Per i comunisti quei martiri sono parte integrante della Resistenza
Anche sull'eccidio di Cefalonia si vuole riscrivere la storia

A sessant'anni dal loro sacrificio ai quasi diecimila caduti di Cefalonia è toccata anche questa, di diventare strumento e pretesto di una sorta di anticomunismo di ritorno.
Nella lunga serie di inesattezze o addirittura di falsità dette e scritte su di loro in questi ultimi tempi, l'affermazione più volte ricorrente - anche da autori considerati “autorevoli” - è stata quella secondo cui il loro martirio sarebbe stato tenuto nascosto, relegato nel dimenticatoio della storia, “per colpa dei comunisti”, ovvero della storiografia di sinistra, naturalmente “egemonizzata dal Pci”.
Il motivo? Semplicissimo: i militari di Cefalonia non potevano essere presentati come partigiani, erano militari fedeli al giuramento prestato al re d'Italia; dunque davano fastidio a chi - appunto il Pci - voleva “appropriarsi della Resistenza”.

A dare man forte a questa tesi è sceso in campo anche Indro Montanelli, che per spiegare le ragioni del (presunto) silenzio su Cefalonia, in un editoriale sul “Corriere della sera” scrive testualmente:

«I soldati che combattevano nella divisa, con le stellette o sotto la bandiera del Regio Esercito, per fedeltà a un giuramento e alla Patria, non avevano i requisiti del partigiano che si batteva “contro” questi valori, e magari per altri non meno nobili, ma di parte, come del resto diceva la sua qualifica, non di Patria.

Ecco perché i caduti di Cefalonia non potevano entrare nel sacrario della Resistenza. Ne avrebbero inquinato il Dna e il blasone».

A parte il fatto che i soldati italiani che presero le armi nel settembre 1943, non solo a Cefalonia, lo fecero in parte anche per fedeltà al giuramento ma soprattutto per odio ai tedeschi e alle loro sopraffazioni, di cui avevano fatto amara esperienza su tutti i fronti, dall'Egeo alla Jugoslavia alla Russia, Montanelli dovrebbe essere più informato:

per la sinistra e per il Pci nel sacrario della Resistenza i martiri di Cefalonia hanno sempre avuto un posto di primo piano, e in questi sessant'anni - quando il ricordo di Cefalonia imbarazzava i governi democristiani perché la Nato reclutava a man bassa tra gli ufficiali ex-nazisti - sono stati proprio i comunisti, la sinistra, a impedire che quella grandiosa epopea cadesse nell'oblio.

Per brevità cito quattro testi soli, tutti inequivocabilmente “partigiani”:

Tre libri di comunisti, uno di un socialista di sinistra; in tutti a Cefalonia, e più in generale alla resistenza dei militari, è dedicato spazio e adeguato rilievo, inserendola a pieno titolo nella lotta antifascista del popolo italiano.

Per finire, e per dovere di precisione storica, consentimi di fare un appunto anche alle recenti parole del presidente Ciampi, con tutto il rispetto dovuto al Capo dello Stato.
Ha detto Ciampi a Cefalonia: «Qui è cominciata la Resistenza».

Anche questo non è esatto: Cefalonia è stata certamente il primo episodio di massa, di proporzioni così ampie, ma la Resistenza - quando i diecimila della “Acqui” hanno pronunciato il loro eroico “no” - era già cominciata, in primo luogo a Porta San Paolo già nella notte dell'8 settembre, con ufficiali, soldati e civili antifascisti fianco a fianco contro i nazisti;
era già cominciata sulle nostre montagne con la nascita delle prime “bande” (tanto per fare un esempio, il nucleo delle future formazioni Giustizia e Libertà del Cuneese si formò con Dante Livio Bianco il 12 settembre alla Madonna del Colletto);
era cominciata nelle altre isole greche, come Rodi, già caduta, e Lero, che avrebbe resistito per quasi due mesi.

Ed era cominciata, anche in quelle isole, non certo per fedeltà a quei Savoia che oggi in tanti si fanno in quattro per far rientrare (immeritatamente) in Italia.

Giancarlo Lannutti
Roma, 3 marzo 2001
da "Liberazione"