Il 12 dicembre e la trentennale strategia della tensione

Quelle bombe che precedettero la strage

Gli avvenimenti del 12 dicembre 1969

Ben 34, secondo i dati ufficiali del Ministero degli Interni, saranno gli attentati nella primavera del 1969. 22 solo tra il 15 aprile ed il 12 dicembre. Alla fine dell'anno se ne conteranno 140, fra esplosioni ed incendi. Più di uno ogni tre giorni.

Quelli della primavera non saranno solo piccoli episodi dimostrativi. Il 25 aprile a Milano la bomba alla Fiera Campionaria farà 20 feriti. Nello stesso giorno, negli uffici cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni, un'altra esplosione con altri feriti. Solo per ragioni fortuite non ci scapperà il morto. Per questi due episodi, è bene ricordare, verranno riconosciuti responsabili e condannati con sentenza definitiva Freda e Ventura.

Ma siamo ancora nella fase preparatoria della strage.

In agosto un'ulteriore accelerazione. Dieci treni vengono presi di mira da altrettanti attentati. Otto gli ordigni che esplodono, due quelli che rimangono inattivi per difetto dei congegni di innesco. 12 i feriti tra ferrovieri e viaggiatori.

Mentre si imbocca la "pista anarchica", sostenuta anche in Parlamento dal Ministro degli interni Franco Restivo, il gruppo di "Ordine Nuovo" pianifica la strage. Il 18 aprile si tiene a Padova una riunione ( su cui indagò a lungo il giudice di Treviso Giancarlo Stiz nel '71), presente il gruppo di Freda e Ventura e il misterioso "Signor P" ( così definito dallo stesso Freda nel corso di una telefonata intercettata). Il "Signor P. " non era altri, secondo le stesse dichiarazioni che rilasciò Marco Pozzan, presente alla riunione, che Pino Rauti. Come è noto Marco Pozzan, divenuto testimone pericolosissimo ritrattò successivamente. Verrà fatto fuggire dai servizi segreti in Spagna per sottrarlo ai giudici. La registrazione della telefonata di Freda verrà a lungo tenuta nascosta dal capo dell'Ufficio Politico della Questura di Padova Saverio Molino.

Il 4 ottobre

Ma gli ordigni utilizzati dagli stragisti in questa fase non sono ancora sicuri, gli inneschi troppo rudimentali. E' solo lungo il percorso dei moltissimi attentati della primavera e dell'agosto che verranno progressivamente perfezionate le tecniche con il contributo di "esperti". E' questo il momento dell'entrata in scena di Carlo Digilio, l'armiere di "Ordine Nuovo", oltre che agente dei servizi segreti statunitensi, collegato alla base Nato di Verona (oggi decisivo collaboratore di giustizia sull'intera vicenda).

Un punto di svolta, nell'evoluzione delle capacità tecniche del gruppo stragista, è rappresentato dall'attentato fallito il 4 ottobre alla scuola slovena di Trieste. La bomba preparata e lasciata su un davanzale di una delle finestre della scuola verrà scoperta da un bidello. Aveva un potenziale doppio rispetto all'ordigno che verrà utilizzato per Piazza Fontana.

Il giorno era quello della visita in Yugoslavia del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. L'episodio sarà tenuto segreto per qualche anno. Lo si conoscerà solo nel '71. Si disse: "un atto dimostrativo". La stessa tesi che qualcuno sostenne anche successivamente per spiegare le vere intenzioni degli attentatori di Piazza Fontana: un "botto" andato male, in origine voluto per causare solo danni materiali.

Il 12 dicembre, la strage

Saranno cinque le bombe che esploderanno quel venerdì, 12 dicembre 1969: tre a Roma (alla Banca Nazionale del Lavoro e all'Altare della Patria) e due a Milano.

La bomba depositata alla Banca Commerciale Italiana, in Piazza della Scala, non deflagrerà. Sarà invece quella all'interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura a provocare alle 16,37 la strage: 16 morti e più di 80 feriti.

