Sono in molti a cercare di inserirsi nell’affare dei rigassificatori, un po’ com’è avvenuto per le nuove centrali termoelettriche

Cara Unione, sulle future politiche energetiche e sui rigassificatori occorre maggiore chiarezza

Il gas naturale liquido è costoso e pericoloso per l’ambiente. Meglio pianificare i consumi insieme alle popolazioni

In questi giorni, mentre festeggiavamo l’anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, a Torino si sprecavano due milioni di metri cubi di gas per mantenere acceso il “sacro fuoco” delle Olimpiadi invernali.

Questo è il modo con cui si spreca il gas in Italia. Così, mentre alle famiglie si chiede di abbassare il proprio riscaldamento e alcune aziende mettono in cassa integrazione gli operai per risparmiare gas e riceverne i benefici - attraverso il governo - dalle nostre bollette, scopriamo che, le nostre grandi multinazionali dell’energia, esportano parte di quel gas e dell’energia elettrica da esso prodotta, perché a loro conviene più che a rafforzare le scorte strategiche del Paese e far diminuire il prezzo interno.

Questa è la situazione in cui Rifondazione Comunista vuol dimostrare di non essere il partito dei no, ma che pone alcuni punti chiari, al paese e alla coalizione di centro sinistra. Mentre confermiamo il no chiaro e netto al nucleare, ad aumentare l’uso del carbone e dell’olio combustibile, riteniamo invece fondamentale una politica di massima efficienza energetica sia dal lato dell’offerta che della domanda: questo significa lo sviluppo di un sistema energetico sempre più decentrato nelle produzioni e nei consumi, aderente alle necessità di calore e di energia elettrica dei territori, in rapporto con le popolazioni locali.

Perché ciò avvenga, è indispensabile avviare una fase di transizione, durante la quale sarà fondamentale l’uso del gas, principalmente per due I motivi: permette un uso più flessibile degli altri combustibili fossili, dando così la possibilità di attivare ovunque possibile piccoli impianti in cogenerazione che garantiscano così il massimo rendimento nel fornire energia elettrica e calore, cosa quasi sempre impossibile con i grandi impianti nucleari o a carbone; produce meno inquinamento per unità energetica prodotta (anche se questo è meno vero che in passato, quando si nascondeva la produzione delle famigerate polveri sottili, primarie e secondarie); provoca molte meno emissioni di C02, riducendo lo squilibrio del nostro paese di fronte alla necessità di rispettare il Protocollo di Kyoto, sottoscritto, ma finora disatteso.

Questi punti li abbiamo sottoscritti anche nel programma dell’Unione, ma siamo preoccupati di quanto, troppi illustri rappresentanti dell’alleanza, si sbraccino nel sottolineare la necessità di realizzare terminali per l’approdo di navi metaniere e relativi rigassificatori per Gnl (gas naturale liquido).

Le motivazioni derivanti dalle attuali limitazioni nelle forniture di gas da parte della Russia, sono esagerate e tendono ad enfatizzare le quantità di quelle forniture nei confronti di quelle provenienti da altre parti come l’Algeria, la Libia e i mari del nord.

L’incidenza di quelle riduzioni sul totale del gas importato non ha mai superato il 2%. Ma soprattutto non si è preso in considerazione il comportamento delle grandi industrie energetiche di bandiera, che hanno praticato una politica scorretta nei confronti del paese per fare cassa, limitando così al minimo le riserve strategiche del nostro paese.

Proviamo ad esaminare alcuni aspetti riguardanti il Gnl. I sostenitori portano a favore due elementi: permette una maggiore diversificazione delle fonti; permette di ridurre il prezzo d’importazione. Sulla prima motivazione possiamo anche convenire, anche se le nostre importazioni sono già molto diversificate e, a proposito della maggiore stabilità di altre regioni, nutriamo forti dubbi, trattandosi prevalentemente di Nigeria e paesi del Golfo Persico.

