Viaggio negli scritti inediti di Che Guevara - 4

«L’Urss ha rimpiazzato l’internazionalismo con lo sciovinismo»

Già dal ’65 era informato sugli scricchiolii del paese più industrializzato del Comecon.

Il Che è implacabile con tutte le formule vuote: come il «centralismo, uno dei miti largamente diffusi», ma che gli sembra solo una frase che nasconde le più diverse strutture politiche ed è quindi carente di contenuto reale. Smantella anche le citazioni dal XXI Congresso del Pcus, osservando che presentare come un successo il dissodamento delle terre vergini è un errore, anche se meno grave di quel “complesso ideologico di inferiorità” che ha portato alla famosa velleitaria sfida con gli Stati Uniti

Che Guevara

Che Guevara

IL CHE SULLA SIERRA MAESTRA NEGLI ANNI DELLA GUERRA RIVOLUZIONARIA CUBANA (1957-58). QUI COSTRUISCE LA SECONDA COLONNA DELL’ESERCITO RIBELLE E ORGANIZZA IL “TERRITORIO LIBERO” DI EL HOMBRITO

Photo by Liberazione

Ma veniamo alla parte del Manuale di Economia dell’Accademia delle Scienze dell’Urss dedicata proprio ai “paesi socialisti”. Una delle frasi che appaiono vuote al Che riguarda i successi e la cooperazione tra di essi:

«In un breve arco di tempo, i paesi del campo socialista gettarono le basi per una stretta collaborazione economica, fondata sul reciproco aiuto fraterno. Accanto al vecchio mercato mondiale capitalistico nacque un nuovo mercato mondiale dei paesi socialisti, che si rafforzò rapidamente. Tale mercato cresce ininterrottamente, grazie al suo sviluppo senza crisi e all’inarrestabile incremento della produzione nei paesi del campo del socialismo. Essendosi poi sganciati dal sistema capitalistico, nella fase del dopoguerra, tutta una serie di nuovi paesi, e proprio in conseguenza di questo, si formò e si sviluppò vittoriosamente il sistema socialista dell’economia mondiale».

Il testo proseguiva assicurando che così si era assestato un nuovo colpo al sistema dell’imperialismo. E Guevara annotava:

«Troppo idilliaco. Ancorché non si conoscano le crisi nell’accezione propriamente capitalistica, le difficoltà degli ultimi anni nelle democrazie popolari d’Europa e il disastro del grano in Urss stanno ad indicare che anche lì si susseguono gravi interruzioni dell’avanzamento ».

L’affermazione del Manuale che il socialismo si distinguerebbe da tutte le formazioni sociali precedenti per l’allargamento ininterrotto della produzione, ed anzi che «il socialismo pone fine alla contraddizione tra la natura sociale della produzione e la forma privata, capitalistica, dell’appropriazione (...), non conosce la contraddizione tra produzione e consumo (...) e quindi è in condizioni di potere espandere ininterrottamente la produzione» sembrava infondata a Guevara, che osservava che al massimo poteva valere per l’Urss che era un “paese-continente”, ma certo non per altri paesi come la Cecoslovacchia: «Un mercato estero sempre più esigente ha progressivamente scalzato via articoli prodotti con una tecnologia ormai congelata, determinando cali nella produzione complessiva del paese». Guevara alla fine del 1965 era abbastanza informato sugli scricchiolii del paese più industrializzato del Comecon, e conosceva probabilmente la diagnosi fatta dagli economisti critici come Ota ik, anche se non condivideva la terapia che essi proponevano.

E quando il Manuale, riprendendo un documento ufficiale del XXI Congresso del Pcus, affermava che l’Urss, non essendo più circondata dall’assedio capitalista non correva più rischi di restaurazione capitalista (anzi, si precisava, «non esistono più nel mondo forze in grado di restaurare il capitalismo nel nostro paese, di far crollare il campo socialista » sicché il pericolo di restaurazione sarebbe stato eliminato definitivamente), Guevara osservava prudentemente che questa osservazione poteva essere oggetto di discussione dato che «le ultime risoluzioni economiche dell’Urss somigliano a quelle adottate dalla Jugoslavia quando scelse la strada che l’avrebbe portata a un graduale ritorno al capitalismo». Guevara contestava anche che fosse stata eliminata la contraddizione tra città e campagna e che anzi ci fosse una unità di interessi di classe tra operai e contadini:

«Questo non lo ha confermato la pratica in Urss né nelle democrazie popolari. Le differenze e l’antagonismo sono palpabili e in contraddizione per penurie e carestie periodiche».

