Si scusa del disordine ma il disordine
non c’è, in casa ci sono libri dappertutto perché è
quello che capita quando non si comprano a metri ma si
leggono, volumi di storia e letteratura, dai
Sepolcri di Foscolo che al ginnasio
le fecero imparare a memoria ai romanzi di Yehoshua,
«l’ho conosciuto, sa?, una volta gli ho fatto da guida
nel ghetto di Ferrara». Sulla parete che porta in
salotto è incorniciata la prima pagina dell’
Aurore del 13 gennaio 1898 con il
«J’accuse» di Émile Zola sul caso Dreyfus, la lettera
aperta nella quale il grande scrittore denunciava la
persecuzione dell’ufficiale francese, colpevole soltanto
d’essere ebreo. Ma il tono della signora Annamarcella
Falco Tedeschi non è da j’accuse ,
solo un filo d’ironia a nascondere la tristezza mentre
scorre l’album delle fotografie e sfila l’immagine della
quinta ginnasio al Liceo Manzoni di Milano, anno
scolastico 1937/38: «Ecco, quella a sinistra del
professore sono io, avevo quindici anni. Vede le due
ragazze di fianco a me? Questa è Edvige, l’altra
Mariella, ma noi la chiamavamo Cicci, anni fa l’ho
rivista di lontano a Courmayeur, mi pare abitasse pure
da queste parti. Se queste due signore sono ancora vive,
spero che leggano il Corriere ...».
Edvige e «Cicci» erano le sue amiche del cuore fino alle
leggi razziali, il regio decreto del 5 settembre 1938
che cacciò gli studenti «di razza ebraica» dalle scuole,
«ci si sentiva e scriveva ogni settimana e d’improvviso
nulla, da quel giorno non mi hanno più mandato una
lettera né telefonato, sto ancora aspettando che lo
facciano».
Gli unici ragazzi del Manzoni a farsi
vivi, nel frattempo, sono quelli nati quasi mezzo secolo
più tardi: i nove liceali che per due anni hanno cercato
e rintracciato nomi e storie dei 65 studenti «eliminati»
dalla scuola perché «di razza ebraica». Tra questi
Regina Gani,
deportata ad Auschwitz
con la famiglia il 24 ottobre ’44, a diciassette anni:
morì «dopo l’11 febbraio ’45» durante la «marcia della
morte». Gli studenti del Duemila hanno però rintracciato
due dei loro vecchi compagni: Emma Pontremoli e la sua
amica Annamarcella Falco, «è stata una cosa molto bella,
sono arrivati con altri loro compagni, tutto così
carini, sedevano tutt’attorno e avevano pure il
registratore», ride la signora.
Certo che non è
stato facile, spiegare loro come ci si sente, «perché io
al Manzoni stavo benissimo, eh! Il preside Pochettino
non era niente, era un niente. Ma il professor Angelo
Ottolini, quello dei Sepolcri , era
bravo. E non c’erano discriminazioni, fino all’anno
prima avevamo pure l’insegnamento di religione ebraica.
Mi avevano dato la mia divisa da "piccola italiana"
prima e "giovane italiana" poi, l’equivalente femminile
dei balilla e degli avanguardisti. E noi ragazze
facevamo le nostre adunate, niente di particolare,
qualche saggio ginnico all’Arena, ricordo che ero
felicissima perché i miei volevano sempre che uscissi
accompagnata dalla governante e quando c’erano le
adunate potevo tornarmene a casa da sola».
Una
pausa, la signora Falco si aggiusta gli occhiali e
sfoglia il suo album di foto: «Eravamo in vacanza a San
Vito di Cadore quando abbiamo letto la legge sui
giornali, e d’improvviso non ho sentito più nessuno, non
un compagno di scuola né un professore, sono stati i
giorni più orribili e mortificanti della mia vita».
Qualche segnale in verità c’era stato, «il 14 luglio
era uscito il Manifesto della Razza firmato da Nicola
Pende e altri pseudostudiosi: "Gli ebrei non
appartengono alla razza italiana"». Al ritorno lei e sua
sorella non poterono tornare a scuola, al padre fu tolta
la cattedra di diritto ecclesiastico alla Regia
università, la Statale di oggi: Mario Falco, allievo di
Francesco Ruffini, «era un antifascista, anche se non
arrivò a rifiutare il giuramento di fedeltà al regime
del ’31», sospira la signora. «Dovevamo mangiare, il
professor Ruffini lo aveva detto a mio padre: io me lo
posso permettere, voi no».
Vale la pena di ricordare
che quell’anno solo 12 (dodici) docenti su 1.250
rifiutarono il giuramento: Ernesto Buonaiuti, Mario
Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio
Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti,
Bartolo Nigrisoli, Francesco ed Edoardo Ruffini,
Lionello Venturi e Vito Volterra.
Sette anni più
tardi il professor Falco fu aiutato solo da alcuni
amici: «Edoardo Ruffini, Piero Calamandrei e Arturo
Carlo Jemolo, che nel ’43 ci avrebbe salvato la vita
ospitandoci a Roma. Gli passavano sottobanco dei lavori,
cause civili che non poteva firmare». La signora sfoglia
un’altra pagina del suo album e appare un gruppo di
ragazzi sorridenti: «Ecco, questi sono i ragazzi di via
Eupili, la scuola ebraica che aveva fondato Joseph
Colombo, l’allievo di Giovanni Gentile che nel
dopoguerra diventò preside del Berchet. I nostri
insegnanti erano i professori ebrei cacciati come noi da
scuola». La signora Falco è in prima fila, la prima da
destra. «La terza da destra, al centro, questa ragazzina
paffuta dai capelli ricci, è Silvia Luzzatto, arrestata
dai nazisti a Baveno il 15 settembre ’43 e uccisa sul
Lago Maggiore il 21 settembre, l’eccidio di Meina».
A scuola erano felici, nonostante tutto: «Riuscimmo
ad arrivare alla maturità, le scuola era "parificata" e
Colombo era molto rispettato». Poi si persero di vista,
«la mia famiglia era sfollata a Ferrara, a casa dei
nonni, dopo l’8 settembre andammo in campagna, papà morì
di infarto il 4 ottobre». Così ripararono a Roma, il
professor Jemolo, grande docente di diritto
ecclesiastico, aveva offerto loro ospitalità e li
nascose fino alla liberazione di Roma. «Arrivammo il 19
ottobre, tre giorni dopo l’epurazione del ghetto. In
treno, di notte, un tizio indicò: "Vedete quel carro
merci? E’ carico di ebrei". E mia madre buttò i
documenti in una galleria».
La signora racconta per
ore, altre storie, altri aneddoti. Eppure su quegli anni
del Manzoni c’è come un freno, non si sofferma più di
tanto. Ma scuote la testa, «in fondo erano anni normali,
solo dopo sono diventati strani: gli
amici che guardano dall’altra parte, non ti rivolgono la
parola. E’ questo che vorrei far capire ai ragazzi: la
paura, chi non ha conosciuto il fascismo non può
immaginarsi che cosa può fare la paura, il conformismo,
la vigliaccheria».