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Le dighe del Lesotho

Corruzione multinazionale e Banca Mondiale

E' il secondo più grande progetto al mondo di gestione delle acque, superato solo dalla faraonica diga delle Tre Gole sul fiume Giallo, in Cina. Il Lesotho Highlands Water Project, varato nel lontano 1986, si è trasformato nel corso degli anni in un pasticcio con tutti gli ingredienti dello scandalo internazionale: tangenti per due milioni di dollari, multinazionali sotto accusa e diritti calpestati.

Piccola enclave in territorio sudafricano ed ex colonia britannica, il regno del Lesotho si estende per poco più di 30 mila chilometri quadrati, costituiti per la maggior parte da altipiani e montagne che ne fanno la piccola Svizzera dell'Africa meridionale. Le analogie con la Svizzera si fermano però alla morfologia: il Lesotho è un paese povero, che vive di agricoltura e allevamento e dipende in gran parte dagli aiuti finanziari del vicino Sudafrica, dove molti dei suoi abitanti emigrano per lavorare nelle miniere. La risorsa principale del paese è l'acqua: un bene destinato a diventare sempre più prezioso.

Il Lesotho Highlands Water Project vede la luce a metà degli anni Ottanta per trasferire numerosi metri cubi d'acqua in Sudafrica, nella regione di Guateng, e produrre energia elettrica per il Lesotho. Il Guateng è un'area ad alta densità industriale che produce, insieme al distretto di Johannesburg, il 60 % del Pil dell'intera Africa australe.

Il fornitore designato dell'acqua è il fiume Senqu, che nasce negli altipiani del Lesotho e prende più a sud il nome di fiume Arancione, per sfociare infine nelle acque dell'Atlantico al termine di un viaggio lungo mille e 500 chilometri. Le opere in programma sono a dir poco imponenti: sei dighe, altrettanti tunnel e due stazioni di pompaggio. Fine prevista dei lavori: 2027. In quell'anno 70 metri cubi d'acqua al secondo dovrebbero affluire verso il fiume Vaal, nella regione di Guateng.

Prime falle, primo scandalo

Ma qualcosa va storto e il progetto comincia a mostrare le prime falle. Si affaccia l'ombra della corruzione: una decina di multinazionali sono accusate di aver pagato salate tangenti per aggiudicarsi gli appalti multimiliardari del progetto. La prima testa a accadere è quella dell'ex direttore del progetto, Masupha Sole, condannato a 18 anni di reclusione per truffa e corruzione, il 4 giugno 2002, da un giudice del Lesotho, Brendan Cullinan. Dopo un'approfondita indagine, Cullinan accerta che l'ex direttore si è messo in tasca ben due milioni di dollari gentilmente offerti, con i più vari stratagemmi, dalle multinazionali interessate agli appalti. Una storia di ordinaria corruzione che non avrebbe varcato i confini africani se non avesse coinvolto i colossi internazionali delle dighe. Tra questi una nota impresa milanese, l'Impregilo, il gigante italiano delle infrastrutture, che si è sempre dichiarata innocente.

Il ragionamento dell'accusa è semplice: se qualcuno le tangenti le ha intascate, qualcun altro deve averle pagate. E così i giudici richiedono e ottengono che le multinazionali siano processate una per una dall'Alta Corte del Lesotho. Una di queste, la canadese Acres International, è già stata condannata lo scorso settembre per aver messo nelle tasche di Sole più di 200mila dollari. Sotto processo sono ora la tedesca Lahmeyer e la francese Spie Batignoles. L'Impregilo aspetta il suo turno. L'impresa italiana ha guidato con una quota del 22% la Highlands Water Venture, che ha costruito le due dighe di Katse e di Mohale, le più grandi del progetto. L'Impregilo è accusata di aver versato per via diretta 250mila dollari di tangenti, mentre la Highlands Water Venture - composta in tutto da sette società - avrebbe pagato a sua volta 733mila dollari. Accuse su cui i giudici dovranno far luce.

Le responsabiltà della Banca mondiale

Il caso Lesotho interessa da vicino anche istituti del calibro della Banca mondiale, della Banca europea per gli investimenti e del Fondo europeo per lo sviluppo, tutti cofinanziatori del progetto. La Campagna per la riforma della banca mondiale (Crbm), organizzazione che segue da anni la vicenda, sottolinea come la Banca mondiale si sia a lungo opposta alla sostituzione dell'ex direttore Sole e abbia assolto con molta fretta, dopo un'indagine interna, i funzionari incaricati di seguire il progetto. La Banca mondiale dice inoltre di non aver trovato prove contro le tre compagnie da essa direttamente finanziate: nessuna società è così finita nella lista nera dell'istituto, fatto che avrebbe comportato la loro automatica esclusione per cinque anni dai finanziamenti. In quanto alla Banca per gli investimenti e al Fondo per lo sviluppo europei, a Bruxelles non sembrano intenzionati ad andare a fondo. Sentendo forse odore di "mani pulite", del caso si è interessato anche l'ex senatore Antonio Di Pietro, che lo scorso novembre ha presentato un'interrogazione al Parlamento europeo. Rispondendo all'interrogazione, il commissario europeo per lo sviluppo e gli aiuti umanitari, Poul Nielson, non ha escluso un possibile "uso improprio" delle risorse del Fondo per lo sviluppo.

La vicenda ha attirato l'attenzione di molte Ong e associazioni che premono per un maggior rigore nei controlli sui finanziamenti e per l'affermazione di una nuova etica del credito allo sviluppo. Il loro timore è che i processi in corso debbano essere interrotti per mancanza di fondi. Il pericolo è concreto, per questo i fautori di una cooperazione più trasparente chiedono che siano la stessa Banca mondiale e le altre istituzioni finanziatrici del progetto a contribuire alle spese processuali per evitare facili colpi di spugna.

Ma non ci sono solo corruzione e tangenti in questa storia africana. La Crbm denuncia anche l'impatto ambientale dei 200 chilometri di strade costruiti negli altipiani del Lesotho, i migliaia di ettari di terra arabile invasi dalla acque, le crepe aperte nelle case dagli esplosivi, gli inadeguati risarcimenti ai Basotho - l'etnia locale -, l'erosione dei terreni e i trasferimenti forzati di migliaia di persone. Forti dubbi aleggiano anche sulla capacità della Lesotho Highlands Development Authority, l'agenzia attuatrice del progetto, di far fronte agli interessi delle multinazionali e di ottenere i risarcimenti per i danni arrecati dai lavori ai locali. Altro effetto collaterale è il dilagare di Aids, alcolismo e prostituzione; piaghe esportate dai circa 20mila lavoratori arrivati in Lesotho per realizzare il progetto.

La protesta dei lavoratori

La manodopera locale ha manifestato più volte contro le ingiuste condizioni di lavoro. La tensione è sfociata nel 1996 in una protesta pacifica per il pagamento di alcune mensilità arretrate, quando la polizia ha reagito aprendo il fuoco e uccidendo cinque persone. Nessun agente è mai comparso davanti a un tribunale per rispondere di quei fatti e i risultati della commissione d'inchiesta non sono mai stati resi pubblici.

La storia non finirà qui. Molti presunti corruttori aspettano il verdetto dei tribunali, tre dighe sono state già costruite e l'acqua del Lesotho ha già cominciato a scorrere verso il Sudafrica. La speranza è che non trascini via con sé anche la giustizia.

Tommaso Battistini
Firenze, 20 marzo 2003
da "Liberazione"