Area Metropolitana Milanese: Criticità sociali ed alternative possibili per una nuova dimensione civile

Sistema della mobilità e dei trasporti: la prevalenza del trasporto privato su gomma, il trasporto pubblico, il ferro.

Seminario a Milano, sabato 5 maggio 2007

Ringrazio gli organizzatori per l’invito ed esprimo tutto il mio apprezzamento per il taglio che è stato dato a questo seminario; un approccio sistemico ad un tema complesso ed articolato, quello dell’area metropolitana e del suo governo.

Scrivendo la relazione sullo squilibrio modale nei trasporti in Lombardia, ho ritenuto cogliere fino in fondo questa occasione di confronto ed approfondimento, anche stimolato dalla presenza di importanti e qualificati relatori. Vorrei quindi affrontare e portare alcune sintetiche anche se, spero, non troppo banali riflessioni su alcuni temi troppo spesso esclusi dai dibattiti, ma che al contrario ritengo non più rinviabili dalla politica.

1. Un approccio sistemico.

Sta crescendo la consapevolezza che nei confronti della questione della mobilità non è possibile continuare ad avere un approccio settoriale e che, al contrario, la mobilità e l’infrastrutturazione del territorio vadano analizzati ed affrontati in relazione alla conformazione fisica del territorio stesso e alla struttura socioeconomica che lo vive, lo trasforma e lo consuma.

Questo nuovo approccio è la condizione necessaria per potere affrontare l’incapacità dell’attaule sistema dei trasporti (strada e ferro) a rispondere ai mutati bisogni di mobilità, alle trasformazioni dei modi e dei mezzi di produzione, di distribuzione e di consumo.

Possiamo dirci che non è stata solo la politica di settore, seppur – a mio giudizio -fallimentare e dispendiosa - a portarci nelle condizioni in cui ci troviamo?

Una forza politica come Rifondazione Comunista e, più in generale, la Sinistra devono sentire la necessità di indagare e di privilegiare come terreno di studio e di confronto il territorio, la sua dimensione demografica-sociale-economica e culturale, i caratteri fisici ed estetici dell’ambiente, cercando di individuare gli interventi più appropriati al soddisfacimento dei bisogni dell’uomo e della collettività.

Rimane ancora aperta e possibile la questione del cambiamento di una condizione territoriale-sociale che così come si presenta non è certo soddisfacente.

Ma per farlo è necessario – così come ostinatamente e giustamente a ripetere - un ripensamento delle dimensioni urbane e degli spazi configuratisi quali produzione/riproduzione della città e del territorio; servono nuovi “sistemi di rapporti” per fronteggiare la parcellizzazione dello spazio e dei tempi di vita e la conflittualità dei rapporti casa-lavoro, casa-servizi, casa-luoghi del tempo libero.

Se si assume come obiettivo strategico la ricomposizione dello spazio e del tempo di vita dell’uomo, le scelte settoriali discenderanno da una chiara visione sistemica. Solo in questo modo si potranno contestualmente affrontare mobilità e tendenze insediative, due aspetti intimamente legate fra loro.

La forte dispersione sul territorio degli insediamenti (residenziali, produttivi, scolastici, ecc.) genera nuova domanda di mobilità le cui caratteristiche, sempre meno governabili, rendono inefficace la risposta con gli attuali sistemi e mezzi. Inefficacia che non è solo riferibile all’aspetto quantitativo ma anche a quello qualitativo dei mezzi di trasporto.

2. Il governo del territorio

Il primo obiettivo deve essere quindi quello di riprendere in mano il destino del territorio, attraverso il suo governo.

Non ha senso porsi l’obiettivo del riequilibrio modale nei trasporti se prima o, almeno contestualmente, non si riprende la buona pratica pianificatoria, governando i processi insediativi, definendone quantità e la qualità.

In questo senso va condotta fino in fondo la battaglia per la modifica della lr 12/05 “Legge per il governo del territorio”, in particolare per restituire alle Provincie un ruolo strategico nella definizione delle grandi scelte relativamente alle vocazioni prevalenti, alla destinazione d’uso del territorio, ai limiti insediativi.

Allo stesso modo va recuperata, anche alla luce delle annunciate modifiche dell’impianto istituzionale (la città metropolitana) la programmazione e la pianificazione di area vasta, strumento indispensabile per il governo dei processi su scala metropolitana, pensate al fenomeno della tendenza alla riduzione del numero di residenti nell’area urbana milanese (-8,3% fra il 1991 e il 2001 secondo l’ultimo censimento ISTAT) e della prima corona (-1,6%) a lieve vantaggio dei paesi della seconda corona (+1,0%), che comporta fenomeni di incremento d’uso del territorio e della esasperazione del quotidiano pendolarismo.

