25 Aprile nel segno di

Alberto Gani

Quella famiglia vive

Lo sterminio della famiglia Gani, papà Giuseppe, mamma Speranza, i ragazzi Regina, Ester e Alberto, arrestati a Seregno nell'agosto del 1944 non è che un piccolissimo tassello del grande crimine che fu l'assassinio, parzialmente riuscito, dell'intero popolo ebraico.

I loro sono cinque nomi di una gigantesca lista di 6 milioni di nomi. Se uno volesse leggerli tutti per 8 ore al giorno consecutivamente, ci metterebbe sei anni, molto di più di quanto non occorse per assassinare tutte quelle persone.

Lo sterminio degli ebrei infatti iniziò nel luglio del 1941 e fu sospeso nel novembre del 1944.

Poco più di tre anni per eliminare una quantità di persone quasi impossibile da nominare nel corso di una sola vita. Questo fatto ci dà la misura dello sterminio di massa dove le persone, le individualità, non contavano più nulla per gli assassini.

Il lavoro svolto dal Comitato antifascista di Seregno per ricostruire la vicenda dei Gani e riproporla alla nostra memoria collettiva, va nell'esatto senso contrario a quello auspicato dai nazisti: la famiglia è stata chiamata fuori dal l'oblio, è stata nominata, ricordata, è entrata nella nostra coscienza civile. Cioè non è stata annientata completamente. La finalità dei nazisti era di eliminare fisicamente gli ebrei d'Europa e di cancellarne ogni traccia. Il procedi mento stesso dello sterminio segue questo iter.

In ogni paese occupato gli ebrei nascosti venivano ricercati, spesso con la collaborazione delle autorità locali.

Una volta scoperti, essi venivano rinchiusi nelle carceri locali e poi mandati in appositi campi di internamento e transito da dove, una volta raggiunto il numero utile per la deportazione venivano fatti partire. La destinazione degli ebrei dell'Europa occidentale era il campo di Auschwitz, nella cui succursale, Birkenau erano stati collocati impianti di sterminio appositamente progettati.

Una volta scesi sulla banchina del campo, i deportati subivano una frettolosa e superficiale "selezione" da parte del medico SS e dal Capo del Servizio del lavoro che decidevano con un'occhiata seguita da un gesto, "a destra" "a sinistra ", chi dovesse appartenere alla fila dei salvati, chi alla fila di coloro da assoggettare immediatamente alla camera a gas.

Gli averi dei deportati, abbandonati sulla banchina rimasta deserta, venivano raccolti, smistati, ripuliti e inviati in Germania perché ormai inutili, le piccole cose che le vittime portavano con sé: borsette, fotografie, zainetti o giocattoli venivano bruciati immediatamente in un forno apposito assieme ai documenti d'identità.

L'annientamento totale proseguiva poi con la bruciatura dei cadaveri nei forni crematori, con il recupero delle ossa non consumate e la loro triturazione, con la dispersione delle ceneri nelle acque della Vistola.

Veniva dunque operato un annientamento totale della persona e delle sue tracce di vita terrena.

Con tutto ciò è dunque importante compiere dove possibile un'azione antinazista. Ricordare in questo caso è anche un piccolo atto di resurrezione.

Liliana Picciotto Fargion (Centro di documentazione ebraica contemporanea - Milano)
Seregno, 25 aprile 1999
Pubblicazione di: Comitato Unitario Antifascista per la difesa delle Istituzioni Repubblicane | Indice generale