Proposta di legge di iniziativa del deputato Ugo Boghetta
Linee guida del Piano Generale dei Trasporti

Se nei parametri di Maastricht da rispettare ci fossero stati quelli riguardanti i trasporti l'Italia non sarebbe entrata in Europa, talmente grave è la situazione del nostro paese e tali sono le difficoltà e i tempi necessari al cambiamento che non sarebbero stati sufficienti interventi di risanamento d'emergenza caratteristici del modo di governare il nostro paese.

Cambiare i trasporti dell'Italia, trasformarli in un sistema socialmente, ambientalmente, economicamente sostenibile e efficiente più che un'emergenza, l'emergenzialità lascia quasi sempre le cose come sono, è, e rimane una priorità strategica. Il PGT presentato dal governo non è all'altezza dei problemi da risolvere né sul piano pratico, né sul piano concettuale, né per la strumentazione che propone per affrontare la complessità del tema. Il PGT in questione ha il difetto di essere settoriale e quindi non prende in considerazione le cause da cui nascono i problemi urgenti, pesanti, gravi del trasporto, e il più generale contesto economico e sociale. La proposta non è nemmeno un "pannicello caldo". Peggio il testo finale è tutto dentro la logica che ha portato ad un "modello" di trasporto fra i peggiori d'Europa. E dunque non risolverà i problemi ma accompagnerà la situazione attuale verso impatti sempre più pesanti in termini di incidentalità, danni alla salute ed all'ambiente, congestione, fino a giungere in alcune aree del paese, le più avanzate economicamente, ad un vero e proprio collasso. Gli stessi obiettivi di Kyoto di riduzione dell'inquinamento vengono smentiti; al massimo si punta a stabilizzare la situazione attuale. Se a questo aggiungiamo il "razzolare male" dei governi, vedi rottamazioni o aiuti continui all'autotrasporto, il cerchio è chiuso e il collasso assicurato, gli obiettivi di Kyoto sforati. Dieci anni fa i punti critici nella circolazione del lombardo veneto erano due al giorno, oggi sono cinque, afferma un articolo del Sole 24 ore del luglio duemila. Tradotto in pratica questo significa sette ore su tredici di guida fermi in colonna.

E l'articolo si chiedeva a quando il collasso. Certo la risposta alla soluzione che veniva presentata era la costruzione di alcune autostrade, tuttavia lo scenario descritto non muta: metà del trasporto stradale avviene nelle 5 regioni del nord. Emblematica è stata la coda di 385 km che si è formata nel contro-esodo dell'estate 2000. Il sud, anche in questo campo, rischia di allontanarsi dal resto del paese.

La situazione

La situazione complessiva dei trasporti del paese è fin troppo nota e quindi la citeremo per ora in maniera sintetica. In 20 anni le auto in Italia sono aumentate da 10 a 30 milioni, e gli italiani detengono il record europeo di auto per abitante (571 auto per 1000 abitanti contro un medie UE di 435) pari a oltre 101 mezzi per km.

Dal '75 al '95 il consumo energetico del settore è aumentato del 470% a fronte di un aumento derivante dall'industria del 130%.. Di questo il 60% per il trasporto persone, 40% per il trasporto merci. Consumo totale strada: 90%.

Solo apparentemente noti sono gli impatti in termini di danni alla salute, alla stessa vita e vivibilità delle città, in particolare, all'ambiente.

L'inquinamento da traffico, sia acustico sia dell'aria, sta diventando un vera e propria emergenza sanitaria.

Uno studio degli Amici della terra e dalle FS stima il costo derivante dall'inquinamento in oltre 72.000 miliardi l'anno e in 25.000 quelli da rumore. Nelle aree urbane il 60% delle emissioni di ossido di azoto e composto organici volanti ed il 90% delle emissioni di monossido di carbonio sono addebitabili ai trasporti. Non si può non sottolineare la vera e propria strage che avviene sulle strade. Novemila persone ogni anno perdono la vita a cause di incidenti; 250.000 sono i feriti. Il costo economico di questo macello è stato calcolato in 42000 miliardi. Una recente ricerca dell'Oms sull'impatto dell'inquinamento nelle otto maggiori città italiane afferma che i danni sulla salute nel '98, causa inquinamento da traffico, possono essere stimati in: 3500 decessi, 1900 ricoveri per disturbi circolatori, 2700 ricoveri per disturbi cardiovascolari, 31500 attacchi di bronchiti acuta nei bambini, 30000 attacchi di asma nei bambini. Da uno studio commissionato dal governo inglese risulta che ogni anno muoiono prematuramente, causa traffico, 20.000 persone. A Los Angeles si è riscontrato che i bambini tendono ad aver uno sviluppo ridotto dei polmoni causa lo smog.

Sempre da dati ANPA, i trasporti sono responsabili del 75% delle emissioni complessive di benzene su scala nazionale e preponderante per le emissioni delle micidiali PM10. Sempre l'Anpa afferma che "In termini di concertazione in aria degli inquinanti, si rilevano superamenti degli attuali limiti previsti dalle normative per biossido di azoto e monossido di carbonio, particolarmente critica risulta la situazione su tutto il territorio nazionale per l'ozono e, con riferimento alle aree urbane, per il benzene e il PM10. Basti inoltre ricordare che il settore è responsabile del 56% dell'inquinamento da rumore, che spesso supera la soglia di rischio."

Non c'è una parte del corpo che non venga aggredita pesantemente dall'inquinamento derivante dai trasporti. Questa situazione comincia ad aver effetti in materia giurisprudenziale. Recentemente (Repubblica 5/11/99) il tribunale del Lazio ha accolto il ricorso di un autista che aveva chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio "di un esito di lobectomia polmonare destra per neoplasia".

Non minori sono i danni all'attività economica in termini di congestione, perdita di tempo: in questa società, come è noto "il tempo è danaro".

A fronte di un tempo sempre maggiore trascorso in auto (2.5 ore al giorno) e di mezzi sempre più potenti e veloci, corrisponde una diminuzione complessiva della velocità: 50/55 km/h la media sulle autostrade. Non meglio stanno i mezzi pubblici: 14 % km/h. la velocità media delle merci FS è di 16 km/h a fronte dei 30 del '70.

Ma se il tempo è danaro ecco la dichiarazione del presidente degli industriali lombardi: "ogni anno un piccola o media azienda perde 150 milioni per la congestione delle strade".

Il costo della congestione, sempre dallo studio sopra citato è stato stimato in oltre 15.000 miliardi l'anno nelle sole città superiori ai 500.000 abitanti.

La situazione è tale, in relazione al tempo dei movimenti e allo spazio che il trasporto su gomma occupa e di cui necessita, l'auto realizza sempre meno il proprio valore d'uso e, come ha affermato un dirigente Fiat in un convegno del CNEL, parte consistente del valore aggiunto viene realizzato attraverso i servizi al cliente: prestiti finanziari ecc…

Costi esterni e costi sociali

Sono questi i costi esterni che il trasporto, su gomma in particolare, riversa sull'intera collettività. Costi che a livello europeo sono stimati nel 4.1 del Pil e che, per il particolare "non sistema" dei trasporti, nel nostro paese si aggirano attorno al 10% del PIL. Costi che da dieci anni la Commissione europea vorrebbe addossare, secondo le logiche del "chi inquina paga", alle varie modalità di trasporto ed i particolare alla strada, anche per dare una maggior efficienza sociale ed ambientale ai trasporti stessi e per una concorrenza più equa fra le varie modalità. Costi che però non si riesce ad addossare stante la feroce opposizione della lobby dell'auto. Ma non solo

Da questa situazione, alla quale possiamo aggiungere gli enormi investimenti infrastrutture stradali, ne è derivato un sostanziale favoreggiamento e foraggiamento alla modalità stradale e all'intero sistema industriale.

Infatti, le imprese usano le infrastrutture messe a disposizione dallo stato senza che vi sia un reale corrispettivo. Questo non avviene né in maniera diretta, tariffe, né in maniera indiretta attraverso la tassazione. Da uno studio dell'ISFORT risulta che le merci pagano i costi delle infrastrutture (tasse più tariffe) non oltre il 70%. Dunque "chi usa non paga".

Ma v'è di più. Gran parte di questi costi "fanno Pil".

Ciò dimostra quanto poco valore abbia un calcolo del Pil meramente quantitativo, e come questa modalità di calcolo sia distorsiva riguardo alla rappresentazione dell'effettivo benessere dei cittadini e della qualità di una società. Un modello di trasporto ambientalmente e socialmente sostenibile abbasserebbe paradossalmente il Pil. Trasporti, Pil e qualità della vita vanno in senso opposto.

E' questo dei costi esterni un punto nodale, fondamentale, anche se non sufficiente, per affrontare e determinare le modalità di cambiamenti per un sistema dei trasporti socialmente ed ecologicamente diverso.

E' sufficiente analizzare lo studio di Confitarma e Amici della terra che ha messo a confronto i costi esterni di nave, treno e TIR su alcuni percorsi. Ad esempio sul tratto Gioia Tauro La Spezia una nave di grandi dimensioni sostituisce 1800 TIR e 900 carri FS con costi finali di 289 milioni per la nave, 2539 per il ferro, 2376 per i TIR.

Sempre nel medesimo studio vengono efficacemente sintetizzati gli effetti negativi e perversi della mancata internalizzazione dei costi: falsificazione della competitività fra i vari sistemi di trasporto, aiuto alle tendenze irrazionali della mobilità, penalizzazione dei prodotti e i servizi più sostenibili, riduzione della produttività e l'efficienza delle risorse, impoverimento delle risorse ambientali, alterazione dell'allocazione delle risorse pubbliche.

Trasporti Italia, perché?

C'è chiedersi perché i trasporti italiani hanno caratteristiche peggiori dei paesi europei.

C'è un'interpretazione delle cause che addebita alla Fiat le colpe di trasporti basati sulla gomma, sul trasporto individuale. Questo è sicuramente una parte della verità. La Fiat e la centralità della produzione automobilistica hanno influenzato le scelte politiche. Basti pensare alla recente rottamazione. Un altro elemento è la tradizionale cialtroneria dei governi italiani. Non si spiega, infatti, solo con l'asservimento alla Fiat il peggioramento delle ferrovie o l'abbandono del trasporto marittimo. Campos Venuti vede le cause della situazione del nostro paese nella contestualità fra sviluppo capitalistico italiano avvenuto nel dopo guerra e massimo sviluppo a livello nell'occidente del trasporto su gomma. In altri paesi invece lo sviluppo industriale e delle città sarebbe avvenuto quando le ferrovie e i tram erano i sistemi principali di trasporto e quindi le dinamiche urbanistiche sono state caratterizzate dello sviluppo di questi vettori. Questa spiegazioni ovviamente non salva le scelte degli amministratori, comprese quelli di sinistra, che in ossequio alla cosiddetta modernità, evidentemente la sudditanza è di vecchia data, negli anni '60/70 eliminarono i tram dalla città anziché rinnovarli. La rapida e selvaggia urbanizzazione e lo spostamento della popolazione verso le costa hanno amplificato la rendita urbana anche in mancanza di una legge sui suoli, contro cui il primo e unico governo di centro sinistra degno di questo nome, sentì il "tintinnar di sciabole".