Va inoltre avviata un’azione legislativa per coordinare ed integrare le politiche di governo del territorio con quelle del settore dei trasporti e della mobilità: la legge regionale 12/05 per il “governo del territorio” e la lr 22/98 per la “riforma del trasporto pubblico in Lombardia” non vanno oltre alla semplice enunciazione di principio. Non è un caso che le opere si decidano in assenza di un Piano Regionale dei Trasporti e della Mobilità e che alla pianificazione di area vasta si preferiscano gli Accordi di Programma. L’unica esperienza, quella del Piano Territoriale d’Area di Malpensa è miseramente fallita, caratterizzandosi più come mosaico di interessi particolari che strumento di programmazione e di sviluppo qualitativo di quel territorio.

Se saliamo di livello le cose non vanno molto diversamente, si pensi alla difficoltà del governo nazionale a prendere le distanze dalle pratiche indifferenti al territorio introdotte dal centrodestra con la legge obiettivo e la mancata traduzione in fatti dei principi condivisibili enunciati nell’allegato al DPEF 2007/2009 riguardante le infrastrutture, in particolare il capitolo relativo alle “POLITICHE PER LO SVILUPPO URBANO ED IL RIEQUILIBRIO TERRITORIALE” in cui si scriveva – cito testualmente: “È necessario superare la divisione, sin ora consolidata, tra infrastrutture – come strutture fisiche -, i trasporti – come vettori di mobilità - , le città – come luoghi dell’abitare – ed il territorio, che è generalmente inteso come campo residuale in cui questi attori si muovono, per lo più, in competizione tra loro. Queste dicotomie rischiano di paralizzare ogni azione di sviluppo…Si intende perseguire, sistematicamente, in ogni azione di governo un approccio strategico sperimentale e integrato dello sviluppo territoriale.”

Mi sembra poi che il cosiddetto “Tavolo Milano” – al di là del giudizio politico che ognuno di noi può dare (per me negativo) - non sia utile ad affrontare positivamentel’importante tema posto nello stesso DPEF delle Piattaforme territoriali strategiche e dei Territori-snodo

3. Un sistema dei trasporti squilibrato

Come ho detto precedentemente, la forte dispersione sul territorio di funzioni e di insediamenti ha generato una domanda di mobilità dalle caratteristiche poco governabili. Gli attuali sistemi e mezzi sono inadeguati, tanto sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo, a muovere e a trasportare nel modo giusto e nel tempo giusto persone, merci ed energia. La domanda è territorialmente diversificata; molto incidono i fattori sociali, demografici ed quelli economici. Sono in aumento gli spostamenti non sistematici e quelli che avvengono in orari diversi da quelli “di punta”: una delle conseguenze della flessibilizzazione della produzione, dei rapporti e dei tempi di lavoro.

Sono 5,7 milioni di cittadini che viaggiano ogni giorno in Lombardia (155.000 i non residenti in regione) e che compieno 15 milioni di spostamenti (il 22% concentrato tra le 7 e le 9), spendendo oltre 7 milioni di ore sui mezzi . Nella sola Milano, ogni giorno, si effettuano 3.312.000 spostamenti di cui la metà interni.

Di questi 15 milioni di spostamenti, il 68,60% avviene con propria auto (82% nei segmenti extra-urbani), il 3,60% con la Moto, il 12,30% con la bicicletta o a piedi.

Solo il 9,80% col Trasporto Pubblico e il 3,70% con un sistema modale integrato (Auto+trasporto pubblico).Con altre moldalità il 2%. Quindi il 72% degli spostamenti viene effettuato con un mezzo privato motorizzato e il 14% con il trasporto collettivo. Il Servizio Ferroviario Regionale, con i suoi 3 gestori :(LeNORD, Trenitalia e Tilo), i suoi 1.887 km di linee e 409 stazioni, con 1.770 treni al giorno su 36 direttrici per quasi 32 milioni di treni*km annui (13% del totale in Italia) cattura solo 500.000 viaggiatori al giorno ed è competitivo rispetto all’auto nella gran parte della mobilità interpolo (capoluoghi – Milano).