In quanto al minor costo, ci pare molto improbabile che ciò possa avvenire, poiché al posto di ricevere il gas attraverso un grosso tubo, per il Gnl dobbiamo: passare attraverso un processo che porti il gas a –163°C, allo stato liquido (per ridurre il volume ad un seicentesimo); caricarlo e trasportarlo su una nave altamente tecnologizzata per mantenere il gas a quella temperatura e per la sicurezza, trattandosi di un elemento molto infiammabile particolarmente in quello stato; all’arrivo, riportare il gas allo stato naturale.

Appare subito evidente che questo sistema di trasporto impone due ordini di problemi, di costo energetico e di pericolo ambientale.

Sul primo, è evidente che i vari passaggi, ma soprattutto il mantenimento durante tutto il viaggio ad una temperatura così bassa, comportano un costo energetico non indifferente, si parla di almeno il 15% (l’unico impianto attualmente operante in Italia, a Panigaglia in provincia di Savona, dichiara una perdita del 2 % nel solo processo di rigassificazione). Le conseguenze sono evidenti, per fare un esempio: se una centrale a ciclo combinato ora funziona col 56% di rendimento, nel caso usasse gas proveniente da metaniere, il rendimento finale sarebbe poco superiore al 47%.

In quanto ai pericoli, è evidente l’enorme infiammabilità in caso di dispersione, gli stessi esperti del settore ne ammettono l’alta pericolosità. I più gravi incidenti si sono avuti, con decine di morti in Algeria nel 2004, e nel 2005 in Belgio. Ma anche per gli impianti in mare aperto, seppure con più ridotta pericolosità per le persone, esiste il pericolo per la fauna marina nel caso in cui la fase di rigassificazione (da -163°C a temperatura ambiente) provochi alterazioni alla temperatura delle acque circostanti.

Inoltre, chi sostiene l’importazione massiccia di Gnl, lascia intendere che questo sistema è molto sviluppato e comodo, ma se esaminiamo la situazione a livello mondiale, vediamo che ciò non è vero: 1) Eni stessa ammette che è “economicamente conveniente in mercati caratterizzati da bassi volumi”, situazione opposta alla nostra; 2) gli impianti di rigassificazione presenti nei vari continenti sono 46, di cui 25 in Giappone, 4 negli Usa e 3 in Corea.

In Europa, sono 4 in Spagna, 2 in Francia e 1 in Belgio, Portogallo e Italia.

Un possibile criterio con cui valutare l’entità del ricorso a questo sistema di approvvigionamento, può essere quello di verificare quanto avviene nel mondo: attualmente i volumi sono poco superiori ad un quinto delle importazioni totali nei vari paesi.

Il volume derivato da Gnl è di circa 450 miliardi di mc all’anno per 46 rigassificatori - cioè con una dimensione media di 9-10 miliardi di mc per rigassificatore; il gas consumato in Italia è di circa 80 miliardi di mc all’anno.

Approfittando del momento di poca chiarezza, sono in molti a cercare di inserirsi nell’affare dei rigassificatori, un po’ com’è avvenuto per le nuove centrali termoelettriche, le cui domande di autorizzazione hanno superato, come potenza, l’intero parco tedesco. Così le proposte per nuovi rigassificatori sono già una dozzina, e siamo sicuri che non tarderanno ad aumentare.

Questo avviene perché in un paese in cui la privatizzazione selvaggia ha sostituito in questi anni la pianificazione, così sono i vari produttori, nazionali ed europei, a contendersi il mercato. Riteniamo pertanto indispensabile una seria pianificazione nazionale in rapporto con le Regioni, prima di qualsiasi decisione. Intanto una cosa è certa, non potremo accettare impianti intrinsecamente pericolosi in territori popolati e/o densamente infrastrutturati, come il porto di Brindisi, Rosignano ed altre realtà simili. Ma nemmeno è accettabile che si faccia attraversare da un metanodotto di collegamento intere aree di alto valore naturalistico come il Parco del Delta del Po, come stanno proponendo.

Gianni Naggi
Roma, 3 marzo 2006
da "Liberazione"