A questi aspetti va aggiunto uno sviluppo basato su di una consistente presenza di piccola e media impresa diffusa sul territorio che richiedeva trasporti flessibili e diffusi. Il passaggio dal fordismo al postfordismo ha accentuato, e sta accentuando, queste caratteristiche già presenti. La città si dilata e all'interno si settorializza. Ipermercati, attività sportive, zone dormitorio, produzione che prima si concentra poi riempie gli interstizi. Alcuni vedono positivamente la città orizzontale in contrapposizione alle gerarchie della città storica e fordista. Tutto va però verso la privatizzazione spinta del territorio, mentre negli ultimi 15 anni il trasporto pubblico locale è diminuito dal 18% al 7%, e negli ultimi anni la discesa è stata del 2,5% l'anno. A parte considerazioni urbanistiche non possiamo non notare l'esplosione devastante dei trasporti. In gran parte della pianura padana, oggi punto dolente dei trasporti, c'è stato uno sviluppo selvaggio che ha inghiottito territorio in maniera caotica. Allo stato attuale l'asse est-ovest copre il 40% delle importazioni e bel il 67% delle esportazioni E in questi dieci anni le imprese di auto trasporto sono aumentate del 30%. L'aumento disordinato dell'urbanizzazione e dell'attività economica non è stata progettata affatto in relazione ai problemi del territorio, dell'ambiente e degli stessi trasporti ritenendoli evidentemente inesistenti o che comunque avrebbero avuto una soluzione facile dal trasporto individuale e su gomma. In effetti il trasporto su gomma è flessibile e altamente adeguato a questo modello selvaggio di crescita delle città, e dell'economia. Peccato che lo spazio, l'ambiente non siano beni illimitati, ed anche l'uso sociale che se ne può fare non può essere illimitato ( Fred Hirsc).Questo ha fatto si che le varie modalità non comunichino a sufficienza tant'è che non si può parlare di sistema di trasporti, ma di sommatoria di modalità diverse. C'è stata e c'è, in sostanza, un'incapacità a "fare rete". Basti pensare che il più grande progetto, l'alta velocità, non tocca un porto, non collega un aeroporto. Ma questo sviluppo caotico rende oggi pure difficile "fare rete", sviluppare l'intermodalità, costruire infrastrutture efficaci, vedi interporti. Basti pensare che il 50% delle merci si muove entro i 50 km, il 78% sta sotto i 200 km, il 25 % in città, e addirittura l'85.5 del fatturato verrebbe realizzato su percorsi medio brevi. A testimonianza di ciò l'88% dei mezzi non supera i 35 quintali. Mentre i flussi extraurbani si concentrano al 60% sul 2% della rete (dati PGT).

Da qui nasce la necessità di riorganizzare il trasporto merci nelle città (politiche di programmazione e piattaforme logistiche urbane), anche se le esperienze realizzate non sempre hanno dato esiti positivi. Fa pensare però l'esempio di Basilea che avrebbe portato ad una riduzione dei mezzi circolanti del 45%!!

L'economia marinara ha avuto significativi cambiamenti dalla riapertura del canale di Suez ('75) prima e all'entrata in servizio delle navi postpanama (quelle troppo grandi per transitarvi) poi. Ciò ha consentito alle grandi navi transoceaniche di risparmiare giorni-nave ridando centralità al Mediterraneo e quindi all'Italia che sempre più si configura come piattaforma logistica per il nord Europa. Da qui lo sviluppo di Genova, e soprattutto di Gioia Tauro per le navi tranship, e l'interessamento delle multinazionali del trasporto e di gestione portuale ai porti italiani. Questo elemento di crescita fa emergere ancora di più i limiti della mancata connessione fra porti e ferrovie. Al porto di Genova, ad esempio, il 65% del trasporto transita su gomma.

Dal mare ai monti. Vi è stato un aumento dei traffici attraverso i valichi alpini rilevante che la costituzione del mercato unico europeo accresce con forza e velocità. Nel '70 sono transitare sulle alpi 28 milioni di tonnellate. Nel '90 erano già a 112. Ma mentre nel '70 il 78.5% transitava su ferro, nel '90 questa percentuale era scesa al 37%, mentre la modalità stradale realizzava un 63.5%. Tuttavia, a dimostrazione che quando si vuole si può, le merci attraversano la Svizzera per il 74 % su rotaia! Ma i camion svizzeri scorazzano in tutta Europa. Per le Alpi, proprio a causa dei danni che il trasporto su gomma produce sull'ambiente e ai cittadini, Austria e Svizzera hanno imposto giustamente, in complicate e lunghe trattative, politiche di contenimento e/o monetizzazione per il transito del territorio. A ciò aggiungiamo, a proposito dei costi esterni, che le tariffe per l'attraversamento delle Alpi sono superiori nei due paesi citati da 4 a otto volte rispetto alle nostre. Ma anche l'Austria, come la Svizzera, ha parlato bene e razzolato male. I Tir austriaci sono passati da 132.00 a 250.000, le migliaia di Tir svizzeri scorazzano senza limiti per l'Europa. Il paradosso italiano dunque, che potrebbe peggiorare nei prossimi anni , sta nel fatto che le merci attraversano le alpi in treno e poi salgono o scendono negli interporti situati a ridosso delle Alpi italiane per poi correre su gomma. Questo rischia di essere la "truffa" dell'intermodalità e del combinato sul versante italiano.

L'incidente del tunnel del Monte Bianco ha risollevato complessivamente la questione di come e dove transitare attraverso le Alpi. Mentre l'incidente del tunnel del Monte Bianco è stato utilizzato da parte della popolazione locali, su entrambi i versanti, per chiedere la riduzione del traffico stradale a cominciare da quello pesante. Più a sud, l'ipotesi di costruire un nuovo traforo ferroviario l'opposizione degli abitanti della Val di Susa che vedrebbero compromessa la vivibilità della valle con un ulteriore infrastrutture. L'altro passaggio rilevante è il Brennero dove insistono progetti di proporzioni enormi: 250 km di tunnel. Nel frattempo tuttavia non vengono fin in fondo ristrutturate le ferrovie esistenti nonostante ancora abbiano grandi margini di disponibilità di tracce e capacità.

Più trasporti più benessere?

L'aumento dei trasporti è sempre stato inteso come indicatore di progresso e di benessere. Ma come da tempo è dimostrato che non vi è più relazione fra aumento della produzione e aumento dell'occupazione e del benessere, così sta diventando sempre più chiaro che non vi è relazione fra aumento dei trasporti e benessere collettivo. Alcuni studi fatti da Bruckl e Molt per il Sipra sul caso tedesco dimostrano al contrario un andamento simile a quello del rapporto fra produzione e occupazione. Dunque in questa fase, a fronte di più produzione e più trasporti, si registra meno occupazione (un milioni in meno in Europa negli ultimi 10 anni), meno benessere sociale complessivo. Anzi. Poiché i trasporti, con il just in time, aumentano ad un ritmo più alto della produzione, l' aumento segna ancor più lo scarto con il benessere sociale. Inoltre all'aumento dei trasporti corrisponde spesso nelle merci una diminuzione dei noli ed delle tariffe e questo comporta effetti pesanti sulla quantità e qualità del lavoro.

Il fatto è che le politiche di aiuti ai trasporti sia tramite gli investimenti, in particolare per il traffico su gomma, che l'incentivi fiscali di varia natura, l'enorme esternalizzazione concessa a scapito della collettività e dei beni pubblici, sono state un'aiuto diretto a questo modello economico che ha privatizzato i profitti e pubblicizzato, socializzato i costi. E sempre più è così.

Un settore economicamente importante

Il settore dei trasporti, quindi, è rilevante i termini economici e sociali e non è comprensibile la riduzione dei problemi a questione settoriale, né liquidare il tema con decisioni o battute estemporanee e folcloristiche al verificarsi delle emergenze: peraltro sempre più frequenti.

Negli ultimi 20 anni il valore aggiunto del settore è passato dal 4.8 al 6.2 del Pil. Ogni famiglia italiana spende circa il 10,5% del proprio reddito in trasporti. I trasporti valgono un 10/15% del costo delle finali delle merci. Nei trasporti lavorano oltre un milione di addetti cui va aggiunto il settore manifatturiero. Rilevante è la produzione manifatturiera. Non meno significativa la bilancia dei pagamenti che negli ultimi anni ha comportato un saldo negativo di 5190 mld (98) contro i 1004 del (90).Del resto un paese che si colloca al sesto posto fra i paesi esportatori, e che per giunta non ha materie prime, trova nei trasporti un aspetto importante della propria economia. Esportiamo il 78% via mare e, con l'82% siamo il primo paese della UE per l'importo marittimo. Ben 170.000 sarebbero le imprese esportatrici italiane con un interscambio che avviene per il 60% con la UE, il 35% con i paesi dell'est, un 25% con i paesi del sud del mediterraneo e del medio oriente, il 17.5% con l'Asia ed il 16 % con il resto dell'africo e l'America latina. Stranamente, dice la Federtrasporto della Confindustria, il nostro paese non realizza nel settore una politica industriale all'altezza del ruolo che i trasporti hanno nella divisione internazionale del lavoro e nel ruolo che il paese ricopre nel commercio mondiale. Qualcuno contesta questi dati ritenendoli "sgonfiati".

La CONFINDUSTRIA lamenta anche il paradosso di un paese grande esportatore e importatore che però non vede nel settore una presenza rilevante, significativa delle imprese italiane, nemmeno nei trasporti interessanti la propria frontiera. In questo campo negli ultimi tempi la situazione è andata addirittura peggiorando.

Vi è stata una perdita verso operatori stranieri dal 54.5 al 48 % nella modalità stradale, dal 40.5 al 23% nel trasporto marittimo, dal 66.5 al 44 nel trasporto aereo. Ma anche nell'internazionalizzazione il saldo risulta negativo: 36 sono state le acquisizioni italiane all'estero e 78 quelle verso imprese italiane. Basti pensare a quanto avvenuto nei porti con la presenza a Genova, Venezia e Civitavecchia, Trieste, Gioia Tauro, La Spezia, Cagliari, Napoli con PSA di Singapore, ECT (Olanda), Evergreen (Taiwan) tedeschi, gli australiani di P§ E, i cinesi di Cosco: l'elenco è incompleto ed in evoluzione. Possiamo dunque parlare di colonizzazione progressiva del nostro sistema trasportisico.In questa affermazione non c'è nessun atteggiamento nazionalista. A parte il fatto che il valore aggiunto creato dal settore prende altri lidi, l'aspetto determinate è che la politica trasportistica e logistica rischia di essere fatta da multinazionali. Multinazionali che possono eterodirigere non solo il settore, ma attraverso questo anche allocazione produttive o di consumo, politiche territoriale ecc ecc

Nel settore marittimo e portuale, ad esempio, le imprese leader tendono a governare la rete mondiale dei flussi, realizzando anche reti di trasporto e servizi dai luoghi di origine a quello di d'estinzione delle merci.A fronte di questa situazione da noi non si verifica nessuna politica industriale, l'unica è quella delle privatizzazioni che spesso aiutano la penetrazione di imprese straniera, e si aumenta il nanismo d'impresa italiana mentre nel mondo, al contrario, si va sempre più decisamente verso gli oligopoli. Basti pensare che nel settore delle navi portacontainer le prime 10 imprese trasportano il 70%. E negli anni scorsi il processo di concertazione fra gli armatori inglesi e giapponesi è stata fortissima. In dieci anni i primi passano da 162 a 16 imprese e i giapponesi da 160 a 12. E nell'ultimo periodo sono avvenute ben 42 fusioni. Ancora più accentuata è la situazione delle società che gestiscono i porti. Le società di Singapore, Hong Kong, Rotterdam, Australia sono già oligopoli. Oligopoli che gestiscono , come abbiamo visto, gran parte dei porti italiani. Per inciso ricordiamo che ad esempio la Port Authority di Singapore è pubblica.

Tassazione

La tassazione è ovviamente un dato importante di cui tener conto. Il gettito complessivo proveniente dal settore è di circa 2.6 del Pil, 55.000 miliardi (CNR).