Proprio esaminando la situazione delle campagne (in particolare nei kholchos, che il Che pensa siano da considerare “presocialisti”) Guevara osserva più volte che quanto è descritto nel Manuale è proprio dell’Urss e non del socialismo.

Guevara è implacabile con tutte le formule vuote, come il «centralismo, uno dei miti largamente diffusi», ma che al Che sembra solo una frase che nasconde le più diverse strutture politiche, ed è quindi carente di contenuto reale. Smantella anche le citazioni dal XXI Congresso del Pcus, osservando che presentare come un successo il dissodamento delle terre vergini è un errore, anche se meno grave di quel “complesso ideologico di inferiorità” che ha portato alla famosa velleitaria sfida con gli Stati Uniti, che quel Congresso pensava di raggiungere e superare in una ventina di anni. A questo proposito c’è un accenno critico alla Cina, che con la stessa logica nel 1958 si era proposta di raggiungere l’Inghilterra.

Una frase retorica del Manuale sullo sviluppo pianificato della collaborazione economica tra i paesi socialisti, basata sulla più razionale utilizzazione del potenziale produttivo, nell’interesse di ciascun paese e di tutto il campo socialista in generale, in base alla “divisione socialista internazionale del lavoro”, lo spinge a una considerazione molto dura:

«Di nuovo questa idea, così giusta nella sua formulazione teorica, inciampa in contraddizioni etiche. Se l’internazionalismo proletario ispirasse le azioni dei governanti dei paesi socialisti, indipendentemente da certi errori concettuali in cui potrebbero incorrere, sarebbe un successo. Ma l’internazionalismo è rimpiazzato dallo sciovinismo (da poca potenza o da piccolo paese), o dalla sottomissione all’Urss, mantenendo le discrepanze tra altre democrazie popolari (Comecon) ».

Guevara nella stessa nota osservava che era difficile catalogare questi atteggiamenti, soprattutto senza un’analisi profonda e documentata delle motivazioni di ciascun paese, ma concludeva «che quel che è certo è che minacciano gli onesti sogni di tutti i comunisti del mondo». E dato che nel lungo periodo sulle meraviglie della “divisione socialista internazionale del lavoro” era inserita una frasetta sulla necessità di «tener conto, analogamente, dello sviluppo dei rapporti economici tra i due sistemi mondiali, il socialismo e il capitalismo», Guevara, diffidente, osservava che probabilmente si pensava a una pianificazione in vista dell’estensione di queste relazioni.

A proposito dei piani annuali come articolazione di quelli quinquennali, esaltati dal Manuale, il Che osservava poi seccamente:

«I piani annuali, nella forma attuata a Cuba, costituiscono un freno. Ogni anno, come spiega in seguito il testo, si dividono le ristrettezze precedenti, come se tutto ricominciasse da capo, e si dà il caso di fabbriche con risultati brillanti un anno e disastrosi il secondo anno, per la mancanza di materia prima. Se il sistema non è buono nei paesi socialisti vicini, con grande indipendenza, a Cuba, lontana chilometri e con persistenti problemi di pagamenti, è stato disastroso ».

Altre osservazioni sono meno sorprendenti, perché ripetono quanto scritto negli articoli e interventi del dibattito economico pubblicati nel 1963-1964 a Cuba (ad esempio che «una delle pecche gravi del sistema sovietico » è che «gli incentivi morali sono dimenticati o marginali»). Di fronte a un’affermazione trionfalista sulla Banca di Stato dell’Urss che sarebbe «la banca più potente del mondo» grazie alle filiali collocate nella capitali delle repubbliche sovietiche, dei territori e regioni, e in quasi tutti i distretti del paese, Guevara scrive maliziosamente:

«Possiede anche filiali a Londra e a Parigi (un poco mimetizzate). Ci si può chiedere se tutto ciò non influirà sui metodi e le concezioni della direzione sovietica, così come gli istituti creditizi di proprietà del partito argentino influiscono sulla sua linea di intervento politico».

Il paragone di Guevara con il Partito comunista della sua Argentina è interessante, e spiega bene che la critica del Che alla maggior parte dei partiti comunisti latinoamericani non era solo ideologica o morale, ma partiva dalla consapevolezza del loro inserimento, subalterno ma totalmente complice, nel sistema capitalistico.

Indice:

Introduzione, Parte 2, Parte 3, Parte 4, Parte 5, Parte 6

Antonio Moscato
Lecce, 9 ottobre 2005
da "Liberazione"