Capitalismo contro natura.

Pace e ambiente

A Roma la conferenza organizzata dal Forum Rosso-Verde

In un bel documento preparato a Nizza (dicembre 2000) da parte di intellettuali e scienziati francesi, nel corso del Forum dei movimenti sociali e ambientalisti venuti da tutti i Paesi europei per contestare la Carta dei diritti sociali approvata dal Consiglio europeo, si trova una bella “definizione” di sintesi ai processi di competizione globale che caratterizzano questa nuova fase del capitalismo. Essa viene definita come “competizione e crescita senza sviluppo”, senza maggiore occupazione e che si traduce in impoverimento assoluto, imponendo la trasformazione delle classi, delle fasce medie in fasce sempre più marginali della società a causa dello sviluppo delle nuove tecnologie, soprattutto quelle informatiche e telematiche, che permettono aumento di produttività, calo dell'occupazione e processi delocalizzativi della produzione di merci. Si riafferma cioè, che nel modo di produzione capitalistico c'è spazio solo per la massima crescita quantitativa indifferente alla qualità del valore d'uso convertito in merce, in particolare oggi, in un regime di concorrenza feroce globalizzata e tradotta in scontro per poli geo-economici.

L'“affare” mucca pazza.

Se l'analisi di questi scienziati ed economisti francesi è corretta, non serve a nulla disquisire sulla cosiddetta “crescita diversa” e su nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Tali concetti, introdotti dagli ambientalisti e dai movimenti verdi europei per giustificare una scelta politica di governo, dopo circa dieci anni, non hanno prodotto alcun mutamento sostanziale della “qualità dello sviluppo” nei paesi europei ed hanno contribuito a peggiorare la qualità dell'ambiente europeo, come dimostrano i dati ambientali raccolti nel secondo rapporto Doblin. In realtà, come ha giustamente osservato Virginio Bettini (nel suo manifesto ambientalista per gli anni 2000), il concetto di sostenibilità nasconde quello di artificializzazione e di continuo passaggio dalla dinamica degli equilibri naturali a quella degli equilibri artificiali. E' questa la ragione economica dell'“affare” mucca pazza, 10 anni fa giustificato dalla scarsità di cibo nel mondo, così come oggi le grandi multinazionali alimentari giustificano le manipolazioni genetiche su piante e colture per ridurre gli effetti destabilizzanti della crescita demografica nel Terzo e nel Quarto mondo. L'operazione di consenso culturale e mediatico ai processi di globalizzazione sfrutta abilmente le categorie della solidarietà verso i popoli più poveri e del miglioramento della qualità dell'ambiente naturale e di vita, congiungendo (e confondendo) le politiche neo-Keynesiane della Sinistra a quelle del liberismo senza vincoli della New Economy.

Manipolazioni capitali

Già alcuni anni fa, Jeremy Rifkin aveva ammonito i movimenti ambientalisti che la via delle tecnologie ecologiche per arrivare ad un'organizzazione fondata su risorse rinnovabili è troppo lenta ed inefficiente per gli interessi delle compagnie multinazionali e per mantenere gli attuali livelli di crescita dei Paesi capitalisti più ricchi (Usa e Giappone). Per questo motivo è divenuto essenziale manipolare la biologia del Pianeta per accelerare la conversione della materia vivente al di là dei tempi propri della natura, creare un mercato monopolistico dei geni e dei relativi brevetti di proprietà commerciale, mantenendo così l'egemonia politico-economica sui Paesi il cui sviluppo dipende ancora pesantemente dall'utilizzo di risorse energetiche e naturali non rinnovabili e garantendo l'indice di crescita della propria economia in costante espansione. Se oggi, assistiamo alla ripresa di un caro petrolio a guida degli Usa (capaci di effettuare forti manovre oligopolistiche sull'Opec) che, in Europa, ha triplicato il prezzo in un anno senza reali motivazioni economiche moltiplicando gli effetti inflazionistici, viene da pensare che l'arma della crisi del petrolio (oggi, come negli anni 70) è rivolta contro il blocco economico europeo per timore che la moneta unica appena nata si possa rafforzare sui mercati e diventare strumento di riserva internazionale. In questo stesso periodo, un'altra arma, il caro dollaro, ha fatto perdere all'euro il 27% del suo valore in poco più di un anno, permettendo ad enormi capitali europei di trasferirsi negli Stati Uniti, favoriti dagli alti tassi e dalla gonfiata vitalità di un'economia americana finanziata proprio da questi capitali. Dunque, l'effetto congiunto del caro petrolio addossato ai produttori ma gestito dalle multinazionali americane, del caro dollaro determinato da un'economia americana apparentemente forte, in realtà drogata attraverso i flussi dei capitali europei, della volatilità in borsa dei titoli tecnologici (Net Economy) determina la debolezza dell'euro, favorisce i governi europei nel ricatto delle politiche di stabilizzazione, nell'accelerare le riforme strutturali del Welfare e delle politiche sui redditi, attaccando il salario sociale per favorire i profitti, le ristrutturazioni e riconversioni industriali con politiche tutte favorevoli alle imprese, sottraendo così enormi risorse a quel Piano di riconversione ecologica del territorio e delle città, sul quale dovrebbe fondarsi uno sviluppo “qualitativamente diverso”.