Il 75% circa del prelievo avviene sui carburanti, ed il 60% è a carico dell'auto privata. E si colloca in una fascia media rispetto ad altri paesi: 5.9% del Pil per l'Italia, 7.3 per l'Inghilterra, 4.3 pr la Svezia. L'Italia è però l'unico paese europeo nel quale negli ultimi 20 anni vi è stata una riduzione del prelievo: dal 9.5% al 5.9% come sopra riportato. Del resto abbiamo assistito ad un calo costante, fino agli eventi del 2000, del costo della benzina (a prezzi costanti di 20anni fa oggi la benzina costerebbe 2800/3000) e a continue agevolazioni a settori dell'autotrasporto. Né si rilevano trasformazioni sostanziali in ordine alla tipologie del prelievo e alla articolazione per flussi e modalità.

Anche il gettito contributivo è calato: da 7.8% del '74, al 6.4% del 93%. E gli oneri sociali sul valore aggiunto sono passati dal 17% all'11%, a testimonianza di una diminuzione complessiva che va al lavoro e di una diversa ripartizione del lavoro. Sono infatti aumentati i lavoratori autonomi e diminuite le retribuzioni dei lavoratori dipendenti.

A questo proposito la politica europea è improntata: ad armonizzare il settore degli autotrasportatori, a far pagare agli utenti il costo delle infrastrutture ed i costi esterni (senza riuscirci). Ma l'introduzione della carbon tax non è stata finalizzata al cambiamento del sistema dei trasporti ma di fatto si propone come tassa ordinaria, e comunque dilazionata nel tempo. Del resto gli autotrasportatori italiani hanno goduto di contributi e detassazioni continue, peraltro senza nessuna logica di prospettiva. Si sono rincorse le categorie più forte del settore senza un'idea strategica e quindi senza nemmeno una modulazione dell'intervento pubblico. Si è seguita la dinamica che vede un aumento dell'occupazione del settore dal 4.4 al 5.1, ma all'interno il lavoro autonomo è aumentato dal 21 al 27%.

L'Italia è comunque l'unico paese che ha visto diminuire il prelievo fiscale sul trasporto gommato.

Logistica

La tendenza italiana all'introduzione della logistica nel sistema economico e distributivo è più ridotta che in altri paesi, 13% contro il 24% Ue, tuttavia è ipotizzabile un incremento di tale settore in relazione ai cambiamenti nelle grandi imprese. Tale tasso crescerà nonostante la conformazione delle imprese italiane già con la prevalenza delle piccole e medie. Ciò anche a causa di uno scarso livello di integrazione logistica.

Più infrastrutture?

Una delle cause che vengono più ampiamente citate è la carenza delle infrastrutture dei trasporti, anche nei confronti degli altri paesi europei. Stanno così le cose?

Tuttavia i dati ci dicono che l'Italia ha 102 Km di strade per 1000 kmq contro una media europea di 132.

Quindi risulta un deficit.ma sempre l'Italia ha 12.5 km di strade per 1000 abitanti contro 12 della media ue. Infine sempre il nostro paese ha 22 km di autostrade per 1000 km di strade contro un medie europea 13. FS

Metro 106 km contro i 1000 Germania e i 340 della Francia.

Nel Bollettino economico e sociale n.1/99, territorio e infrastrutture, così conclude la valutazione sul tema: "Alla lettura dei dati risulta che l'Italia presenta una sotto-dotazione infrastrutturale, ma la distanza non è molto accentuata rispetto a paesi come l'Inghilterra, la Francia, la Germania.

Come sempre le medie quasi mai danno l'idea e l'informazione giusta poiché scontano il difetto della qualità dei singoli fattori che le determinano ed il loro gradi di interdipendenza. Infatti la Lombardia che produce il 20% del Pil ed il 33% dell'interscambio con l'estero ha come dotazione il 9% delle strade ed il 9.5 delle FS dell'intero paese.

Non solo. Se guardiamo la media del paese vediamo come alcune regioni, immancabilmente del sud, Campania, Sardegna, Abruzzo, Calabria basilica e Molise sono ampiamente al disotto della media nazionale per quanto riguarda strade e ferrovie. Mentre la forte dotazione di porti, visto lo stato complessivo del non sistema, non fa affatto la differenza né in termini quantitativi nè qualitativi.

Ma ad un analisi più approfondita verifichiamo che alcune realtà del sud sono ampiamente infrastrutturale, il che comporta che altre zone sono pesantemente lontane dalla media nazionale con carenze pesantissime. Tant'è che si può affermare che c'è un sud del sud.

Dunque l'Italia è sicuramente sotto infrastrutturata, ma tale infrastrutturazione riguarda in particolare le metropolitane, le ferrovie e l'utilizzo delle vie d'acqua e non certamente le strade.

In alcuni settori la dotazione è più alta di quelle europee: autostrade. Per le strade la sottodotazione va messa anche in raffronto al tipo di territorio e al numero di abitanti. Sicuramente in questo caso c'è un problema di qualità della dotazione di strade, anche per quanto riguarda la sicurezza. Mentre appare evidente la differenza fra la dotazioni di porti ed i livelli ridicoli di cabotaggio interno.

Ciò che tuttavia risulta essere la palla al piede della situazione che andiamo analizzando è la non comunicazione, non rete, fra i vari settori, e non parliamo solo di intermodalità che già si pone ad un livello superiore di sistema. Porti, aeroporti, ferrovie strade sono stati concepiti, abbandonanti o ampliati senza una logica di sistema. Ogni modalità è andata per conto suo. Ancor più autonomamente è andata l'urbanistica e l'economia rispetto ai trasporti che al contrario sono parte fondamentale di una città o della produzione. per non parlare di nessuna pianificazione strategica del nostro paese nell'evoluzione dei traffici internazionale e del ruolo decisivo, economico, sociale e politico da svolgere nel Mediterraneo

di cui la politica dei trasporti deve essere evidentemente parte preponderante. Quattrocento milioni di persone si affacciano sul mediterraneo con uno sviluppo della popolazione rilevante sul versante sud.

Italia investimenti

Nel nostro paese abbiamo avuto politiche con le seguenti caratteristiche principali: un accentuata e acefala politica di liberalizzazione e privatizzazione, una sommatoria di interventi spesso orientata più agli interessi di costruiva le opere che all'utilità delle medesime, un sistematico ladrocinio attorno alle opere pubbliche, una incapacità progettuale di sistema, una ulteriore riduzione dell'intervento pubblico sia in spesa corrente che in conto capitale a seguito di tangentopoli. Proprio recentemente è stato bocciato dalla UE il progetto Agenda 2000 14.000 miliardi, che, ad esempio, per la Sicilia prevedeva la priorità al trasporto su gomma.

A fronte tumultuosi cambiamenti abitativi ed nell'attività economica, causa l'abisso del debito pubblico e tangentopoli, vi è stato un significativo rallentamento della spesa pubblica nel settore. Fra il '70 ed il '90 le spese per infrastrutture si sono ridotte fino al 1.2% del Pil. Rispetto alla spesa pubblica la riduzione è passata dal 15% al 5%. In compenso il 56% è stato assorbito dalla strada. Gli investimenti nelle città nei trent'anni trascorsi non hanno mai superato il 3%; negli altri principali paesi europei gli investimenti sono stati spesso il doppio, quando non il triplo. Riduzioni consistenti tanto più se si confrontano con l'aumento della mobilità delle persone e delle merci. In passato questa spesa era stata utilizzata per politiche clientelari: tanto si era speso poco si era visto come risultati.

Alta velocità

La commistione fra clientelismo e trasporti è sempre stata elevata. Il parossismo si è raggiunto con la più grande opera del cinquantennio: l'alta velocità. Come è ormai evidente, rimandiamo alla relazione della legge in merito che abbiamo contrapposto al ddl del governo per la messa a gara delle tratte rimanenti dell'A.V., poi trasferito in finanziaria (con il regalo alla Fiat e soci della tratta Torino Milano), l'alta velocità è stato un progetto altamente centralizzato dove il modello francese, che non rispondeva alle necessità ed alle caratteristiche del nostro paese, era però utile al fine di consentire decine di migliaia di miliardi in appalto alle aziende delle costruzioni edili e ferroviarie (anche Fiat) e la spartizione di grandi tangenti fra partiti.

A dieci anni di distanza e a lavori già iniziati non c'è ancora un progetto finanziario, la determinazione dei costi, la redditività dell'opera, l'esplicitazione del rapporto costi benefici. I costi sono talmente elevati e lievitati che è a rischio la tenuta degli investimenti nel resto della rete fs.

Il ponte sullo stretto

La stessa farsa viene riproposta per il ponte sullo stretto che gli amministratori locali vogliono fortemente per il grande impatto affaristico,, ma non hanno finanziamenti per questa megaopera. Ovviamente la cantilena dell'intervento dei privati è d'obbligo, ma l'alta velocità dimostra che i privati prendono ma non danno nulla. Nessuno fa invece riferimento, non dico all'impatto ambientale, ma nemmeno ai costi benefici sul piano trasportistico. Il rapporto fra l'opera, i suoi costi finanziari ed ambientali, e ciò che viene messo in comunicazione. Per il ponte, ad esempio abbiamo due regioni ai margini dell'Europa e non nazioni e continenti come per il tunnel sotto la Manica o il ponte fra i paesi scandinavi. E nemmeno quelli reggono sul piano economico. Se vediamo poi la questione dal punto di vista nazionale, così come dovrebbe essere affrontato il problema, c'è da chiedersi se non colleghiamo il sud, la Sicilia, e il nord Italia ed l'Europa, stante anche la dotazione di porti, con le navi, non si comprende perché si parli tanto delle "autostrade del mare" o dello scarso uso del trasporto marittimo? Con i medesimi finanziamenti previsti per il ponte il paese potrebbe dotarsi di un flotta di livello mondiale. E con impatti occupazionali certi, nei cantieri navali anche meridionali, e duraturi nei porti e nell'indotto.

Autostrade del mare

Il progetto "autostrade del mare " deve però essere ben definito e non finire nelle solite politiche d'immagine. Sergio Bologna su Italia Mondo afferma che dentro il più generale tema del Short Sea Shipping questo "deve essere un progetto nazionale cioè di navigazione di cabotaggio nazionale ed internazionale che tocca i porti italiani dedicata al trasporto delle merci e organizzato con servizi di linea che utilizzano navi RO-RO" (roll of roll on ). Ma autostrade del mare non può significare uno sviluppo di sole navi Ro-Ro poiché rimane tutto il problema del trasporto via terra. A queste considerazioni va però aggiunto che deve esserci la presenza di un azienda pubblica del settore che garantisca quantomeno l'avvio, e poi la permanenza di tali servizi di linea. Ma come è possibile ciò se le FS chiudono la parte navigazione, Tirrenia viene privatizzata e su questa via propende per i più remunerativi traffici passeggeri?! Inoltre non possiamo non concordare con Assoporti quando ritiene necessario per lo sviluppo del progetto "autostrade del mare" l'ammodernamento dei collegamenti terrestri (nave-porto-destinazione), la sburocratizzazione e l'informatizzazione.

Le vicende giudiziarie e i cambiamenti legislativi nel settore degli appalti ha ulteriormente peggiorato le capacità, già scarsa, di programmazione e di realizzazione dell'intero sistema amministrativo pubblico e privato. Così troviamo 13.000 miliardi non spesi nel trasporto locale, e opere "sempre in costruzione" nelle ferrovie, fatta eccezione per l'alta velocità.

