Vicenda dell'aereoporto della Malpensa

Malpensa: il fallimento del Nord del magna-magna

Malpensa è vittima di un sistema aeroportuale frammentato fino all'inverosimile: un aeroporto ogni cinquanta chilometri nelle regioni del Nord, quattro soltanto in Lombardia l'uno fianco all'altro, l'uno in concorrenza con l'altro, tutti cresciuti in una logica di campanile e di comitati d'affari

Ezio Locatelli

Ezio Locatelli

I proclami, come al solito, sono roboanti. Il Nord è pronto a salire sulle barricate per il mantenimento dell'aeroporto di Malpensa, questo dicono Lega e Formigoni infuriati per il preventivato taglio della maggior parte dei collegamenti intercontinentali (14 su 17) facenti capo ad Alitalia e a cascata di decine di altri voli. Collegamenti improduttivi, in perdita netta sostengono all'Alitalia ora che la compagnia di bandiera è in procinto di passare di mano, la qual cosa - sia detto per inciso - non ci piace e non ci convince per niente. Ma un conto è discutere e dissentire sui destini di Alitalia (peraltro le trattative con AirFrance sono state aperte al tempo di Berlusconi-Maroni), altra cosa è cambiare le carte in tavola facendo finta che non esistano problemi e responsabilità che attengono propriamente alle scelte intervenute in tutti questi anni per quanto riguarda lo scalo di Malpensa.

Concepito in pompa magna, come "un grande evento nella rete e nei servizi di trasporto" in realtà Malpensa non è stata mai all'altezza della missione assegnatali, quella di un grande hub aeroportuale. Il problema non è solo di un Paese che è astruso pensare possa reggere uno sdoppiamento di infrastrutture di servizio e collegamenti intercontinentali con relativi costi e perdite di esercizio. Il problema è anche su scala regionale. Basta guardare ai dati. Questi dicono che solo uno striminzito 20% della domanda di traffico intercontinentale del Nord Italia ha come riferimento Malpensa. La maggior parte della domanda trova più conveniente rivolgersi altrove, non solo sul versante di Fiumicino o di altri aeroporti minori, ma financo degli hub di Francoforte, Zurigo o Parigi. La perdita di posizioni è anche rispetto al volume complessivo di traffico aereo. Se Malpensa sette anni fa intercettava la metà del traffico aeroportuale dell'Italia settentrionale, ora siamo di fronte ad una quota che si è ridotta al 39%.

Il fatto è che il progetto di Malpensa è stato concepito a prescindere, nel segno del gigantismo e della dismisura, privilegiando in tutto e per tutto quella che da subito era apparsa "una straordinaria occasione di sviluppo economico, commerciale, immobiliare" di un'intera area. Siamo in presenza di un aeroporto cresciuto senza considerazione alcuna per i problemi di carattere ambientale, per le condizioni di vivibilità delle popolazioni locali. Non solo. Nessuna risposta degna di questo nome è stata data ai problemi d'integrazione territoriale e infrastrutturale. Per non parlare degli standard di efficienza e qualità che secondo uno studio di Mediobanca di appena un anno fa vedeva Malpensa emergere come "lo scalo con la peggiore performance" rispetto ad altri aeroporti italiani.

Ma più ancora Malpensa è vittima di un sistema aeroportuale frammentato fino all'inverosimile: un aeroporto ogni cinquanta chilometri nelle regioni del Nord, quattro soltanto in Lombardia l'uno fianco all'altro, l'uno in concorrenza con l'altro, tutti cresciuti in una logica di campanile e di comitati d'affari. Senza ritegno esponenti della giunta regionale lombarda di centrodestra dichiarano addirittura di voler trasformare lo scalo di Montichiari in un secondo hub regionale. Siamo al parossismo con il solo risultato di produrre uno spreco enorme di risorse.

Ora le richieste gridate a gran voce sono le più disparate. Si va dalla richiesta di mantenimento dei voli adesso garantiti da Alitalia per i prossimi cinque anni, costi quel che costi, alla richiesta di messa a disposizione e riassegnazione degli slot (le finestre di volo) lasciati liberi da Alitalia. Si tratta di palliativi. Il fatto è che senza un riordino del sistema aeroportuale, attraverso una politica di specializzazione delle tredici piste - un numero spropositato - che ci sono tra Torino e Venezia, non si va da nessuna parte. Vale la legge della giungla, un sistema dove ci si ruba i passeggeri l'un l'altro e dove la competizione è condotta a tutto discapito delle istanze del mondo del lavoro e del territorio.

Prendete il piano industriale presentato non molto tempo fa dalla società aeroportuale, la Sea. Questo piano prevede la costruzione di una terza pista (ipotesi oggi del tutto campata per aria) all'interno di un Parco naturale che è Patrimonio mondiale dell'Unesco, alla faccia delle proteste delle comunità locali contro la violazione continua dei parametri ambientali. Ed ancora, questo piano per i lavoratori prevede condizioni di precarietà, maggiori carichi di lavoro, possibili esuberi in ragione di una politica che ha come idea fissa il contenimento del costi del lavoro.

In nome della libertà di mercato si é mancato di attuare qualsiasi politica di settore, di svolgere qualsiasi ruolo di programmazione e di coordinamento che é giustappunto il motivo fondante delle difficoltà attuali di Malpensa. Se c'é una risposta da dare a queste difficoltà questa certamente non é in uno stomachevole gioco allo scaricabarile. Si realizzi una saldatura di tutte quelle istanze che hanno a cuore gli interessi del mondo del lavoro e il rispetto delle condizioni di vivibilità delle popolazioni locali introducendo, come da tempo chiediamo precise garanzie e vincoli di salvaguardia dei piani industriali.

Ezio Locatelli (deputato Prc-Se)
Bergamo, 13 gennaio 2008
da “Liberazione”