Anche il trasporto e la distribuzione delle merci (una delle maggiori voci di costo del bene o prodotto finale) avviene in larghissima parte su strada e su mezzo privato ed il il 70,0% degli spostamenti avviene all’interno della regione Lombardia e il 98% rimane all’interno del Centro Nord Italia. Oltre il 90% delle merci nell’area milanese sono trasportate su gomma ad una velocità commerciale di 14 km/ora.

(I veicoli merci circolanti a vuoto sono: 14% alle barriere autostradali, 20% lungo il cordone esterno, 66% ai bastioni con carico inferiore al 25%, 19% con carico inferiore al 50%)

Una fortissima pressione quindi sulla rete viaria principale che supera i 12.000 km: 560 di autostrade, 900 di strade statali, circa 11.000 di strade provinciali. A tali estensioni si .aggiungono più di 58.000 km di strade comunali, di cui un terzo di tipo extraurbano.

La Lombardia è la Regione più congestionata d’Italia per quanto riguarda la rete stradale: nella provincia di Milano si arriva ad avere una pressione di traffico extraurbano di circa 1.600 auto/km

Tristemente noti sono i costi individuali e sociali di questo sistema fallimentare

Cito solo le 1.000 morti che ogni anno avvengono sulle strade lombarde ma anche i•6 anni di vita mediamente passati nell’automobile ed i 2 anni per cercare parcheggio!

Per non parlare poi del congestionamento e dell’inquinamento che ogni ogni anno comportano al nostro Paese costi per oltre 108 miliardi di €uro o ai•1.142.135 giorni di attività lavorativi persi ogni anno a Milano rispetto a città “non inquinate” a causa di malattie riconducibili all’inquinamento.

La spesa in trasporti occupa poi un ruolo rilevante nei consumi finali delle famiglie, in quanto nel 2001 ha inciso per circa il 14,4% sul totale dei consumi

A fronte di questi numeri che testimoniano un fallimento delle politiche di governo del territorio e dei trasporti in questa Regione, la risposta non può essere la banale riproposizione della maggiore infrastrutturazione del territorio.

Troppo spesso viene posta questa necessità, senza alcuna considerazione se e per come quest’ultima si pensa e si realizza, è utile e produce un miglioramento della qualità della vita e del contesto in cui si inserisce oppure si configura come la causa di ulteriori e più profondi squilibri (territoriali, economici e sociali).

Non esistono infrastrutture “neutre”. Esse possono fermare o accelerare il processo di impotenza del sistema complessivo, possono diminuire o aumentare le distanze, possono contrarre o dilatare i tempi.

4. Le conclusioni

Volutamente voglio evitare di ripetere una scontata disquisizione sul Corridoio 5, sulla necessità delle grandi opere per la nostra Regione o sul fatto che delle opere sottoposte al CIPE solo il 29% risultano essere finanziate completamente ed 51% solo parzialmente e che per relaizzarle servirebbero 115 miliardi di €!

Le posizioni politiche mi sembrano chiare e conosciute ai più.

Desidero invece concludere questo mio fin troppo lungo intervento sottoponendovi alcune questioni che, come ho detto in esordio al mio intervento, ritengo non più rinviabili dalla politica.

  1. E’ evidente che siamo di fronte alla crisi di un modello. Ce ne siamo accorti e lo abbiamo denunciato diverso tempo fa, purtroppo senza la forza ed i toni necessari. Le crisi di Alitalia, delle Fs e, su scala locale, delle società ed aziende che svolgono servizi di TPL ci devono fare interrogare se il modello che abbiamo conosciuto sino ad ora e che continuiamo a difendere può reggere l’urto. E se si, come, a quale prezzo e con quali politiche.

    Occorre riformulare una nuova proposta, un nuovo progetto che ha a che fare con la natura e gli obiettivi dello Stato e delle istituzioni (centrali, periferiche e locali), col rapporto tra investimenti pubblici ed investimenti privati. Su qust’ultimo tema è in atto in molti Paesi una riflessione molto più approfondita e “laica” partendo da un giudizio altrettanto “laico” sulla impossibilità di proseguire nella strada sino a qui intrapresa ed i cui risultati sono noti.