Il risanamento come copertura della liberalizzazione e privatizzazione

Le politiche di contenimento del deficit pubblico e l'imperativo di rientro nei parametri di Maastricht ha comportato la scelta di politiche di contenimento anche della spesa corrente. A questo è servita da copertura tutta l'ideologia neoliberista che non ha visto confini fra centro destra e centro sinistra. Anzi spesso abbiamo registrato una virulenza superiore in quest'ultimi. Ovviamente non c'è stata distinzione da parte dei sindacati confederali. In un recente convegno sulle infrastrutture in Lombardia abbiamo potuto leggere l'intervento del segretario confederale CGIL Cerfeda, che sinceramente non sappiamo distinguere da quelli della CONFINDUSTRIA, se non in negativo per il tono sgradevole, a testimonianza di una deriva culturale, affaristica, di collocazione dei propri destini individuali di parte del gruppo dirigente sindacale. Ormai non troviamo soverchie differenze fra le posizioni delle forze politiche e la linea della Confindustria. Anzi verifichiamo una coincidenza fra dirigenti sindacali, dirigenti aziendali, dirigenti della Confindustria del settore e centro sinistra. Come spesso accade troviamo poi preoccupanti coincidenze fra privatizzazioni ed interessi di cordate imprenditoriali ben determinate. Le privatizzazioni sono e saranno in gran parte una tangentopoli legalizzata.

Non è dunque solo l'ossequio al recepimento delle direttive europee ad aver determinato le politiche del settore, ma una particolare congiuntura politica.

Le politiche di liberalizzazione e privatizzazione infatti le abbiamo registrate nei porti sotto una pressione ben orchestrata e finanziata pur non trovando riscontro di politiche analoghe nei porti del nord europea, negli aeroporti dove appaiono imprese straniere senza che si sia determinata alcuna reciprocità fra paesi. Ancor più incomprensibile risulta la politica di decentramento a livello della competenze in materia di trasporto che obbliga le istituzioni decentrare a privatizzare i trasporti con gare mettendo in concorrenza solo il costo del lavoro.

Infine la direttiva Prodi in materia di ferrovia, bloccata dalla presenza in maggioranza dal PRC, e poi rilanciata dal governo D'Alema che: riduce i trasferimenti dello stato, aumenta le tariffe. Una direttiva che in pratica trasforma le FS in una miriade di aziende nei vari settori del core business, riduce l'occupazione ed il costo del lavoro. Aziende che per effetti di politiche di bilanci, almeno in pareggio, e riduzione dei trasferimenti pubblici, si collocheranno in nicchie di mercato e quindi rinunceranno a produrre quella trasformazione dei trasporti e dei trasporti in sistema che senza le ferrovie non può avvenire. Queste politiche sono state accelerate inopinatamente, anche illegalmente dalle scelte del Ministro Bersani. La debolezza delle nostre aziende, tanto più se spezzettate, accentuerà i livelli i cannibalizzazione del nostro sistema dei trasporti da parte di multinazionali.

I governi

I governi dell'ultimo periodo, dunque, hanno affrontato la situazione dei trasporti attraverso una liberalizzazione e una privatizzazione spinta, tesa innanzitutto a demolire la forza contrattuale che i lavoratori del settore avevano accumulato in anni di lotta ed per questa via perseguire l'abbattimento del costo del lavoro, più orario e meno salario, e forme sempre più spinte di deregolamentazione, cosiddetta flessibilità, Così è accaduto e sta' accadendo nei porti come negli aeroporti, così si sta' forza nel settore ferroviario anche attraverso lo spezzatino fs. Tuttavia, proprio nel caso delle fs la logica del mercato, dei bilanci, stante anche il dumping della strada, portano ad una restrizione del ruolo delle fs; merci locali, passeggeri, spingendole a sistemarsi in nicchie e per questa via rinunciando a rappresentare la struttura sui cui "fare rete", costruire l'intermodalità ed il più generale riequilibrio modale.

Vi è stato anche un cambiamento istituzionale nel conferimento alle regioni delle competenze in materia di trasporto. Decisioni condivisibilissima se non fosse per l'impostazione ragionieristica dell'operazione, federalismo del debito accumulato, e imposizione di logiche liberiste in un settore dove la concorrenza spesso si può limitare alle gare e dunque dove è solo il costo del lavoro (salario, pensioni, orario, sicurezza, diritti) ad essere messo in concorrenza. Inoltre, alla faccia del federalismo, si obbligano gli enti locali ad un solo modello di gestione. Si deve rilevare, infine, che la particolare conformazione delle regioni italiani porta, nel caso dei trasporti a far si che il livello regionali in molti casi sia troppo piccolo o è troppo grande per gestire la delega in materia di trasporti. L'attuazione delle delega ha già registrato questo problema. Il risultato complessivo potrebbe esse quello di scelte sempre più a favore del trasporto su gomma, almeno nelle linee di trasporto extracittadine, e con problemi riguardo alla stessa manutenzione delle strade, la cui dotazione sembra sottostimata di 4.000 miliardi. Per le strade si prevedono le pedomontana lombarda e veneta, la Milano Brescia, l'integrale raddoppio della variante di valico: tutte scelte che danno risposte ad una domanda concentrata aumentando lo squilibrio modale.

La Ue

La Ue ha avuto come obiettivo quello di creare progressivamente il mercato unico europeo dei trasporti. In questo senso ha adottato politiche tendenti a integrare i vari sistemi, a renderli interoperabili, anche al fine di politiche di liberalizzazione e privatizzazione. In genere queste politiche sono state attuate con modalità, e misura, diverse da settore a settore. Spesso la liberalizzazione e le privatizzazioni venivano chiesti agli altri paesi, mentre all'interno si producono politiche di protezionistiche.

Questo non è stato il comportamento dei governi italiani, i quali, nonostante la debolezza del nostro settore e delle nostre imprese (pubbliche o private), al fine di modernizzare il paese, dicono, o per semplice clientelismo, hanno operato la maggior liberalizzazione dopo la Teacher.

Per la costruzione del mercato unico dei trasporti è stato proposto il progetto per le infrastrutture (TEN-T e free-ways). Le politiche di costruzioni di nuove infrastrutture si sono mosse con difficoltà sia per la ridotta quantità di finanziamenti, vedi la relazione del Commissario Hatzidakis al parlamento UE, sia per i diversi interessi dei paesi della comunità. Il programma prevede investimenti per il 64% in nuove strade (12.00 km), il 24% in ferrovie. L'investimento in ferro è più elevato in proporzione alla presenza di ferro ed al trasportato, tuttavia è palese che il divario aumenta. Parte di questi investimenti sicuramente tendono a difendere la centralità del nord Europa, vedi politica dei porti, a scapito del mediterraneo. Altri, la Germania in particolare dopo gli avvenimenti del '89, hanno interesse a sviluppare le infrastrutture verso est,. Strade certo, ma anche ferro se si tiene conto che i paesi dell'est sono portati ad utilizzare le ferrovie in quanto infrastrutture obsolete ma comunque già esistenti.

La sicurezza

Politiche più positive dovrebbero venire dalla questione sicurezza.

La comunità europea ha indicato obiettivi di riduzioni dell'incidentalità stradale. Per l'Italia questo significa ridurre i morti da 6500 all'anno a 3..00 ed i feriti da 250.000 a 150.000 l'anno. Un particolare aspetto della sicurezza, come abbiamo già evidenziato, riguarda la percentuale di incidenti sul lavoro che avvengono sulle strade.

L'asino casca nella parte operativa, nella concreta applicazione, nella strumentazione e organizzazione delle amministrazione che quegli obiettivi dovrebbero perseguire o controllare. Si tenga conto che l'incidentalità è particolarmente concentrata: l'84% di incidenti avviene su strade comunali e provinciali e comunque il 70% % in città.

Altri paesi hanno dimostrato che è possibili ridurre l'incidentalità. L'hanno già fatto. L'Italia è l'unico paese che non ha realizzato risultati positivi. Il governo stesso afferma che se il trend si mantenesse, l'Italia in due lustri diventerebbe il paese con la più alta incidentalità.

Se la questione sicurezza non la relativizziamo al solo trasporto su strada, ma lo ampliamo al trasporto ferroviario aereo marittimo, ci riporta ad una questione più generale. La questione della sicurezza è compatibile con una logica di concorrenza, mercato, finanziarizzazione sempre più spinta? La risposta non può che essere contraddittoria. La dove la sicurezza è un costo o costo del lavoro, orario, vedi autisti, l'orario di lavoro aumenta ovunque, la sicurezza non può che tendere a diminuire. La sicurezza comporta riduzione dei profitti o investimenti ingenti e di lungo periodo aspetti che nella privatizzazione vengono assolutizzati. In genere, come si vede nell'esperienza inglese, c'è l'intervento dello stato. In questo caso la sicurezza può essere un business: introduzione di tecnologia, anche se non sempre questa da più sicurezza. In questo casi notiamo un grande, peloso, interessamento.

Kyoto

Soprattutto gli accordi di Kyoto possono, potrebbero, essere un aspetto determinante delle politiche di cambiamento del sistema dei trasporti. Questo accordo ha l'obiettivo di ridurre i gas di serra e a questi gas i trasporti danno purtroppo un loro importante contributo. Tuttavia non possiamo che registrare il fallimento della recente conferenza sul clima tenutasi all'Aja (novembre 2000). Fallimento che rischia di mettere in discussione gli stessi protocolli di Kyoto. C'è un rifiuto, massimo negli Stati Uniti e loro alleati, di prendere atto delle tendenze pesanti in materia di clima ed ambiente rispetto alle quali lo stesso accordo di Kyoto è superato per quanto inapplicato. Ciò nonostante sia fin troppo facile prevedere che, superate certe soglie, la natura reagisce con effetti moltiplicativi.

Emerge qui un limite intrinseco al sistema capitalista, limiti che giunge al parossismo nella fase finanziaria della globalizzazione, incapace di intervenire con politiche di lungo respiro, di ampia portata che coinvolgono tutti gli aspetti dell'attività dell'uomo sul pianeta. Per l'Europa l'accordo prevede una riduzione degli inquinanti dell'8% al 2008/12 rispetto alle emissioni del 1990. Per l'Italia l'obiettivo è del 6.5%. Varie decisioni governative e del CIPE affrontano questo problema, Per quanto riguarda il settore dei trasporti l'obiettivo è quello di ridurre l'emissione di CO2 di 109 milioni di tonnellate. E spostare 40 milioni di tonnellate su nave e ferrovia. Obiettivo che viste le politiche del governo, quelle enunciate, ed ancor più negativamente quelle praticate, appare un obiettivo velleitario.

In questo quadro vi è già stato un accordo fra ministero dell'ambiente e industria automobilistica che sancisse l'intenzione di ridurre i consumi medi finali delle auto del 25% e del solo 6% dei TIR entro il 2010. Come si vede niente che assomigli alla dura politica della California che prevede l'obbligo della vendita di almeno il 10 % di auto a emissione 0 entro il 2003. Sì che in questo caso ha senso aiutare le imprese a stare dentro questi parametri significativi.

E' vero che già in questi anni l'inquinamento medio delle auto è stato ridotto.

Per converso però le auto sono aumentate fortemente in numero, in potenza. Inoltre le stesse autovetture sono sempre più dotate di accessori che aumentano il consumo di energia.

