Un aspetto della tragedia della Shoah a Milano ed in Brianza

Una città moralmente deserta

Storia - tra Milano e Seregno - di un gruppo di studenti ebrei milanesi. Testimonianza di Anna Marcella Falco

Anna Marcella Falco "Sono nata Parma 28.04.1923. A Milano arrivo perché mio padre Mario Falco, docente di Diritto Ecclesiastico alla università di Parma, passa all'università Statale di Milano. Eravamo una famiglia ebraica consapevole, con un discreto collegamento con le tradizioni, senza essere religiosissimi. Mio padre si occupava delle vicende comunitarie, mia madre Gabriella Ravenna, originaria di Ferrara, di una associazione "donne ebree italiane " e dirigeva un giornaletto che si chiamava "L'Israel dei ragazzi". Oltre ai genitori e me, la sorella Graziella, più giovane di me.

Ho infanzia normale. A Milano abitavamo prima in via Elba poi in piazzale Aquileia, ho fatto i primi tre anni delle elementari studiando in casa con una maestra, poi per la quarta e quinta elementare mi hanno mandato alla scuola ebraica. Esisteva una piccola scuola ebraica in quegli anni solo per le elementari, in via Eupili. Due villette costruite per le elementari e gli asili che poi hanno dovuto accogliere profughi. Finita la quinta elementare vado al Manzoni, la scuola più vicina a casa. Faccio i primi tre anni in una sezione femminile e poi la quarta e quinta ginnasio in una sezione mista, la sezione C."

"Con le leggi sulla razza dei primi di settembre 1938 mio padre perde la cattedra e io il posto a scuola. Sono state settimane di piombo, ci sentivamo traditi, isolati - io ho 15 anni, mia sorella 10. Papà e mamma dicono "aspetta te che gli altri vi cerchino ". Tra professori e studenti del Manzoni non si è fatto vivo nessuno. Il rientro dalle vacanze a Milano, in questa città moralmente deserta, è uno dei ricordi più orrendi: il vuoto e la solitudine assoluta attorno a noi, nessuno che si fa vivo. La tragedia è enorme, quelle che non sono giustificabili sono le amiche, le compagne di classe. Lo considero un tradimento, a livello personale. Per me è stato un mese atroce di solitudine e di tradimento, l'infernale di quel mese è stato l'abbandono delle persone, per i miei genitori e per me. Ci accorgiamo in pochi giorni che molte persone che crediamo amiche, scompaiono. E scomparse sono rimaste. Tra queste ci sono due mie compagne di scuola con le quali avevo un contatto quasi quotidiano, ci si mandava le cartoline e letterine d'estate.

Tuttavia qualcuno ci ha cercato, gli amici di mio padre, persone di primissimo ordine. Mio padre era abbastanza antifascista, viveva in un gruppo abbastanza antifascista. Era stato allievo del senatore Ruffini che aveva un figlio, Edoardo, giurista ed avvocato. Quando mio padre è assistente del senator Ruffini ha tra i suoi studenti Arturo Carlo Jemolo, poi docente a sua volta. Ruffini, Jemolo e Calamandrei, hanno aiutato mio padre. Senza il loro aiuto non avremmo mangiato..."

[La signora Falco racconta della scuola ebraica di via Eupili diretta dal prof. Joseph Colombo; della scelta di lasciare Milano ormai troppo bombardata e andare a Ferrara; della morte del padre a 59 anni tre settimane dopo l'8 settembre del '43; dell'inizio dei rastrellamenti degli ebrei; della strage di Meina; della fuga a Roma rifugiati - madre, Regina e sorella - nella casa del prof. Arturo Carlo Jemolo.]

"... Siamo in treno, all'altezza di Orte, un tipo, credo un borsanerista, ci dice "vedete quel merci lì "ne incrociavamo uno "è pieno di ebrei. Li hanno por tati tutti via". Abbiamo incrociato il treno del rastrellamento del ghetto di Roma - 16 ottobre. Né sapevamo dove li portavano.. . Avevo 19 anni, i ragazzi Jemolo erano coinvolti in attività antifasciste. Anch'io facevo qualcosa, lavoravo con una signora del partito d'azione che preparava dei pacchetti per ufficiali e soldati che erano nel carcere di Regina Coeli. Con molta sfacciataggine o coraggio andavo un paio di volte alla settimana a Regina Coeli a portare il pacchetto a un certo tenente di cui purtroppo non ricordo il nome. Il pacchetto era corredato da un biglietto con nomi e legami familiari inventati. Questi pacchetti venivano consegnati alla "ruota". Si metteva il pacchetto, la ruota girava e il pacchetto veniva ritirato. Ogni tanto arrestavano ebrei, ne prendevano per la strada, c'erano le spiate, a me è capitato più di una volta di guardare i pacchetti "per Gigi Piperno da parte della zia". Era gente che rischiava la pelle veramente per portare il pacchetto. Poi c'è stato l'attentato di via Rasella e le Fosse Ardeatine. Gira la voce negli ambienti antifascisti che i tedeschi hanno ammazzato più di trecentocinquanta ostaggi. Quasi tutti li avevano presi a Regina Coeli. Comunque dopo qualche giorno provo ad andare a Regina Coeli a portare il pacchetto a questo tenente. Un pacchetto più piccolo del solito. Lo metto alla ruota e invece di essere ritirato torna indietro e la voce della signorina dall'altra parte dice "È stato trasferito ". Non avevo mai visto questo ragazzo, ho capito che faceva parte di quelli portati e uccisi alle Fosse Ardeatine..."

"Mia nonna Marcellina Padoa e mia zia Germana Ravenna sono state prelevate dal convento del Carmine di Firenze e deportate nel 1944. Si erano rifugiate lì, in viaggio nel tentativo di raggiungerci da Ferrara, dove erano rimaste, a Roma. Rifugiate presso queste suore bravissime insieme a circa altri settanta ebrei. C'è stata una spiata sono arrivate le SS e li hanno portati via tutti. Sono state deportate ad Auschwitz, sono tutte e due sul libro della Fargion. La nonna "arrestata il 26.11.43 a Firenze da italiani con tedeschi, detenuta a Firenze Convento, poi Verona. Deportata da Verona 6.12.43 uccisa all'arrivo ad Auschwitz l'i 1.12.43 " La zia "Ravenna Germana, deportata da Verona il 6.12.43, deceduta in luogo e data ignoti ".

"Dopo la liberazione di Roma eravamo presi dal desiderio di avere notizie dei nostri familiari. Era una cortina di ferro. Lavoravo per gli alleati al Ministero delle finanze e ricordo - sono immagini che si ripetono tutta la vita - una mattina una velina, scritta a macchina, che girava per l'ufficio. C'era scritto che in Europa erano stati deportati e uccisi più di cinque milioni di ebrei e che la maggior parte era stata uccisa in una località della Polonia che si chiamava Oswieci, il nome polacco di Auschwitz. Questa è stata la prima notizia su questo argomento. Noi eravamo già liberi da mesi, io lavoravo in un ufficio, ma questa è stata la prima volta e questo il modo in cui è filtrata una notizia. Per anni lo sterminio è stato un segreto."

Anna Marcella Falco
Milano, 1 maggio 2003
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