A portare la borsa contenente l'esplosivo e a depositarla sotto il bancone del salone centrale della banca, con ogni probabilità è Delfo Zorzi in persona, il responsabile militare dell'azione. Nella funzione di supporto "logistico" Giancarlo Rognoni ed il gruppo de "La Fenice", la sezione milanese di "Ordine Nuovo".

Scrive il giudice Salvini: «E' probabile che gli attentati del 12 dicembre 1969 avessero la finalità di favorire il programma del golpe che era già programmato per la fine del '69 sull'onda della paura e del disordine creati dal ripetersi di fatti che, come le bombe sui treni e nelle banche, colpivano semplici cittadini».

Ma quali possono essere state le sponde politiche e istituzionali per un simile progetto? Secondo il settimanale inglese The Observer (divenuto famoso all'epoca per il contenuto di alcuni suoi articoli di denuncia della "strategia della tensione"), da una parte lo stesso Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, propugnatore di un'ipotesi autoritaria di tipo "gollista", e dall'altra settori delle gerarchie militari e dei i servizi segreti, neofascisti e destra estrema, favorevoli ad un "golpe" vero e proprio sul modello "greco". Su ambedue i tavoli gli uomini e le strutture della Cia e delle basi Nato.

La figura di Mariano Rumor, all'epoca presidente del Consiglio, è stata così descritta dal giudice Salvini: «La punta dell'iceberg politico-militare che avrebbe dovuto utilizzare per un colpo di mano gli avvenimenti del 12 dicembre 1969».

Sarà la reazione popolare, a partire dalla partecipazione imponente ai funerali delle vittime in Piazza Duomo, a far momentaneamente rientrare questi progetti, a spaventare Mariano Rumor e i "golpisti".

Ma la strage del 12 dicembre è solo il primo tentativo. Il progetto di scardinamento delle istituzioni repubblicane e del regime democratico proseguirà.

Depistaggi e coperture

Depistaggi e coperture hanno costantemente accompagnato e seguito ogni passo delle vicende legate alla "strategia della tensione".

Qualche episodio: la rimozione del Capo della Squadra Mobile di Padova, Pasquale Juliano (da parte di Elvio Catenacci, direttore dell'Ufficio Affari Riservati) che aveva già individuato nella primavera del '69 i piani e la natura del gruppo di Freda; l'assassinio, presto archiviato come "morte accidentale", di Alberto Muraro, portiere di uno stabile a Padova che avrebbe confermato le supposizioni e le indagini del Commissario Juiliano; le testimonianze, occultate sempre dall'Ufficio Affari Riservati, rilasciate soli quattro giorni dopo la strage dalla commessa e dal proprietario della valigeria "al Duomo" di Padova, che avevano riconosciuto immediatamente, dalle foto apparse sui quotidiani, le borse contenenti le bombe utilizzate per compiere gli attentati e da loro vendute in quattro esemplari il 10 dicembre; le telefonate di Freda intercettate e registrate, anche quelle in cui si procedeva all'acquisto dei timers, a lungo nascoste; la decisione di far saltare 4 ore dopo Piazza Fontana la bomba inesplosa ritrovata in Piazza della Scala, distruggendo prove ed indizi fondamentali alle indagini.

Coperture, ma anche protezioni, gestite direttamente dai vertici dei servizi segreti: dall'espatrio di Marco Pozzan a quello di Guido Giannettini (fascista, agente dei servizi, indagato dal giudice D'Ambrosio sui suoi collegamenti con la cellula nera di Padova), e di Stefano Delle Chiaie, fondatore di "Avanguardia Nazionale", latitante per 17 anni.

E' questa una storia anche di sangue. Alcuni moriranno misteriosamente, come Armando Calzolari (fascista, esperto sub, annegato in pochi centimetri d'acqua nella campagna romana dopo aver espresso il proprio dissenso riguardo la linea degli attentati) e l'avvocato Vittorio Ambrosini ( precipitato da una finestra della clinica in cui era ricoverato dopo aver dichiarato di conoscere gli autori di Piazza Fontana).

La verità era dunque a portata di mano, da subito, si potrebbe dire da prima che le stragi potessero essere commesse. Eppure nulla accadde.

Saverio Ferrari
Milano, 12 dicembre 2002
da "Liberazione"