I dati recenti resi noti dall'ANPA, non solo non stiamo raggiungendo gli obiettivi di Kyoto, ma stiamo sforando largamente peggiorando sensibilmente i dati del '90. In particolare i trasporti danno un pesante contributo a questa situazione fortemente negativa. Nella primavera del 2000 l'Agenzia nazionale per l'Ambiente (ANPA) ha affermato che nel 1998, ultimo dato disponibile, il nostro paese sforava del 4.5 %, con punte del 6.3% nell'emissione del più importante gas di serra: l'anidride carbonica. "Gli aumenti maggiori - osservava Giuseppe Onofrio, consigliere Anpa - sono stati nel settore dei trasporti…..e si sono verificati negli ultimi due anni". Sembra che a livello europeo la situazione non sia dissimile, anzi i dati che circolano sono ben peggiori.

Il punto è che agli obiettivi non corrisponde nessuna politica reale, nessuna strumentazione concreta che renda nemmeno lontanamente credibile quegli obiettivi. Non si comprende allo stato attuale come il nostro paese ,non solo perseguirà il raggiungimento dei parametri assegnati, ma riuscirà a evitare il peggioramento della situazione attuale e come potrà rispettare le decisioni europee quando nel 2002 gli obiettivi diverranno vere e proprie direttive. E purtroppo questa non sembra solo un problema italiano se anche recentemente a Bruxelles si è cercato di cambiare gli obiettivi da perseguire.

Le previsioni

Se questa è la situazione le previsioni di incremento dei trasporti sono tali da porre davanti un futuro che, stante le politiche fin qui adottate, non potrà che portare ad un progressivo collasso del sistema dei trasporti e a pesantissimi effetti sulla popolazione, in particolare per quanto riguarda l'inquinamento ambientali con disastrosi effetti sulla salute a partire dai più deboli: bambini ed anziani. Già in passato le previsioni sono state abbondantemente sforate. Il nobel per l'economia Leontieff aveva previsto un aumento del traffico intercomunitario dalle 8.5 mld tonnellate dell'89 alle 17 mld tonnellate nel 2005. Ebbene quel livello è stato raggiunto già nel 2000. I trend previsti di aumentano del commercio mondiale, ed in particolare dell'Europa, il moltiplicatore del trasportato rispetto all'aumento del PIL stimano un raddoppio del trasporto merci ed un aumento della mobilità delle persone del 50%. Lo stesso PGT prevede un'ipotesi di sviluppo massimo del 36% del traffico e medio e lungo raggio, dato che prevedibilmente sarà superato. Dato a cui va aggiunta un'altra domanda. Poiché il dato è medio, quale sarà l'aumento dei trasporti nella pianura padana, o sulle tratte autostradali e ferroviarie dove già si concentrata gran parte del traffico?

La stessa implementazione del mercato unico europeo e l'arretratezza nell'introduzione delle politiche postfordiste e della logistica avranno effetti moltiplicatori. Secondo le stime la strada realizzerebbe un altro balzo in avanti passando a livello Ue dal 70% al 79%. E ribadiamo che tutte le previsioni nei trasporti hanno sempre portato al superamento delle previsioni massime. Il trasporto aereo interno vi è una previsione di sviluppo del 7/8%, ma già quest'anno (2000) l'aumentato è stato del 14.5% in cinque mesi. Basti vedere i record di vendita dei veicoli industriali: + 9.4% in Europa, + 20% di veicoli leggeri inferiori alle 3.5 tonnellate e + 10% per quelli pesanti. Uno studio della Bocconi prevede che i tre milioni di pacchi che vengono consegnati annualmente nelle case degli italiani diventeranno sei milioni nel 2003, mentre, stando al decreto Rochi dovevano dimezzarsi

Così si prevede uno sviluppo tendenziale dell'emissione di anidride carbonica del 18% in 10 anni.

Alle origini del problema

Già quanto delineato sarebbe ampiamente sufficiente per determinare un sostanziale cambiamento dei trasporti del paese. La questione, tuttavia, ha ragioni ancor più profonde che vanno oltre i problemi trasportisti. L'economia industriale, la società industriale ha come fattore fondamentale i trasporti: dall'approvvigionamento delle materie prime alla distribuzione dei prodotti. I trasporti, l'auto, hanno rivoluzionato l'economia, le città, la cultura, la vita.

Il passaggio alla produzione ed al consumo di massa è stato possibile da trasporti sempre più efficienti, diffusi. La stessa mobilità è divenuta "un consumo di massa".

Per venire ai giorni nostri va ricordato che la globalizzazione è stata consentita non solo dalla rivoluzione tecnologica e informatica, ma anche, come riconoscono tutti gli esperti, da trasporti sempre più a basso costo.

Su questo concetto ci vogliamo soffermare perché lo riteniamo un punto centrale. Gli studiosi della globalizzazione fanno precisamente riferimento al basso costo, non all'efficienza, alla rapidità. E' dunque il basso costo che ha consentito il realizzarsi del nuovo livello dell'economia, che al contrario di quanto si va ciarlando è tutto fuorchè immateriale visto i danni che produce. E quanto sia materiale, pesante, altro che leggera, questa economia ce lo dicono i dati sopra citati.

Questa situazione ha reso possibile rompere sempre più la localizzazione fra i luoghi della produzione e da quelli del consumo. Gli stessi luoghi della produzione del prodotto sono sparpagliati su territori lontani. Basti pensare che un auto oggi viene prodotta in 80 posti diversi, o i famosi gamberetti pescati nel mare del nord, spediti in Marocco per essere sgusciati, con ritorno in Europa per essere ovviamente mangiati. A volte un prodotto attraversa più volte una frontiera; magari ottenendo così i contributi per l'import/export. L'impresa diventa modulare, a rete, si delocalizza. Si creano reti di imprese. Addirittura l'impresa madre non produce più i prodotti che commercia. Si sono ridotti, anzi eliminate, magazzini e scorte. Si attiva la produzione a partire dalla domanda, dal cliente. La "new economy, l'e-commerce portano queste modalità di produzione e di consumo a livelli parossistici. Ecco che vengono acquistati più camioncini che TIR.

JUST IN TIME è il metodo, il credo, la parola d'ordine. Ma just in time significa che il trasporto aumenta più della produzione e del consumo perché si parcellizza, si fessurizza. E' quel prodotto che deve arrivare "just in time" a quel cliente. E il cliente può essere uno che consuma, ma come abbiamo visto, un'altra azienda.

La massimizzazione dell'indice di reddittività del capitale investito (Roa) è diventato per gli investitori una delle condizioni necessarie per decidere di finanziare le aziende. Per ridurre il capitale investito a parità di reddito operativo e per aumentare il ritorno del capitale investito, le aziende hanno abbandonato il modello AIV (approvvigionamento, immagazzinamento, vendita per il VAC (vendita, approvvigionamento, consegna). Nell'economia postfordista, ed ancor più in quella che viene chiamata new economy si dilata la scelta dei beni e la comparazione fra gli stessi, i prezzi diminuiscono, ma aumentano tendenzialmente i costi per soddisfare le aspettative del cliente. Nel just in time il trasporto ancor più diventa a tutti gli effetti un fattore del ciclo di produzione e consumo fondamentale. Un data drammatico di questa situazione lo testimonia il numero ( 50 %) degli incidenti stradali che in realtà sono incidenti sul lavoro, dove l'ambiente di lavoro è appunto la strada. Ma quasi nessuno sa che sono ben 2100 le persone che muoiono sulla strada andando o tornando dal lavoro: in gergo sono chiamati "morti in itinere". Le morti sul lavoro che avvengono sulle strade, le morti bianche sull'asfalto del just in time ci dicono con tutta la loro drammaticità che la questione dei trasporti, la stretta relazione fra organizzazione della produzione e del consumo, non è da affrontare come sola tondo. E proprio in virtù di questa centralità i trasporti sono diventati essi stessi grande settore di profitto. Basti pensare all'espansione della logistica, oggi ancora arretrata in Italia 13% contro il 24% in Europa. E' la logistica ed i trasporti che consentendo la frammentazione della grande impresa, la delocalizzazione, rende possibile il nuovo modello produttivo. Sostiene Mario Barinci su Italia-Mondo che la logistica "tende a divenire strategica, a divenire un'attività specialistica, e che può e deve svilupparsi convergendo fra produzione e trasporti".Siccome tutto il male non viene per nuocere, soprattutto quando si è impotenti a contrastarlo in un certa fase, la logistica, rendendo più leggibile il tema dei costi esterni, può essere utile per una battaglia di interalizzazione degli stessi.

I trasporti dunque sono ancor più un vincolo interno dell'economia globalizzata modello usa, caratterizzata dal just in time, nel passaggio dal fordismo al postfordismo nelle varie forme. E quindi diventa un settore strategico nella lotta contro gli effetti non solo ambientali, ma sociali complessivi, del nuovo modello economico e di società.

Fra produzione e consumo

Questo modello non cambia solo la produzione e di consumo. E' l'organizzazione, la vita dell'intera società che viene modificata.

Cambia il lavoro: flessibile, part time, a turni ecc Si può acquistare in orari sempre più spalmati sull'intera giornata. Ciò comporta una mobilità sempre più presente nell'arco della giornata. L'urbanizzazione delle città prima, l'iper urbanizzazione dell'interland poi, le periferie che diventano il vero nuovo centro, alimentano una mobilità spalmata e costante su territori e orari sempre più dilatati. Non c'è orario e territorio in cui non si consumi, non si produca, e quindi non ci si muova. Gli stessi territori si autonomizzano in isole che competono con altre isole da qualche parte del mondo rinunciando anche a ciò che potrebbe essere prodotto e consumato in loco. Infatti ciò non fa parte della specializzazione di un area può venir cancellato per essere preso dall'esterno. Ciò non porta ad un a maggior gestione democratica del territorio (federalismo) perché tutto è sovradeterminato dalla "necessità" della competizione globale e concretamente dai grandi gruppi. Così il divario fra nord e sud del mondo aumenta ma aumentano e si creano anche nord e sud nelle medesime grandi aree. Ciò porta ad un consumo privato dei beni comuni: l'aria, lo spazio. L'uso e l'inquinamento massiccio dei beni comuni rende difficile anche il processo di internalizzazione dei costi e l'applicazione del concetto del "chi inquina paga" perché, ad esempio, l'aria in quanto necessaria alla vita è senza prezzo: senza prezzo, nessun prezzo. Per questo motivo certi beni comuni vanno restituiti fino in quanto, nella loro qualità all'uso di tutti. Per la vita di tutti.

Finanziarizzazione

Queste politiche comportano una finanziarizzazione accentuata del settore. L'entrata di gruppi italiani che hanno interessi particolare, pongono il problema di un uso ancor più distorcente del settore. Benetton che entra in autostrade potrebbe incrementare un uso da "ipermercato" di Autogrill sulle autostrade in prossimità delle aree urbane. O l'entrata in Grandi Stazioni potrebbe non aver ricadute positive sui conti dei trasporti, ma solo sull'uso consumistico delle stazioni stesse. L'entrata degli stranieri del settore pongono problemi che abbiamo già affrontato sotto il tema "colonizzazione". La finanziarizzazione - privatizzazione è un grande business: solo i tpl valgono 20.000 miliardi. . Si comprende dunque perché si chiede un arretramento dello stato, della gestione pubblica, anche dai monopoli naturali. Per le regole si vedrà, ma appare evidente che flessibilità significa deregulation in tutto e per tutto La finanziarizzazione più genericamente intesa che oggi troviamo ancora in proporzioni ridotte e in certe realtà, ALITALIA, ma come detto in via di estensione, rompendo il legame, come è avvenuto con l'industria, fra produzione e realizzazione dei dividendi, imponendo "il predominio delle logiche finanziarie nella gestione di tutte le imprese" (Samir Amin) nella realtà produttiva, assai specifica del settore con, servizi che usano beni pubblici: aria, acqua, infrastrutture, investimenti e finanziamenti, rende sempre più difficile una politica dei trasporti, il riequilibrio modale, la difesa della sicurezza, la manutenzione. Per non parlare dell'internalizzazione dei costi che per gli azionisti sono, appunto, un costo, una riduzione del dividendo.

