San Giuliano e i suoi bimbi morti: il futuro anteriore di un'Italia impossibile

Stragi dell'incuria e del degrado ambientale

Vedremo le foto sorridenti - di un compleanno, di un carnevale, del primo giorno di scuola - di questi piccoli angeli ormai schiantati sotto le macerie, spezzati dall'urto del cemento o asfissiati nei loro cunicoli senza ossigeno.
Come in una sorta di "Spoon River" dell'infanzia, questo rosario di lutti inconsolabili aggrappati sul cucuzzolo dell'Appennino molisano: questo canto di morte bambina sembra non appartenere al repertorio della cronaca nera, sembra sgorgare direttamente dal cuore di una tragedia classica.
Sentiremo il pianto senza tempo e senza misura delle madri, dei padri, dei fratelli, delle sorelle, dei nonni, delle nonne: quel pianto che è urlo e nenia, lacerazione del ventre, impazzita altalena di culle e di bare bianche, maledizione del cielo.
Impareremo il nome di paeselli sconosciuti, minuscole chiazze di storia sociale e di sedimenti urbani che da millenni si arrampicano sulle colline e sulle montagne, come tanti presepi sospesi in una geografia arcaica abitata da donne anziane ancora vestite tutte di nero e tagliata da viuzze odorose di campagna e di buon cibo.
Scopriremo un'Italia laterale e sorprendente, disseminata in nicchie quasi dimenticate da dio e dalla protezione civile, sfiorata dalla modernità televisiva dei riti americani delle streghe di Halloween e ferita dalla modernità affaristica dei riti italiani dell'urbanistica di rapina e della speculazione edilizia.

Questa è l'Italia del Belice e del Vajont, dell'Irpinia e di Gemona, di Sarno e di Soverato, del fango e della terra che trema, del dissesto idrogeologico e degli eco-mostri, dei palazzoni tirati su col cemento "disarmato" e con le fondamenta piantate sulla sabbia, il Bel Paese della sete e degli allagamenti, delle alture disboscate e ormai calve e spesso sbudellate dai cavatori di pietra, delle belle coste spappolate e strozzate dal cemento, dei fiumi spazzatura che bevono i residui della chimica e ogni genere di tossina, delle discariche abusive che si moltiplicano come funghi velenosi nel nome del ciclo virtuoso della camorra.


Oggi tutta l'Italia è qui - la sua storia e le sue qualità ricchissime e i suoi vizi profondi e resistenti - è qui, in questo villaggio tranquillo e laborioso del Sud, in questa comunità recisa e trafitta, a San Giuliano di Puglia: di fronte a un dolore la cui crudeltà è indicibile, di fronte all'insopportabile rendiconto dei morti, di fronte alla generosità dei vivi, di fronte all'esodo forzato di un'intera comunità, di fronte all'ipocrisia dei potenti.
Qui ogni famiglia forse ha un lutto, ogni famiglia non ha più casa. Vedremo, sentiremo, scopriremo: e poi, dopo il soccorso e la solidarietà, dopo la condivisione del pianto e della preghiera, dopo il silenzio che merita questa strage di innocenti, avremo l'obbligo morale e politico di dire, di giudicare. Noi giudicheremo.
Non dentro la girandola penosa delle ritorsioni immediate e meschine e delle strumentalizzazioni propagandistiche: davvero qualcuno se la sente di accanirsi contro quel sindaco di San Giuliano che non ha ordinato la chiusura delle scuole, dopo gli eventi sismici della notte? quel sindaco che abbiamo visto, livido e senza sguardo, scavare tra i calcinacci, cercare disperatamente i suoi due figli sepolti come tutti gli altri bimbi, saperne infine vivo il maschietto e uccisa la femminuccia, la sua Antonella? Non scherziamo.
Ora non si sa neppure come sia nata questa finta polemica di cartapesta. Non tocchiamo i nervi scoperti del dolore.
Vediamo invece di mettere ordine nella catena delle responsabilità e delle cause di eventi che solo apparentemente sono "catastrofi naturali", ma il cui effetto di devastazione e morte è spesso inscrivibile nella rubrica "catastrofi artificiali": cioè stragi dell'incuria e del degrado ambientale, della fragilità di territori spolpati dalla voracità speculativa, dello smantellamento sistematico di quell'organizzazione della prevenzione e della protezione che dovrebbe essere in grado di allertarci, di informarci, di soccorrerci con rapidità ed efficienza.

E allora diciamo che in un borgo dove resistono, benché lesionate, tutte le costruzioni più antiche, come quelle cinquecentesche, si accascia invece in un tonfo, come un castello di carte da gioco, un edificio di recente costruzione, la scuola materna-elementare-media di Via Giovanni XXIII numero 5: edificio ristrutturato soltanto da un anno, oppure solo rinfrescato col colore alle pareti, con una copertura di cemento armato troppo pesante oppure troppo marcia per una struttura con muri e architravi troppo leggeri, di burro.

E poi diciamo che nessuna autorità ha saputo leggere i segnali premonitori degli episodi tellurici della notte: forse siamo dinanzi alla fatalità di un fatto imprevedibile? Ma allora chiediamo alle competenti autorità quanti sono gli specialisti che lavorano al sismografo, che elaborano i dati, e come funziona l'Istituto nazionale di Geofisica, di quante risorse e di quanto personale dispone quello che dovrebbe essere un avamposto attrezzatissimo e di prima qualità in una nazione che ha le caratteristiche geomorfologiche dell'Italia? E la protezione civile, dov'è la protezione civile? già: esiste la protezione civile?


Il rasoio di queste domande dovrebbe sfregiare la maschera della politica ufficiale: quella del berlusconismo impegnato a rilanciare le Grandi Opere inutili e distruttive dell'ambiente, ma anche quella di un centro-sinistra incapace di spendere la propria progettualità sul terreno inclinato della cura, del riassetto, della manutenzione del territorio.

Ecco, vedetelo da san Giuliano, il futuro pomposo dei Ponti sullo Stretto e delle altre piramidi alla Lunardi. Misurate su queste macerie le ambizioni e le miserie di una classe dirigente. Giudicatelo con gli occhi di questi sepolti e di questi sopravvissuti, di questi poveri molisani attratti nell'orbita di una tragedia che segnerà i nostri calendari, giudicatelo così quel Potere che celebra se stesso nella liturgia degli appalti e delle false promesse.

Ai funerali diranno: mai più. Pronunceranno omelie di regime, tapperanno le bocche ai vulcani e metteranno la camicia di forza al terremoto. Mai più. Fino alla prossima scossa, fino al prossimo crollo, fino alla prossima strage annunciata. Questo è san Giuliano e i suoi bimbi morti: il futuro anteriore di un'Italia impossibile.

Nichi Vendola
San Giuliano di Puglia, 2 novembre 2002
da "Liberazione"