro i cittadini di origine ebrea; con il manifesto politico della Repubblica Sociale Italiana, la Carta di Verona del 14 novembre 1943, che al capitolo 7 intima che “tutti i membri della razza ebraica sono stranieri e parte di nazione nemica”; l'ordine di polizia numero 5 del 30 novembre 1943 annuncia che ogni cittadino ebreo sarà destinato ai campi di concentramento, tranne i malati e gli ultrasettantenni. Tutte le proprietà ebraiche saranno sequestrate e dal 4 gennaio '44 confiscate.

Dal 1 dicembre iniziano i rastrellamenti e le deportazioni con la banda Kock, la Legione Muti, la Guardia nazionale Repubblicana, le Brigate nere e le SS italiane.

I ragazzi della Repubblica Sociale Italiane, la Repubblica di Salò, furono i volonterosi carnefici di Hitler, mentre tanti italiani, cittadini comuni e attivisti del movimento partigiano, rischiarono più volte la vita prodigandosi per salvare molti cittadini ebrei.

Questi i “bravi ragazzi spinti da un loro ideale” che con la lapide a Seregno si vogliono ricordare, commemorare e onorare. Si vuole sostenere che quei “ragazzi” non parteciparono mai a atti di violenza e anzi ne furono “vittime”; è invece vero che quei “ragazzi” sapevano che la Repubblica di Salò era impegnata nella deportazione verso i campi di sterminio di decine di migliaia di cittadini ebrei.

Non molto lontano da Salò, a Bassano del Grappa nel settembre 1944 quindi quando già si sapeva delle stragi di Sant'Anna e della deportazione dei cittadini ebrei, la Repubblica Sociale Italiana insieme alle SS tedesche danno avvio all'operazione Piave. Vengono affissi manifesti in tutta la zona che dicono “chi si presenterà avrà salva la vita e lavorerà per l'Organizzazione Todt -civili al servizio dei militari- o entrerà nella Flack -la contraerea”.

Le persone influenti della zona, sindaci, maestri, sacerdoti, gli stessi genitori invitano i giovani a presentarsi.

Il 26 settembre gli abitanti di Bassano, compresi i tanti bambini che giocano sul viale centrale, vedono arrivare i camion e scendere i loro fratelli maggiori con le mani legate dietro la schiena. Nel silenzio rotto solo dagli ordini secchi in tedesco, i ragazzi vengono appesi agli alberi. Il viale è molto lungo, ma poiché gli alberi non bastano alla fine i renitenti alla leva nella Repubblica Sociale Italiana penderanno dagli alberi di altre due vie della città. I cappi sono cavi del telefono. A infilarvi le teste dei loro coetanei sono giovani fascisti della Repubblica di Salò, di 18, 17 e anche 16 anni, alcuni inquadrati nei reparti della contraerea. I cappi sono legati da una lunga fune al camion. Il boia Karl Franz Tausch coordina l'esecuzione, spiega come e quanto stringere i cappi attorno al collo, ordina ai camion di accelerare. Il cappio si stringe attorno al collo dei primi trentuno condannati. I giovani fascisti sono incaricati di tirare le gambe di coloro che respirano ancora.

E' quasi mezzanotte. Fra gli impiccati c'è un malato di mente, che grida disperato. C'è il maestro elementare di Mirandola. C'è un ragazzo di 17 anni, Cesare, che si trovava sul Grappa per curarsi una malattia ai polmoni, un altro Giovan Battista, che ha appena compiuto 16 anni; suo fratello Giuseppe, diciottenne, è stato fucilato due giorni prima. Un quindicenne viene giustiziato nella Caserma Reatto con altri prigionieri; nel plotone d'esecuzione ci sono ragazzi della sua età o anche più giovani.

Alla fine i carnefici vanno al caffè Centrale e all'Hotel Cardellino a brindare e a festeggiare.

Tra il 20 e il 28 settembre l'Operazione Piave massacra 264 renitenti alla leva e giovani partigiani. Solo trenta cadono in combattimento. Gli altri sono appesi agli alberi di Bassano o fucilati e sepolti in fosse comuni.

Quasi tutti i prigionieri si erano presentati spontaneamente.

Volutamente ho riportato solo testimonianze delle gravi torture e massacri subiti da cittadini civili; non ho riportato testimonianze di torture, violenze e massacri subite da partigiani, che avevano scelto di combattere contro gli occupanti nazisti e il governo fantoccio di Salò; così come non ho riportato testimonianze delle violenze subite dai tanti militari che volontariamente hanno confermato fedeltà alla Patria e rifiutato ogni collaborazione con il governo fascista di Salò, come i militari della Divisione Acqui che in cinquemila furono fucilati a Cefalonia.

Ai “ragazzi di Salò” colpevoli di aver straziato la Patria e complici di violenze e massacri, non deve essere dato nessun ricordo collettivo, tanto meno menzioni onorificenze e onore.

A quei 18 cittadini seregnesi, che in 17 hanno scelto fino alla fine della guerra, il 1944 e il 1945, di stare dalla parte dell’occupante, del torturatore, dell’autore di violenze, massacri, stragi e persecuzioni , può essere riconosciuta solo la pietà umana e il ricordo dei famigliari.

Quella lapide è un atto di violenza e un insulto a tutti gli italiani, alle vittime della violenza e dei massacri perpetrati dai “bravi ragazzi” della Repubblica Sociale Italiana, alle nostre leggi e alla nostra democrazia.

QUELLA LAPIDE DEVE ESSERE RIMOSSA !

Anpi - Verano Brianza
Verano Brianza, 7 novembre 2015