La finanziarizzazione del settore porta ancora di più al sovrasfruttamento dell'ambiente ed al sottoutilizzo del lavoro, alla socializzazione dei costi ed alla privatizzazione dei profitti.

Impostazioni che riscontriamo dunque nelle politiche europee, ma che trovano in Italia un'applicazione virulenta nella glorificazione del mercato, della concorrenza che, a sentir "lor signori", dovrebbe allocare in maniera virtuosa persone, merci e vettori in modo socialmente e ambientalmente positivo. Il mercato dunque dovrebbe aver quell'intelligenza sociale, ambientale e quel coraggio che mancano ai governanti. Anche da qui si evidenzia il declino della politica e la sua trasformazione in amministrazione: cattiva amministrazione.

Lo stato dovrebbe diventare regolatore in quanto, bontà loro, anche il mercato ha il lato oscuro. Ma la realtà è assai diversa: Quali regole si faranno se tutti accettano la centralità e l'autonomia assoluta dell'impresa. Le regole del mercato le fanno le imprese, e soprattutto le grandi imprese.

Non c'è Tv, Internet, telelavoro che sembra diminuire questa tendenza.

E il trasporto di cose e persone aumenta, aumenta aumenta…..

E con esso aumenta il costo sociale ed ambientale. Il punto è che questo modello produttivo nel just in time, nella massiccia esternalizzazione dei costi sociali ed ambientali sempre più sganciati da benessere collettivo, equamente distribuito, massimizza lo sfruttamento dell'ambiente e contemporaneamente sottoutilizza il lavoro e sovrasfrutta il lavoro utilizzato.

Sta qui un dei punti dolenti di certo ambientalismo del nostro paese. Socializzazione dei costi esterni, mercato, finanziarizzazione, modello produttivo, lavoro, modello sociale fanno parte di un'unica questione. Il cambiamento radicale del sistema capitalista. Settorializzare i problemi è contemporaneamente fonte di opportunismo e di inefficacia.

Il liberismo nei trasporti

Queste politiche stanno però dentro dei presupposti dati per scontati, naturali.

I trasporti si affrontano in modo settoriale e dal lato dell'offerta, non pensando affatto che si possa e si debba intervenire sulle cause e sulla domanda. Più trasporto, in genere si pensa praticamente alla gomma ed alla strada, significa più attività economica, quindi più occupazione e più reddito.

Da ciò se ne deduce che: bisogna abbassare i prezzi del trasporto per consentirne di più: mezzi, carburante, ma soprattutto costo dei lavoratori dei trasporti che gli annessi di riduzione del salario, aumento degli orari di lavoro, flessibilità, cioè deregulation ecc ecc.

Come si opera per ottenere questi obiettivi?

Ovviamente liberalizzando, privatizzando, flessibilizzando, costruendo nuove infrastrutture: in genere strade. Ovviamente sarà il mercato che, evidentemente ritenuto più intelligente di chi lo invoca, alloca le risorse nella maniera migliore. Sarà la concorrenza fra aziende e vettori che realizzeranno l'intermodalità, la tutela dell'ambiente, trasporti socialmente e ambientalmente "corretti". Certo il mercato va aiutato. Mercati e concorrenza vanno regolamentati. Qualche sforzo in più si fa per le benzine "pulite" in attesa del motore elettrico che risolverà tutti i problemi. E' un dogma che lo stato debba arretrare, e con lo stato arretra il senso pubblico e sociale dell'agire economico. Tutti gli ambiti sono privatizzati. L'impresa invade tutto, tutto determina. Le regole al mercato in realtà le determina gli attori del mercato, da dove lo stato si è ritirato, ciò le imprese. Ciò le multinazionali. Cioè gli oligopoli. Non comprendiamo come i parvenu del liberismo, ex comunisti o ex ambientalisti, possono ritenere che nella nuova economia, nella vittoria del liberismo della centralità dell'impresa, ed ancor più della finanza speculativa che propone ed impone di realizzare il profitto massimo nel minimo tempo, vi possa essere una regolazione sociale del mercato, o addirittura una sua torsione ambientalista.

In realtà lo sfondamento liberista impone pesanti sacrifici ai lavoratori, alle classi popolari e all'ambiente.

Ma anche la "compatibilizzazione ambientale" sta in questo quadro. Certo le auto hanno consumi unitari più bassi, ma aumentano di numero, aumentano di potenza, aumentano le funzioni. La stessa sicurezza diventa un business. Alla fine aumenta il consumo energetico e di territorio. In nome dell'ambiente si praticano politiche clientelari: vedi il ricorso, spesso insensato, alla tecnologia come soluzione di tutti i problemi. In questo senso si storpiano procedure come il Via che teoricamente aveva altre finalità dovendo evidenziare le scelte fra ipotesi diverse, o si velocizzano le Conferenze dei Servizi con l'unico intento di realizzare le grandi opere.

I trend di riequilibrio modale sono negative, anche in nazioni storicamente più equilibrate e con servizi più efficienti.

Non a caso si finanziano infatti più strade e autostrade: altro che riequilibrio modale.

Il fatto è che le politiche di aiuti ai trasporti sia tramite gli investimenti, in particolare per il traffico su gomma, che l'incentivi fiscali di varia natura, l'enorme esternalizzazione concessa a scapito della collettività e dei beni pubblici: aria, sono state un aiuto diretto a questo modello economico che ha privatizzato i profitto e pubblicizzato, socializzato i costi. E sempre più è così.

In questo quadro non serve per essere un mago per sapere che gli obiettivi di riequilibrio ambientale, di tutela della salute della vita non saranno raggiunti, se non marginalmente basti vedere lo sforamento degli obiettivi di Kyoto.Basti vedere i trend di aumento del traffico delle persone e delle merci. Anzi. non contenti della situazione si propongono politiche per attirare traffico ulteriore.

Non che non ci avveda del "cul de sac" in cui siamo.Recentemente la stessa commissaria Europea Loyola De Palacio ha detto che non possiamo pensare di inseguire il traffico con la costruzione di infrastrutture proporzionali all'aumento dello stesso in quanto non ci sono risorse finanziarie sufficienti. Bontà sua.Perché c'è territorio sufficiente per nuove infrastrutture. Perché i cittadini sono in grado di sopportare altro traffico e altre infrastrutture?!

Ormai la mappa dei punti di crisi dei trasporti è affiancata da una presenza sempre più fitta di punti caldi di conflitto. Conflitti contro i degrado ambientale e sociale che un trasporto selvaggio indice in aree sempre più diffuse, conflitti contro la costruzione di nuove infrastrutture che non appaiono più così naturale da doversi fare e così necessarie e risolutive, alla difesa di ferrovie o linee di trasporto che stanno chiudendo. Questo conflitto ormai punteggia tutto il territorio anche se trova difficoltà a coagularsi in un progetto politico alternativo. Tuttavia le centocinquanta città, e oltre che aderiscono alle "domeniche senz'auto" dimostrano che il problema è sempre più sentito, anche se l'iniziativa in questione dimostra la mancanza di coraggio di tutti i livelli di governo a compiere scelte, non coraggiose, ma quelle ormai necessarie. Alla quale va aggiunta una permanente conflittualità sindacale contro gli effetti delle politiche di liberalizzazione e frammentazione. Un confitto così diffuso da potare ad una repressione di un diritto costituzionale come il diritto di sciopero.

Valutazione del PGT del governo

Dinanzi a questa situazione ed ad ancor più fosche previsioni il governo risponde con un PGT "leggero" e come voleva la Confindustria. Un PGT cioè che non innova rispetto agli strumenti normativi e legislativi. Un PGT che non affronta le radici del problema ritenendo evidentemente che il modo di produrre, di consumare, di abitare sono naturali e immodificabili ed i trasporti devono solo essere in grado di offrire servizi adeguati alla domanda. Un PGT che in sostanza assegna al mercato ed alla concorrenza una scelta socialmente e ambientalmente virtuosa dei vettori più efficienti, e se così non fosse peggio per l'ambiente e i cittadini tutti, Un PGT che tende a far credere che la costruzione di nuove infrastrutture sarà risolutiva di molti problemi, un PGT che nella parte più avanzata tende solamente a "compatibilizzare" i trasporti, i mezzi con l'ambiente, la tutela della salute e della vita dei cittadini.

Le stesse ipotesi di investimenti sono in parte incentrate sulle Fs (94000 mld) ma in gran parte destinate all'alta velocità di cui non si conosce l'impatto, per la strada (74000 mld), ma solo 25000 mld per il trasporto locale. Tutto il contrario delle politiche del famigerato Blair. Si deve tener conto poi delle effetti volontà e capacità di spesa. Le finanziarie sono emblematiche da questo punto di vista: strade ed alta velocità.

Una soluzione o è all'altezza del problema, o non è una soluzione: il PGT del governo non è all'altezza dei problemi e quindi non è la risposta necessaria. La proposta della Confindustria, a ben vedere, non è molto diversa da quella governativa. Anzi plaude all'impostazione del progetto. A ben vedere forse la proposta padronale è forse più chiara e più concreta. Dice , Anna Donati, del WWF: "se si considera infatti il tasso media di mobilità registrato nel periodo 80-95, pari al 4% annuo, è evidente che previsioni siano assai contenute e se non saranno rispettate sono destinate, come in effetti sta accadendo, a demolire la strategia ambientale e di riequilibrio modale fissata dal PGT". Tal che si prevede che avremo un aumento di emissioni attorno al 15%. Un PGT senz'anima. Un PGT impotente.

Un'altra impostazione

Come abbiamo visto la situazione è già allo stato attuale pesantissima per quanto riguarda gli effetti del sistema dei trasporti sulla salute pubblica, l'ambiente, le diseconomie.

Più trasporti non significa più, necessariamente, implicitamente, più sviluppo, più benessere collettivo.

Il futuro, con previsioni di aumenti della mobilità delle persone e delle merci, rende lo scenario tale per cui l'emergenza per la salute, la sicurezza dei cittadini progredisce a livelli inaccettabili nonostante la compatibilizzazione" progressiva derivante dai limiti imposti ai carburanti ed ai mezzi, proprio a causa dell'aumento vertiginoso non solo venturo, ma quello già in essere.

Il capitalismo sta dimostrando tutto il suo potere distruttivo. Mentre per risolvere questi problemi bisognerebbe ragionare complessivamente a lungo termine Il capitalismo però è fondato su di una razionalità di calcolo a breve, brevissimo, termine. Dice Samir Amin "Per la prima volta nella storia dell'umanità il pericolo di distruzione, irreversibile e grave, della vita sulla terra e diventato reale.."

L'auto, il trasporto su gomma sta esaurendo la spinta propulsiva, basti vedere le campagne pubblicitarie sempre più massiccie,il ricorso alle rottamazioni e allo sfruttamento delle questioni ambientali al fine di rendere obbligatorio il ricambio del parco mezzi.Anche sul piano dei valori e della cultura l'auto è sempre meno un simbolo sociale di libertà, sempre meno ha effetto il significato di prestigio.

Al contrario sempre più appare, viene percepito il lato oscuro,non solo per gli effetti nocivi sulle persone e l'ambiente.

L'auto ed il trasporto su gomma stanno esaurendo la spinta propulsiva, ma non c'è un alternativa che possa nascere spontaneamente, autonomamente da questa situazione. E l'alternativa non è un altro mezzo: magari elettrico. Stante le politiche adottate a livello europeo, ed accora più quelle italiane la prospettiva più probabile il collasso e la rincorsa alla costruzione rimane, di nuove strade e autostrade presto riempite.