    Penso a due compiti che dovremmo assumerci nell’imminente futuro:

    1. Colmare il vuoto programmatorio responsabilizzando e riportando la Politica al proprio ruolo, riemttendo in campo una nuova capacità progettuale e programmatoria della PA, troppo spesso ed erroneamente delegata in passato e nel presente a chi doveva e deve costruire e/o gestire le opere;
    2. Rilanciare con grande forza una valutazione etica degli interventi pubblici: di fronte alla limitata disponibilità va fatta una valutazione preventiva dei costi/benefici (economica, sociale ed ambientale) ed un bilancio conclusivo ed in corso d’opera sull’efficacia dell’azione e del rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti.
  2. Questa nuova progettualità deve vedere la partecipazione degli enti e delle comunità locali alla definizione del “grande quadro” delle trasformazioni e delle infrastrutturazioni territoriali, come momento di mediazione degli interessi (globali e locali). Ora esse sono chiamate ad esprimersi sul tracciato dell’opera che interessa il proprio territorio e, molto spesso, i progetti presentati sono lacunosi ed inadeguati. Da qui anche il dilungarsi delle procedure burocratiche atte a conseguire il consenso e l’incapacità di rispettare qualsiasi previsione temporale di decisione e realizzazione dell’opera, col rischio che l’opera stessa arrivi quando i motivi che ne hanno indotto la realizzazione sono superati. In questo percorso di nobile mediazione di interessi si presenta una grande occasione che è quella di segnare, anche qui, un nuovo approccio nei confronti del concetto di sviluppo: una ricerca della crescita qualitativa, pensando l’infrastrutturazione in funzione della sua capacità di ridisegno e di recupero territoriale e del riequilibrio ambientale;

  3. Nel quadro congiunturale dato; se la vera necessità è quella di riequilibrare il sistema dei trasporti, dobbiamo ragionare, almeno in questa fase, su come integrare, per farle funzionare bene, le cose che già abbiamo e le diverse modalità di traspoto. Integrazione ed intermodalità per una offerta flessibile e capace di rispondere alle specidicità della domanda e, allo stesso tempo, di garantire la massima estensione del diritto alla mobilità.

    Ciò significa inoltre impiegare le poche o molte risorse per la riorganizzazione dl territorio e dei servizi attorno ai nodi opportunamente collegati fra loro. L’intervento non si riduce alla riqualificazione del nodo ma alla riqualificazione ambientale, alla riorganizzazione del territorio circostante e all’offerta di nuovi servizi e tecnologie, ad esempio, a supporto della logistica e del sistema produttivo/distributivo. L’investimento non è solo sull’infrastruttura ma sull’intero territorio. Deve essere stimolata la riorganizzazione territoriale. Contributi notevoli di analisi e di proposta sono giunti da diverse personalità, penso ad esempio a Franco Sarbia, che è presente e che sarebbe interessante sentire

  4. Ma integrazione significa rilancio del trasporto pubblico come asse centrale di una rete e di relazioni diversamente articolate.

    Il treno – frequente, ad orario cadenzato, puntuale, pulito e confortevole - per i collegamenti interpolo e sugli assi forti (su scala metropolitana – linee suburbane S – collegamenti con gli scali aeroportuali) su cui è possibile una raccolta della domanda, evitando inutili sovrapposizioni (treno ed autolinee), competitivo al mezzo privato o almeno appetibile.

    Autolinee e aree di parcheggio, organizzate in modo tale da alimentare i nodi e collegare le stazioni snodo , nell’ottica dell’integrazione modale e tariffaria e per garantire flessibilità all’intero sistema.

    E’ un tentativo per ribaltare il processo, ancor oggi vigente, secondo il quale prima si realizza l’infrastruttura e poi pensa il servizio da offrire.

  5. Come ricordava il Prof. Marco Ponti in un recente convegno, soggetti pubblici e privati sono motivati a realizzare autostrade e acquisirne la concessione, a prescindere dalla reale necessità delle stesse. Considerata la forte domanda di trasporto, per il 75% di breve distanza e diffusa in modo pressoché omogeneo su tutta la rete stradale, soprattutto nelle aree metropolitane, sarebbe opportuno potenziare razionalmente la viabilità ordinaria presupposto per avere risultati economici e ambientali rilevanti. Da qui una opportuna riflessione sul tema delle “concessioni di area”, strumento per governare i processi su scala metropolitana e per il superamento gravi problemi di finanziamento.

Mi servirebbe poi del tempo – cosa che non ho - per svolgere in merito alle gestioni autostradali un opportuno approfondimento, ad esempio, sulle politiche tariffarie e sul reinvestimento degli utili da pedaggio in infrastrutture, manutenzione e sicurezza, sulla separazione tra soggetto costruttore e soggetto gestore, ed altro ancora.

Nella speranza di non avervi annoiato, vi ringrazio nuovamente.

Daniele Cassanmagnago
Milano, 5 maggio 2007