Rivoluzione Russa: una rivoluzione dentro e fuori i confini

Il laboratorio del partito novecentesco

E' impossibile separare la rivoluzione russa dalle ripercussioni sul movimento operaio internazionale del tempo. Le vicende dell'Ottobre e della conquista del potere politico da parte dei bolscevichi dimostrano piuttosto una capacità simultanea di lettura dello sviluppo e della composizione della società russa, quanto degli squilibri mondiali del capitalismo. La presa del Palazzo d'Inverno è, innazitutto, lo sbocco politico dei nodi che segnano la questione nazionale russa. «Il regime zarista è stato rovesciato - afferma lo storico Ernest Mandel nel saggio Ottobre 1917 - nel febbraio del 1917, vale a dire otto mesi prima della Rivoluzione d'ottobre. E' allora che sono nati i Soviet, i consigli degli operai, dei contadini, dei soldati. Eppure, all'inizio di quel periodo cruciale i bolscevichi non erano maggioritari nei Soviet e non erano al potere. Erano altre le forze politiche, borghesi liberali e mensceviche, che hanno costituito il governo provvisorio e che hanno avuto modo di fare i loro tentativi. Ma esse si sono rivelate incapaci di risolvere l'insieme dei problemi scottanti che la situazione poneva. Tale incapacità spiega appunto la progressiva crescita d'influenza bolscevica e la comparsa di una nuova situazione rivoluzionaria nell'autunno». Non è soltanto il compito della pace immediata e della fine di un massacro sanguinoso come la Prima guerra mondiale a dominare tra le necessità del momento. Il frangente storico lascia aperte le grandi questioni dello sfruttamento operaio, della miseria dei contadini e della trasformazione delle istituzioni repressive e autocratiche del regime zarista.

La questione operaia

Per quanto lo sviluppo di un'economia capitalistica fosse nella Russia del tempo in uno stato solo iniziale - l'industria nazionale non è competitiva sul mercato mondiale e viene sorretta per lo più da un espansionismo militare verso paesi come l'Afghanistan, la Turchia, l'Iran, la Cina e la Corea - il problema delle condizioni di vita e di salario dei lavoratori è ben presente. La media della giornata lavorativa raggiunge, all'epoca, le dieci ore, senza contare gli straordinari che aggravano ulteriormente il regime interno della fabbrica. Lo storico Pokrovski descrive così le condizioni di vita degli operai russi alla fine del XIX secolo: «Il 63,7% degli operai erano analfabeti. Nelle fabbriche di Mosca, i lavoratori tessili erano quasi regolarmente costretti a dormire sui telai. Tutta la famiglia dormiva infatti su telai lunghi due metri e mezzo e larghi due. Dovevano ripulire le stanze sporche con i loro abiti. I padroni dichiaravano al medico che ai lavoratori "piaceva" vivere a quel modo». La conquista del potere politico e il controllo operaio sull'intera produzione economica non sono la fuga in avanti di un partito settario, il prolungamento di un'utopia astratta, ma la risposta articolata a una realtà tangibile. Del resto, le iniziative di controllo operaio si moltiplicano spontaneamente, alla vigilia e immediatamente dopo la rivoluzione d'Ottobre. Spesso, sfociano nell'occupazione e nell'esproprio di fabbriche, contro le misure prese dai vertici industriali di serrate e licenziamenti. Anzi, è riscontrabile persino nei dirigenti bolscevichi, a partire dallo stesso Lenin, una certa cautela iniziale, accompagnata da una dose di realismo nel sottolineare la rivoluzione internazionale come condizione indispensabile alla sopravvivenza di quella russa.

I contadini

Né l'assalto al cielo avrebbe avuto possibilità di successo se non tenendo conto dell'altro grande nodo irrisolto della storia nazionale russa: la questione agraria. Non solo i contadini rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione, l'enorme «forza motrice» della rivoluzione, ma le loro condizioni di indigenza e povertà pongono innanzitutto il problema di una radicale trasformazione dei rapporti di proprietà della terra. Nel 1905 i grandi possedimenti sono concentrati nelle mani di un 15, 8% dei proprietari. «La conclusione è evidente: i contadini - scrive ancora Mandel - potevano ottenere la terra che mancava loro solo sopprimendo la grande proprietà nobiliare e borghese. Finché tale rivoluzione agraria non si fosse realizzata, i contadini avrebbero solo potuto continuare ad affittare terre appartenenti ai grandi proprietari. Al termine del XIX secolo, nella cosiddetta zona delle "terre nere" (il cuore della Russia), costoro concessero in affitto ai contadini il 50% dei loro possedimenti. Il prezzo della concessione in affitto era estremamente elevato e raggiungeva in certi casi il 50% del raccolto». E' proprio questa capacità di articolare politicamente il nesso tra il movimento operaio e i fenomeni spontanei di occupazione delle terre da parte dei contadini, prima e dopo l'Ottobre, a venir recepita dai contemporanei come il tratto più originale della soluzione prospettata dalla rivoluzione russa ai problemi dello sviluppo nazionale - condensata nella formula del «governo operaio e contadino». Un'articolazione che ha il suo strumento formidabile nei Soviet, nella pratica di una democrazia reale dal basso che rompe i limiti del parlamentarismo.

La lettura gramsciana

Ma è anche la concezione del partito, del rapporto tra direzione politica e movimenti spontanei delle masse a mutare di conseguenza. Una formazione minoritaria, quanto a numero di quadri e di iscritti, non avrebbe mai potuto giungere alla presa del potere politico se non mantenendosi a stretto contatto con le disposizioni, gli umori, gli stati d'animo delle masse raccolte in organismi apartitici come i Soviet. E se, da un lato, la rivoluzione d'Ottobre non può essere descritta come lo sbocco di un movimento spontaneo, dall'altro, il momento della direzione politica va visto come frutto di un lavoro instancabile, continuo e contiguo tra gli operai, i contadini, nell'esercito, con una disposizione recettiva verso le istanze spontanee.

E' questo, del resto, la sostanza di un metodo nel quale Gramsci individuerà l'atto fondativo di un nuovo movimento comunista internazionale. Ne è una prova l'articolo da lui pubblicato sull'"Avanti" non appena giungono le notizie della rivoluzione russa (di cui pubblichiamo un brano in questa stessa pagina). In primo piano emerge il tratto soggettivo, l'intervento della volontà nelle crisi storiche - contro alle applicazioni schematiche delle formule marxiste - che a suoi occhi il leninismo rappresenta. «I fatti - scrive - hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico». E' la rottura con la tradizione dei partiti socialisti, con una teoria della passività sostenuta dalla fede nella oggettiva inevitabilità della crisi del capitale e del trionfo della rivoluzione. Proprio da questo intreccio tra modello del partito bolscevico e nascita dei partiti comunisti del Novecento prenderà corpo il percorso politico e teorico di Gramsci. L'organizzazione delle classi subalterne, il ruolo degli intellettuali, lo studio della cultura popolare, la direzione politica saranno le grandi questioni attraverso le quali Gramsci rielaborerà i contenuti della rivoluzione russa e la possibilità della sua esportazione in Occidente.

Tonino Bucci
Roma, 7 novembre 2002
da "Liberazione"