Nemici della natura

In questo quadro globale, è ragionevole pensare ad una riconversione ecologica dello sviluppo, ad uno sviluppo senza crescita, per usare le parole di Raquel Carson, progenitrice della cultura ambientalista negli anni '70? E la riattualizzazione della guerra come strumento di soluzione dei conflitti geoeconomici, attraverso lo “schermo protettivo” dell'ingerenza umanitaria, non rappresenta un'innovazione altrettanto pericolosa della superata Guerra Fredda? Porsi questi interrogativi è premessa indispensabile per riannodare molti fili dispersi tra economia ed ecologia, dispersi dal grande frullatore della politica e della comunicazione. Inoltre, è tempo di un bilancio serio, in Italia come in Europa, dei risultati dei processi di globalizzazione e della qualità degli effetti di tali processi sull'ambiente, sulla salute, sulla cultura. Sono i fatti concreti che smentiscono i successi sociali ed ecologici sia delle ricette liberiste che di quelle riformiste dello sviluppo. Se l'analisi strutturale sopra svolta è corretta, comprendiamo bene perché l'Unione Europea subisce la propria debolezza politica rispetto ad altri Poli geo-economici, pagandone le conseguenze nei termini di una crescita che non si accompagna ad uno sviluppo economico-sociale generale, ad incrementi dei consumi, a forme redistributive della ricchezza verso il fattore lavoro, ad un miglioramento della qualità ambientale nelle città e nel territorio, ad un elevamento delle condizioni sanitarie della popolazione. Mai come oggi, davanti ad una nuova fase della competizione globale capitalistica, il capitale si rivela oggettivamente contro la natura, senza mediazioni o compromessi ecologici. Ne è testimonianza paradossale ma chiara la tragedia dei militari occidentali e delle popolazioni nemiche in Iraq, in Bosnia e Kosovo entrambi colpiti dalle radiazioni a basse dosi causate dalle migliaia di proiettili ad uranio impoverito (ma per questo non meno pericoloso dell'uranio arricchito) scaricate dalle forze Nato nella guerra del Golfo e in quella della ex Jugoslavia. Le ragioni politico-economiche del capitale arrivano a mettere nel conto il prezzo dell'autodistruzione e della contaminazione nucleare a tempi indefiniti di interi Paesi e di intere comunità. Se le radiazioni di Chernobyl scatenarono la reazione civile di milioni di uomini in ogni paese europeo, quale reazione equipollente dovremmo attenderci dal rischio che migliaia di soldati e volontari occidentali e di milioni di esseri umani bosniaci, serbi, kosovari, albanesi, irakeni, curdi, sciiti (non occidentali!) contraggono malattie irreversibili o letali da guerra progettate per ristabilire l'ordine geo-politico mondiale, anche al prezzo di contaminare in modo irreversibile la natura entro cui viviamo?

Un nuovo progetto

Di questi ed altri temi parleremo nel corso della conferenza organizzata dal Forum Rosso-Verde presso la Protomoteca del Campidoglio a Roma, domani alle ore 9.30, insieme al compagno Fausto Bertinotti. Si tratta della prosecuzione di un dibattito politico ambizioso tra le forze ambientaliste e pacifiste italiane sia per demistificare il pensiero debole entro cui si è confinato l'ecopacifismo di governo italiano, sia per costruire una riunificazione a livello locale ed internazionale di un ambientalismo radicale diffuso ma apparentemente impotente di fronte ai poteri transnazionali e nazionali che influenzano il peggioramento delle condizioni di vita e della qualità ambientale nel nostro Paese. Per questo dobbiamo accogliere positivamente la grande opportunità dataci dalla redazione di “Liberazione” di proseguire con continuità (a partire dal mese di febbraio) questo fertile dibattito sulle pagine dell'inserto mensile “capitalismo, natura, società” diretto dall'instancabile Giovanna Ricoveri. Vediamoci a Roma e costruiamo il percorso, le idee, il progetto di un movimento rosso-verde alternativo. E' l'ora!
Enrico Falqui
Roma, 12 gennaio 2001
da "Liberazione", 12 gennaio 2001.