10 agosto 1944: in Milano veniva compiuta dai fascisti la strage di piazzale Loreto

Piazzale Loreto 1944: una poesia di Franco Loi
ed un quadro di Aligi Sassu

Loi è stato testimone di quanto avvenne in piazza Loreto il 10 agosto 1944 dove furono fucilati per rappresaglia dalle Brigate Nere, 15 partigiani e i loro cadaveri lasciati sul marciapiede.
Così avrebbe raccontato il poeta molti anni dopo: "C'erano molti corpi gettati sul marciapiede, contro lo steccato, qualche manifesto di teatro, la Gazzetta del Sorriso, cartelli , banditi! Banditi catturati con le armi in pugno! Attorno la gente muta, il sole caldo. Quando arrivai a vederli fu come una vertigine: scarpe, mani, braccia, calze sporche.(....) ai miei occhi di bambino era una cosa inaudita: uomini gettati sul marciapiede come spazzatura e altri uomini, giovani vestiti di nero, che sembravano fare. la guardia armati!"
Personalmente avrei voluto che la piazza venisse ricordata solo per questo atto di barbarie fascista, i morti Partigiani non meritavano la contaminazione con i loro assassini.
Ma così gli uomini hanno voluto.
A volte la passione e l'odio non sono buoni consiglieri, la scelta che fu fatta ha lasciato un brutto ricordo, perchè "la violenza sporca chi la usa", ma anche in questo caso la colpa è di chi per primo l'ha usata.
piassa Luret, serva del Titanus piazza Loreto, dominata dal Titanus
 ...piassa Luret, serva del Titanus
ti', verta,
me na man da la Pell morta
i gent che passa par j a vör tuccà,
e là, a la steccada che se sterla,
sota la colla di manifest strasciâ,
l'è là che riden, là, che la gent surda
la streng i gamb, e la vurìss sigà.
Genta punciva che la se smangia 'doss,
che la ravìscia ai pè, cume quj trémul
che, 'rent al giüss, se sviccen vers el ciar
e sott la rùsca passa la furmiga
che l'è terrur e rabbia e sbalurdur.
E lì, bej 'nsavunâ, dal pel rasà,
senta süj cass de legn, o, 'm'i ganassa,
ranfiâ, ch'i sten par téndcr caressà,

o che, tra n' rid e un dìss üsmen  cress j ödi
de la camisa nera i carimà,
vün füma, n òlter pissa, un ters saracca,
e 'n crìbben, cui sò fà de pien de merda,
man rosa ai fianch el cerca j öcc nia...

Oh genti milanes,
vü, gent martana,
tra 'n mezza nün 'na gianna la dà 'n piang,
e l'è 'na féver che trema per la piassa
c la smagriss i facc che morden bass.
   Ehi, tu...!... si tu!... che vuoi?
   Manca qualcosa?
     Mì...?
   Si, tu.
e 'na magatel cul mitra sguang
el ranfa per un brasc quèla che piang.
Mi, sciur...?
Tira su la testa !
e lentarnent,
'm rìd una püciànna, i òcc gaggin
sbiàven int j òcc ch'amur je fa murì,
pö, carmu, 'na saracca sliffa secca
tra i pé de pulver, e sfrisa 'me 'na lama
l'uggiada storta tra quj òmn scalfa, [....]


...piazza Loreto, dominata dal Titanus
tu, aperta,
come una mano dalla pelle morta
sembri voler toccare la gente che passa,
e là, presso la staccionata sconnessa  
sotto la colla dei manifesti stracciati,
è là che ridono, la, che la gente sorda 
stringe le gambe e vorrebbe gridare.
Gente che pensa in silenzio che si smangia dentro,
che mette le radici ai piedi, come quei tremolii
che, presso al letame, si diramano verso la luce 
e sotto la corteccia passa la formica
che è il terrore e la rabbia e lo sbalordimento.
E li, ben lavati, con la barba rasata,
seduti sulle casse di legno, o, come i più impudenti,
attaccati alla staccionata, che sembrano accarezzare 
   teneramente gli sten,
o che tra il ridere e il parlare, annusano crescere gli odi
gli occhi lividi delle camicie nere
uno fuma, un altro piscia, un terzo sputa, 
e un delinquente, col suo modo di fare pieno di merda
con le mani rosate sui fianchi cerca gli occhi che 
   gli si negano...
O gente milanese,
voi, gente laboriosa,
in mezzo a noi una povera donna scoppia a piangere,
ed è una febbre che trema per la piazza
e fa smagrire le facce che stringono i denti a testa bassa.
   Ehi tu...!...si tu!... che vuoi?
   Manca qualcosa?
     Io...?
   Si, tu,
e un teppista col mitra puttana
afferra per un braccio quella che piange.
Io signore...?.
Tira su la testa!
e lentamente, 
come ride una baldracca, gli occhi bianchicci 
sbavano negli occhi che l'amore fa morire 
poi, calmo, tira secco uno sputo
tra i piedi nella polvere, e graffia come una lama
l'occhiata storta tra quegli uomini scorticati, [....]
Nella poesia l'uso del dialetto - messo volutamente in contrasto con l'italiano del milite fascista - rappresenta anche il senso di appartenenza alla collettività di una Milano profondamente offesa dal massacro. Dal libro "Con la Violenza La Pietà" Antologia curata da Franco Fortini - Edizioni Interlinea


I martiri di Piazzale Loreto

aligi sassu
1944, olio su tela, cm 150 x 200, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma (da http://www.aligisassu.it)

Il dipinto, esposto alla mostra veneziana del 1952, la Biennale del realismo, dove venne acquistato dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, ripropone una delle costanti tematiche di Sassu: la dialettica tra la resa della realtà contemporanea e l'attualizzazione del mito. Lo stesso artista ricorda: "Ho dipinto I martiri di Piazzale Loreto nell'agosto 1944, subito dopo aver visto il ludibrio che la canaglia repubblichina faceva dei corpi dei nostri fratelli. Eppure vi era in me, nel fuoco e nell'ansia che mi agitava, nel cercare di esprimere quello che avevo visto, una grande pace e non odio, ma una tristezza immensa per la lotta fratricida. Da quei corpi sanguinanti e inerti sorgeva un monito: pace, pace".


Romeo Cerri
Seregno, 10 agosto 2002
rielaborazione da Omero