Il PGT presentato dal governo è l'emblematico di questa rinuncia ad affrontare le cause che creano un situazione insostenibile, ma soprattutto senza soluzione reali concrete. L'approccio settoriale e quindi inevitabilmente a valle delle cause rende tali politiche incapaci da un impostazione di "riduzione del danno" poiché liberalizzazione e privatizzazioni incentivano il trasporto su gomma i quanto più flessibile, più in grado di esternalizzare i costi più adatto ad una economia sempre più deregolamentata e flessibile sul piano produttivo ma anche nell'allocazione territoriale. Almeno della produzione. L'immagine ci rimanda alla tartaruga ed ad Achille; dove i due però sono sempre lontani e dove si coglie il lento, ma impossibile, ricongiungimento.

La rinuncia ad una programmazione, complessiva, che incida sull'economia, sull'urbanistica, quindi sulla società anziché operare sugli effetti, è tale che rende il piano inefficace, di fatto impegnato sulla questione infrastrutture. La stessa ue afferma a propositi del problema delle esternalizzazione che "questi problemi possono peggiorare in presenza di una progressiva liberalizzazione del mercato dei trasporti".

Quindi non potremo che assistere al progressivo declino delle ferrovie 36% nel 70, 16% nel '9., 10% al 21010 e così del trasporto collettivo in ambito urbano. Né si può in "scienza e coscienza" pensare che la liberalizzazione, la privatizzazione, la concorrenza invertiranno la tendenza o aumenteranno la resistenza.

La stessa Unatras (associazione degli autostrasportatori) afferma: "a differenza di altri settori dove la concorrenza premia i più bravi, nell'autotrasporto succede il contrario, Soccombono le aziende grandi che hanno costi insopprimibili e rimangono le più flessibili che grazie all'autosfruttamento abbattono i costi di quelle più strutturate".

Così si spiega l'aumento di aziende di autotrasporto del 30% negli ultimi dieci anni. E la gara fra i nostri padroncini/autisti con quelli dell'est e del sud è appena cominciata.In realtà queste scelte rimandano, qui sì invece c'è un ritorno alle questioni generale economiche e ideologiche, alla penetrazione totale della presenza del capitale privato i tutti gli ambiti della società tipica del neoliberismo globalizzato americano. Questo aspetto risulta chiaro nella privatizzazione di monopoli naturali come autostrade. Ma anche la presenza sempre più rilevate degli oligopoli è tale che in realtà si sta sostituendo la presenza o il controllo pubblico con quello privato. In questo modo non è possibile invertire la tendenza in modo significativo rispetto allo strapotere del trasporto individuale e su gomma, e tantomeno raggiungere gli obiettivi di Kyoto che saranno inevitabilmente sforati.Né serve nascondersi dietro l'impossibilità di modificare la situazione vista dal solo lato settoriale.Perché il punto di approccio è u altro: i limiti alla crescita abnorme dei trasporti in particole nella situazione degli ultimi decenni, ed ancor più nelle modifiche e economiche e sociali dell'ultimo periodo pongono il problema dei limiti ambientali, ma ancor più sociali ad una crescita senza sviluppo, ad una crescita senza progresso e benessere sociale complessivo distribuito e redistruito.

Afferma Giorgio Nebbia: "non è infatti fisicamente possibile trarre dei beni fisici dalle risorse naturali e lasciare una equivalente quantità e qualità di risorse naturali alle generazioni future" e per questo occorre ricercare " strade di sviluppo economico che consentano di soddisfare reali bisogni umani nei paesi industriali e in quelli poveri, con materiali differenti da quelli attuali, con processi che richiedono, a parità di servizio umano, meno energia, meno materiali, e che producano meno scorie".

Ciò che si ridistruisce è inquinamento, incertezza, solitudine.

Ad esempio non si può affrontare il problema della mobilità nelle città senza porsi l'obiettivo di una riconquista delle strade, delle piazze da parte delle persone, senza dunque modificare il senso dell'abitare, del consumo, dell'attività economica. La stessa questione dell'insicurezza, vera o presunta che sia, deve trovare qui una risposta. E' dunque la città in generale che va ripensata. Scrive Mons. Tonini, arcivescovo di Ravenna in un articolo dal titolo "il significato tutto nuovo della città a misura d'uomo" "….è necessario ripensare la città. Non soltanto cercare rimedi, aggiustare quello che non va, ma ripeto, ripensare tutto, perché vengono i momenti nei quali si deve come sostare e chiederci a che punto siamo con la nostra umanità, specie quando la tecnologia ci porta innanzi mezzi straordinari che facilitano la vita, ma che potrebbero anche diminuirne il valore, il significato, il gusto."

Parimenti non possiamo pensare ad un ruolo dello stato o dell'intervento pubblico quale mero regolatore. Questo intervento è, non solo giustificato, ma necessario in quanto il privato, o la logica privatistica, non tiene, e non può tener conto del rapporto costi benefici, ambientali e sociali, né del diritto di tutti alla mobilità. In questo settore l'uso di infrastrutture pubbliche, dello spazio, dell'aria non può non essere finalizzato che al benessere collettivo. E' la qualità dell'agire dello stato e del pubblico che và radicalmente cambiato. La sua crisi sta nell'asservimento agli interessi privati, ma anche dall'incapacità, non volontà, a svolgere pienamente, con efficacia la sua funzione "naturale". Lo sviamento privatistico ha demolito del ruolo pubblico ha demolito il ruolo medesimo. La stessa attività economica, dal punto di vista dei trasporti, renderebbe conveniente produrre dove si consuma. Ciò porterebbe maggiormente a sviluppi autocentrati, alla riduzione degli sprechi e dei costi sociali complessivi, al miglior uso e riuso delle risorse. Non è l'autarchia che si propone, ma un'altra idea di crescita e di rapporti globali.

Serve dunque un'altra impostazione. Un impostazione globale che comprenda tutti gli aspetti sociali, anzi tutta la società.

E ciò non per essere astratti, ma proprio per poter elaborare politiche concrete, efficaci.

Ciò che va dunque messo in discussione è il significato di sviluppo, di benessere.

Questa sta alla base del nostro progetto

Tesi

I trasporti vanno affrontati e modificati a partire da cambiamenti generali del modello di produzione, consumo, sviluppo delle città. Afferma il CNEL "per garantire il diritto alla mobilità bisogna tornare a delineare le relazioni umane che vogliamo promuovere, in quali contesti (a cominciare da quello urbano) con quali costi. Inoltre, come afferma il prof. Mario Zambrini "una strategia di sostenibilità della mobilità deve agire sulla domanda non sull'offerta. La domanda di mobilità non può essere considerata la variabile indipendente di un sistema. Non è possibile limitarsi a rilevare acriticamente la domanda di mobilità e le sue tendenze costruendo su tale base scenari di sviluppo infrastrutturale finalizzati a conseguire un improbabile quanto costoso equilibrio fra domanda ed offerta". Quindi le scelte economiche e urbanistiche devono essere vincolate dalla sostenibilità trasportistica.

definire la quantificazione e riduzione dei costi esterni (sociali ed ambientali), in qualità, qualità luoghi e tempi; l'internalizzazione dei costi produce un rapporto (concorrenza fra tipologie) diverso, ambientalmente e socialmente più sostenibile. Oggi la concorrenza del trasporto individuale e su gomma opera un vero e proprio dumping nei confronti di altre modalità o vettori. La logistica in questo caso può essere un utile strumento di intervento e razionalizzazione nella quantificazione e internalizzazione dei costi esterni. Pertanto i costi esterni vanno addossati ai vettori che li producono consentendo un aumento della redditività dei vettori alternativi;

la quantificazione e riduzione dei costi esterni devono essere inseriti nei documenti di programmazione e di bilancio, ma non meno importante è per questa via, rendere evidente all'opinione pubblica l'entità dei costi sociali, ambientali ed economici, i motivi dell'internalizzazione dei costi, l'obiettivo dell'intervento pubblico;

Lo stato e le regioni finanziano non singoli progetti, ma sistemi con chiari obiettivi, coerenti verificabili e verificati fase per fase

La tassazione deve essere sempre più improntata ad aumentare il carico fiscale sull'ambiente e sui costi esterni in sostituzione di quello derivante dal lavoro;

I lavoratori del settore trasporti, ai fini dell'efficienza e della sicurezza, devono godere di condizioni salariali e normative di qualità, e riduzioni di orario di lavoro, i contratti devono essere ridotti di numero e comprendere situazioni omogenee al fine di evitare un concorrenza sleale basata sul costo del lavoro, in questo quadro il ricorso a contratti di precarizzazione abbassano la qualità complessiva del sistema, deve essere altresì prevista la clausola sociale nei trasferimenti d'azienda e nelle cessioni di rami d'azienda;

L'approccio dell'internalizzazione dei costi non è sufficiente perché, nonostante tutto, l'internalizzazione non potrà che essere progressiva ed avvenire in una situazione di modifica graduale del sistema economico. La stessa internalizzazione dei costi può trovare un limite nel consenso dell'opinione pubblica ed anche avere un segno di classe allorchè certi aumenti si scaricassero, direttamente o indirettamente, sulle classi popolari. Si deve dunque agire intervenendo a monte con la logica delle predeterminazione modale, inibendo progressivamente a merci e/o persone l'uso di certi vettori, a partire dal trasporto su gomma, nell'attraversamento di territori particolarmente sensibili socialmente ed ambientalmente a partire dal transito delle alpi, anche in relazione alla convenzione in difesa delle Alpi stesse, dalle merci pericolose, dal divieto dell'attraversamento integrale del territorio italiano su mezzi gommati, dalla riduzione della lunghezza dei percorsi, di persone e merci, sempre su mezzi gommati, al complessivo raffreddamento della domanda degli spostamenti il cui raddoppio è previsto in 15/20 anni. Lo stato definisce le mobilità di trasporto più coerente con gli obiettivi generali: ferrovie, navi. La predeterminazione modale fu proposta come approccio già nell'elaborazione del PGT '85 e fu abbandonato per ovvia contrarietà della lobby gommata. E' tuttavia significativo che nell'elaborazione del PGT 2000 non risulta essere nemmeno stata accennata come concetto.

La prediterminazione modale è resa possibile dalle seguenti caratteristiche del trasporto italiano: la possibilità/necessità di intervenire sui trasporti alpini, l'utilizzo del trasporto via mare, la concentrazione del traffico su alcuni corridoi nei collegamenti nord sud, la concentrazione dei flussi nelle aree metropolitane;

Per questa via ci si propone di contribuire a perseguire l'obiettivo di cambiare i modelli di organizzazione della produzione, della distribuzione e del consumo favorendo modelli autocentrati.

