Record di incidenti stradali. Ma intanto la regione aumenta le tariffe

Mobilità negata in Lombardia: troppe auto, pochi mezzi pubblici

Pedegronda, Bre. Be. Mi, Nuova Tangenziale Est di Milano, potenziamento della A4, della Milano-Torino, della Milano-Varese, realizzazione di un nuovo collegamento Milano-Genova, della Brescia- Valtrompia, della Tirreno-Brennero: ecco la ricetta formigoniana per garantire la mobilità delle persone e delle merci, passando attraverso un'inesauribile distribuzione di appalti.

Il passato governo di centrosinistra, attraverso il Piano generale dei trasporti, ha avallato, facendoli propri, i progetti del presidente della Regione Lombardia.
Con il governo Berlusconi il quadro è ancor più preoccupante.
Le autostrade diventano “obiettivi”, la cui realizzazione non deve subire alcuna interferenza o rallentamento, e Formigoni introduce con una legge una nuova categoria di strade - le “autostrade regionali”.

In Lombardia la concentrazione di veicoli per chilometro di strade è doppia rispetto alla media nazionale.
Le automobili circolanti sono 236 per chilometro, contro le 120 d'Italia.
Per ogni mille abitanti si contano 644 veicoli, contro i 569 nazionali.
La provincia di Milano vanta due incredibili primati: 858 veicoli/km e 663 veicoli ogni mille abitanti.
La ferrovia soddisfa solo il 15% della mobilità regionale, ma per le infrastrutture ferroviarie, se si esclude il deleterio progetto dell'Alta velocità- Alta capacità, verrà speso meno di P quanto si investirà per la sola autostrada Pedegronda (3.300 miliardi contro oltre 4.000).
Il numero di incidenti stradali è elevatissimo: ben 48.613, con 1.400 morti, nell'anno 2000.
Paradossalmente, Formigoni utilizza questo dato drammatico per giustificare la costruzione delle nuove autostrade.

Non contento di garantire gli interessi dei costruttori e dei gestori di autostrade, il centrodestra ha prodotto una legge di liberalizzazione e di privatizzazione del trasporto pubblico locale.
I lavoratori del settore e gli utenti ne pagheranno i costi in termini sociali e monetari.
L'aumento tariffario è applicato direttamente sui prezzi dei biglietti, ed indirettamente, con la ridefinizione delle classi chilometriche.

La combinazione delle misure porta a incrementi che, in diversi casi, superano il 20%.
Nella fascia 1-10 km l'aumento medio è del 9,2% con punte del 21%.
Tra i 10 e i 100 km l'aumento medio è del 6,7%, ma per le ferrovie è del 9,8%.

Serve allora un nuovo Piano regionale della mobilità e dei trasporti - quello esistente è datato 1982! - per costruire un sistema della mobilità sostenibile dal punto di vista sociale ed ambientale.
Più autostrade, più auto, non sono la cura, sono la malattia della mobilità regionale.
Serve altro: un servizio ferroviaro regionale pubblico ed efficace; l'integrazione dei servizi di trasporto; l'intermodalità; un biglietto unico per muoversi su diversi mezzi ed in qualsiasi parte della regione; forti investimenti per l'ammodernamento della rete infrastrutturale.

Ma si pone in modo forte anche una questione di democrazia.
Occorre impedire ulteriori restringimenti degli spazi di confronto, lo scavalcamento degli Enti locali, la negazione dei percorsi partecipativi, su cui marcia la politica di Formigoni.
Si arriva a decidere un'autostrada da 40/60.000 veicoli al giorno, come la Pedegronda, in base al pronunciamento delle giunte comunali, o, addirittura, di decreti e lettere dei sindaci.

Con queste posizioni, in un contesto di forte sottovalutazione della pericolosità del provvedimento, nella discussione della nuova legge regionale sul trasporto pubblico, abbiamo strappato alcuni emendamenti che ne attenuano le conseguenze: i ribassi d'asta nelle gare d'appalto non dovranno essere realizzati penalizzando il servizio; deve essere verificata la coerenza tra le scelte urbanistiche e quelle nel campo dei trasporti; la Regione dovrà intervenire nel potenziamento del trasporto ferroviario di breve e medio raggio; si introduce un fondo di solidarietà (1% del bilancio regionale dedicato al trasporto pubblico locale) per ovviare ai problemi occupazionali e salariali.

Daniele Cassanmagnago
Milano, 9 febbraio 2002
da "Liberazione"