Vent'anni fa la Germania si lanciava in un programma di riciclaggio su vasta scala che l'ha trasformata in leader mondiale del settore. Oggi i tedeschi possono perfino importare la spazzatura e trattarla - a caro prezzo - nei loro impianti ad alta tecnologia.

Inceneritori e discariche? La scelta è superata ...

Il mondo sta esaurendo le materie prime. L'unica vera soluzione è il riciclaggio

Indubbiamente, come scriveva ieri Tommaso Sodano su Liberazione, oltre a essere indecente il linciaggio mediatico del popolo inquinato ha un che di paradossale. Del resto i paradossi, quando si tratta di rifiuti, si sprecano. Come definire altrimenti l'attacco che il ministro Bersani ha scatenato qualche mese fa contro gli Ordini dei medici dell'Emilia Romagna colpevoli di avere scritto una lettera agli amministratori locali per chiedere «di non procedere alla concessione di nulla-osta alla costruzione di nuovi inceneritori» prima di avere completato lo studio sull'impatto che potrebbero avere sulla salute della popolazione. Ma questi medici di che s'impicciano? Gli inceneritori, come le discariche, s'hanno da fare, anche se violano tutte le normative che questo stesso Stato si è dato in materia di ambiente o di salute.

Di paradosso in paradosso, allargando il discorso al di fuori e al di là dell'emergenza, colpisce la totale incapacità di ragionare su tempi lunghi e di proporre - almeno in astratto - una vera svolta su di una questione - quella dei rifiuti - che è stata tranquillamente lasciata nelle mani della criminalità per vent'anni.

Già, vent'anni. Vent'anni fa la Germania si lanciava in un programma di riciclaggio su vasta scala che l'ha trasformata in leader mondiale del settore. Oggi i tedeschi possono perfino importare la spazzatura e trattarla - a caro prezzo - nei loro impianti ad alta tecnologia.

Nel frattempo noi aprivamo nuove discariche e finanziavamo la costruzione di nuovi inceneritori non proprio a norma mentre una marea di soldi sparivano nel nulla. La raccolta differenziata restava (e resta) un miraggio a sud di Roma (e in molti quartieri della capitale) mentre la salute degli abitanti della Campania diventava oggetto di studio per le riviste scientifiche internazionali colpite dall'inusitato aumento di tumori e malformazioni congenite nella zona. Che si possa gestire la cosiddetta emergenza con le proposte di Prodi è ancora tutto da dimostrare ma di certo nemmeno i più ottimisti possono sostenere che si tratti di soluzioni definitive. Il perché è presto detto: di qui a vent'anni l'incapacità di riciclare rifiuti potrebbe condannare il nostro paese alla definitiva de-industrializzazione.

Il problema, oggetto di dibattito nei giornali di tutto il mondo, riguarda il progressivo esaurimento delle materie prime causato, com'è noto, dallo sviluppo accelerato delle nuove potenze (Cina e India) e da un paio di secoli di sfruttamento intensivo da parte di quelle vecchie (Europa e Stati Uniti). Il declino della produzione non riguarda infatti soltanto il petrolio - al quale si riferisce la teoria del famoso picco - ma buona parte delle risorse del sottosuolo, cosa che sta già facendo lievitare il prezzo di alcuni metalli - rendendo conveniente, ad esempio, il furto all'ingrosso di materiali industriali di risulta. Ma se dalle miniere si estrae sempre meno mentre si consuma sempre di più, il prezzo delle materie prime è destinato ad aumentare rendendo sempre più redditizia l'attività di riciclaggio e recupero.

Un domani - non fra dieci anni ma nemmeno fra un secolo - potranno conservare un livello decente di sviluppo e di capacità produttive solo quei paesi che, sganciandosi dalle importazioni di commodities sempre più costose, saranno in grado di recuperare quelle che abbiamo allegramente sparpagliato nel territorio negli ultimi due secoli. Senza avere la palla di vetro si può facilmente prevedere che le prossime generazioni si chiederanno perché abbiamo allegramente bruciato tanto ben di dio - sempre ammesso che i soldi per i nuovi inceneritori non spariscano nel nulla - invece di utilizzarlo per nuove produzioni.
Di tutto ciò, naturalmente, non ci si può occupare nel mezzo dell'emergenza, con la spazzatura per strada e la diossina nell'aria. Peccato che non se ne possa discutere nemmeno quando si parla di politica economica o quando vengono distribuiti dei contentini "verdi" in finanziaria: il coraggio non è una caratteristica né dei nostri politici né dei nostri imprenditori, che preferiscono stare aggrappati ai vecchi privilegi piuttosto che tentare la sorte in un nuovo settore come hanno fatto i loro omologhi tedeschi.

Ma allora perché, se di problema contingente si tratta, si decide di costruire impianti che avranno bisogno di almeno dieci anni (in Italia anche il doppio) per venire ultimati?

E se invece siamo parlando di tempi lunghi perché allora non cominciare a ragionare sul problema che dovranno affrontare i nostri figli?

L'anno scorso, al World Social Forum di Nairobi, i rappresentanti delle comunità danneggiate dall'industria estrattiva hanno incontrato gli ambientalisti del Nord del mondo. Noi siamo avvelenati dalle miniere e dai pozzi - dicevano - voi siete avvelenati dai metalli e dalla plastica: non sarebbe il caso di chiudere il cerchio?

Sabina Morandi
Roma, 10 gennaio 2008
da “Liberazione”