Gli obiettivi proposti per il PGT sono: aumento del trasporto merci su ferrovia del 10%, aumento del trasporto in ambito urbano del 10%, diminuzione dei consumi energetici del settore del 3%, diminuzione delle morti (2700) e degli incidenti (120.000) così come previsto dalla UE, la riduzione dei morti causati da inquinamento da trasporto di 3500 l'anno, obiettivo da inserire anche nel Piano Sanitario Nazionale; Il contenimento dello sviluppo del trasporto aereo;

Nelle aree metropolitane si procede secondo le indicazioni europee delle "città senza auto" attivando tutte le modalità di trasporto pubblico e collettivo che permettano il perseguimento di tali obiettivi, la chiusura delle città deve avvenire risolvendo il problemi di viabilità e sociali a partire dalle periferie;

Tutte le città capoluogo di regione prima, e di provincia poi, devono dotarsi di analoghe politiche di riduzione del trasporto merci: orari di carico e scarico, piattaforme logistiche ecc. ecc.;

Per quanto riguarda il sud e le isole va favorita l'applicazione della continuità territoriale in particolare per i trasporti via mare: le merci e le persone che si spostano, da e per il sud, via mare devono avere costi a prezzo politico in proporzione ai benefici ambientali da perseguire;

i monopoli naturali (autostrade, ferrovie ecc.) sono gestiti in forma pubblica;

per particolari situazioni, riguardanti aziende pubbliche ma anche concessioni affidamenti e comunque in riferimento ad un utilizzo pubblico, in applicazioni di direttive europee che consentono limitazioni del mercato finalizzati a obiettivi sociali o ambientali, il Governo e il Parlamento, le Regioni e i consigli regionali possono applicare una particolare Golden Share o clausole finalizzate al perseguimento di politiche sociali o ambientali;

le Fs Spa hanno il ruolo centrale di coordinare/distribuire il traffico fra le varie modalità ai fini del riequilibrio modale e dell'intermodalità;

Al fine della costruzione di un sistema dei trasporti e del riequilibrio modale, dell'internalizzazione dei costi e della predeterminazione modale il territorio italiano viene suddiviso in grandi corridoi plurimodali: Padano, Adriatico, Tirrenico, Dorsale appenninica, Isole. La funzione dei corridoi consiste nel programmare attraverso le politiche internalizzazione dei costi esterni e la predeterminazione modale l'equilibrio fra gli stessi, diminuendo la concentrazione attuale su quello centrale, e riequilibrando, all'interno dei singoli corridoi, verso la rotaia ed il mare. I nodi sono punti centrali per fare rete. Lungo i corridoi vengono individuati i Sistemi Integrati Territoriali, che in relazione alle caratteristiche socioeconomiche e urbanistiche propongono e consentono livelli ulteriori di analisi e di proposta riequilibrio e integrazioni modale;

Nelle aree urbane e metropolitane individuate si agisce in termini di programmazione attraverso e Piani Urbani della Mobilità (PUM) e i Piani Regionali Integrati dei Trasporti. PUM e PRIT sono obbligatori e fondanti nella redazione dei PRG, dei Piani Territoriali, dei patti territoriali, nelle politiche dei distretti;

lo SNIT (Sistema nazionale integrato dei trasporti) è lo strumento attraverso cui definire il quadro delle necessità e delle priorità;

Pum e Prit definiscono gli obiettivi di riequilibrio modale, la riduzione dell'inquinamento, le compatibilità in merito all'urbanizzazione e agli insediamenti produttivi, gli obiettivi di riduzione del trasporto nelle città coerenti con il PGT; è istituito un tavolo nazionale permanente sulla mobilità urbana;

al fine di definire i progetti, coerenti con gli obiettivi generali, deve essere istituita la Valutazione Ambientale Strategica;

è necessaria l'istituzione dell'Ispettorato dei Trasporti finalizzato al controllo dell'applicazione delle leggi del settore, e della sicurezza, alla valutazione sugli esiti e sulle problematiche verificate nell'applicazione delle medesime, per proposte di programmazione anche in relazione alle esperienze citate; l'ispettorato prepara relazioni al consiglio dei trasporti e logistica e risposte agli atti ispettivi del parlamento;

proprio perché il PGT deve essere un documento di indirizzo e di programmazione vincolante questo deve essere adottato per legge;

Articolato

Articolo 1

La presente legge quadro di programmazione ha per obiettivo un sistema dei trasporti socialmente e ambientalmente sostenibile al fine di garantire a tutti il diritto alla mobilità, alla tutela della salute e sicurezza dei cittadini, alla preservazione delle risorse pubbliche quali l'aria e lo spazio. Particolare riguardo va posto alla difesa dei centri storici, del patrimonio culturale paesaggistico e alle zone ambientalmente sensibili.

Articolo 2

Tali obiettivi sono da perseguire attraverso la riduzione dell'inquinamento, acustico e ambientale, la riduzione dei costi esterni e la loro internalizzazione, e , la riduzione del consumo di energia. Vincolanti sono il rispetto degli obiettivi sottoscritti negli accordi di Kyoto. Agli obiettivi su indicati sono vincolate le scelte economiche e produttive e le loro modalità organizzative, i consumi e la loro distruzione, le scelte urbanistiche.

Articolo 3

1. Gli obiettivi di cui all'articolo 1sono da perseguire in particolare attraverso la predeterminazione modale, programmando lo spostamento progressivo di persone e merci su vettori dai costi esterni inferiori: trasporto marittimo e ferroviario, e dal trasporto privato a quello collettivo, a partire dalle percorrenze più lunghe per le merci, dalle aree urbane per le persone, e dalle zone ambientalmente più sensibili.

Le quantità e qualità, i tempi e i modi, del trasporto di persone e merci da trasferire al trasporto ferroviario marittimo e collettivo, e l'internalizzazione e riduzione dei costi esterni, gli investimenti pubblici e i trasferimenti finanziari, le politiche fiscali sono definiti dal governo con apposita legge, sentite le parti sociali, la conferenza stato regioni, l'Anci e Uppi, da approvare obbligatoriamente in sede di Finanziaria e di Bilancio pluriennale.

La predeterminazione ed il riequilibrio modale vanno perseguiti all'interno della definizione di corridoi plurimodali: valichi, corridoio trasversale padano, corridoio adriatico tirrenico e ionico, corridoio dorsale, collegamenti con le isole. All'interno dei corridoi si possono individuare, in accordo che le regioni gli enti locali e le parti sociali, i Sistemi Integrati Territoriali avanti caratteristiche economiche, sociali ambientali omogenee da integrare opportunamente nel corridoio di riferimento; in tal senso è facoltà inserire particolari golden share o clausole di carattere sociale o ambientale nelle concessioni o affidamenti pubblici o ad uso pubblico,

contabilità costi esterni nei trasporti

Articolo 4

Scopo del presente articolo è l'integrazione dei documenti e degli atti di programmazione economico-finanziaria e di bilancio dello Stato delle regioni e dei comuni e degli enti funzionali con l'obiettivo di conteggiare i costi esterni derivate dalle varie modalità di trasporto. A partire dall'anno finanziario 2002 lo stato le regioni le province i comuni e gli enti locali funzionali approvano, contestualmente ai documenti di programmazione economico finanziaria e di bilancio i documenti di contabilità trasportista, sociale ed ambientali. I documenti di contabilità trasportiste, sociali ed ambientali, sono redatti al fine di rendere cogenti e coerenti i documenti di bilancio e programmazione con le politiche pubbliche in materia di internalizzazione dei costi esterni e di modifica del sistema dei trasporti. Entro 6 mesi dall'approvazione della presente legge il governo, sentite le regioni, è delegato ad emanare un decreto legislativo volto a definire i criteri in base ai quali lo stato le regioni le provincie i comuni e gli enti locali funzionali redigono i propri documenti di contabilità trasporista di carattere sociale ed ambientale e definire il sistema della contabilità e le relative competenze e pertinenze con l'obiettivo di riconoscere i conti dei trasporti e i costi esterni come forma contabile cogente per l'adeguamento dei conti economici agli obiettivi di sostenibilità del sistema dei trasporti ed in coerenza con gli orientamenti comunitari e gli accordi internazionali sottoscritti in materia ambientale

Articolo 5

La definizione degli obiettivi e la predeterminazione modale avviene attraverso:

l'unificazione dei centri di spesa,

il finanziamento di sistemi e non di opere,

il coordinamento e omogeneizzazione del monitoraggio dei dati economici trasporti ambientali,

i PRG e i piani per le attività economiche sono subordinate ai Pum,

i Pum devono prevedere un piano per la mobilità e la logistica delle merci nelle aree urbane,

Articolo 6

Le imprese, i porti e gli aeroporti, devono presentare un piano trasportistico riguardante tutti gli aspetti della mobilità: materie prime, prodotti intermedi, distribuzione, personale.

Le aziende oltre i 200 dipendenti, i distretti industriali, i porti e gli aeroporti devono dotarsi di un mobility manager.

Articolo 7

Le opere infrastrutturali devono corrispondere a criteri di produttività efficienza sociale ed ambientale ed essere coerenti con obbiettivi del PGT. La Via deve sempre essere svolta fra ipotesi diverse compresa l'opzione zero. E' istituita la Valutazione Ambientale Strategica.

Il Ministro dell'Ambiente esprime la congruità in merito alle opere infrastrutturali agli obiettivi del piano. La valutazione di congruità va svolta con una logica di sistema all'interno degli obiettivi del PGT, delle aree urbane metropolitane, dei corridoi interessati.

Articolo 8

Le politiche fiscali ai vari livelli, sono improntate agli obiettivi di internalizzazione e riduzione dei costi esterni, al criterio di chi usa paga, ad incentivare i vettori e le scelte economiche, urbanistiche, trasportiste ambientalmente e socialmente coerenti con le indicazioni del piano. In particolare per i mezzi stradali va prevista una tassazione unica in relazione all'impatto inquinante, all'uso dei mezzi e dello spazio, ai costi esterni prodotti.

Qualsiasi infrastruttura di trasporto, pubblica o ad uso pubblico, deve essere corredata dalla carta dei servizi e dalla certificazione degli standard di qualità e sicurezza, formulati ai sensi di legge e periodicamente verificati dagli organi competenti.

Articolo 9

Le politiche del lavoro nel settore dei trasporti sono improntate ai contratti unici di settore al fine di evitare forme di concorrenza sleale. Nei contratti vanno previste clausole sociali atte a garantire i diritti acquisiti in caso di cessione di ramo d'azienda o passaggio d'azienda. Sono vietate comunque assunzioni a tempo determinato, interinale ed analoghi nei settori interessati circolazione e la sicurezza.

Gli orari di lavoro, ai fine della sicurezza e della tutela della salute dei lavoratori, devono tendenzialmente diminuire verso le normative più favorevoli. E' fatto divieto al ricorso sistematico dello straordinario.

Articolo 10

E' istituito l'ispettorato dei trasporti avete il compito di controllare e monitorare sistematicamente l'applicazione delle leggi e normative in materia di trasporti.

L'ispettorato, anche in base alle verifiche svolta in merito alle applicazioni delle leggi ed agli effetti da queste prodotte predispone proposte di modifiche alle legge ed alle normative ed esprime parere sulle proposte legislative e normative avanzate nelle sedi competenti. L'ispettorato dei trasporti si attiva con apposite indagini su richiesta del governo, del parlamento, delle regioni, del consiglio della logistica e predispone le risposte agli atti ispettivi del parlamento e delle altre istituzioni;

Articolo 11

Al fine del perseguimento dell'aumento della sicurezza del settore, della prevenzione, del controllo dell'applicazione delle leggi e normative in materia, della valutazione delle cause e modalità degli incidenti e delle modifiche legislative e normative che dovessero risultare necessarie, anche al fine di evitare una distorsione fra le varie modalità di trasporto derivante da applicazioni difformi delle norme, è istituita L'Agenzia nazionale per la sicurezza nei trasporti.

L'Agenzia al suo interno si articola in settori.

Glossario

PGT
Piano Generale dei Trasporti
PUM
Piano Urbano della Mobilità
PRG
Piano Regolatore Generale
PRIT
SNIT
Sistema Nazionale Integrato dei Trasporti
Piano Regionale Integrato dei Trasporti
VAS
Valutazione Ambientale Strategica
VIA
Valutazione di Impatto Ambientale
On. Ugo Boghetta
Milano, 2 dicembre 2000
Relazione al convegno del PRC sui trasporti "Trasportare nel tempo giusto nel modo giusto"