Dal quotidiano Le Monde:

Le ragioni di un fallimento

Le recenti elezioni francesi hanno imposto a tutta la sinistra europea una riflessione e un dibattito che il suo giornale ha in gran parte ospitato. Vorremmo aggiungere il giudizio di una forza politica come Rifondazione comunista che, come lei sa, non condivide le scelte dei partiti socialisti e socialdemocratici europei ritenendole assolutamente inadeguate a rispondere a quel nuovo assetto politico mondiale che chiamiamo globalizzazione. Dico subito che sono d'accordo con quanti sostengono che queste elezioni segnano innanzitutto la sconfitta della sinistra di governo, ma non trovo convincenti le analisi fatte su questo fallimento da molti autorevoli commentatori italiani e francesi.

Non credo, infatti, che le ragioni della sconfitta stiano nei limiti caratteriali e comunicativi del primo ministro, né penso che una campagna elettorale sicuramente deludente basti a spiegare la debacle della gauche plurielle. E tanto meno la spieghi un presunto conflitto fra materia e spirito della politica, fra “governo” e “identità”, fra etica e politica o, ancora. La divisione delle forze della sinistra. Tesi tutte troppo superficiali per essere veritiere.

La sconfitta dei socialisti francesi e del loro governo segna soprattutto il fallimento della politica riformista di fronte alla globalizzazione. Il governo della sinistra francese ha perso perché non è stato capace, come del resto i partiti e i governi socialisti o di centro sinistra di tutta Europa, di costruire e dare una risposta di qualità agli squassi provocati dalla globalizzazione. Essa è la prova (tanto più significativa perché possiamo dire che Jospin ha governato meglio o, almeno meno peggio bene di tanti altri governi di sinistra o di centro sinistra europei), che non è possibile oggi un compromesso fra le esigenze di un mercato globalizzato e le istanze del riformismo e del compromesso che le socialdemocrazie hanno tentato di affermare nel loro ultimo corso, quello nel quale è prevalsa la “terza via”. Il nostro non è un giudizio ingeneroso. Siamo consapevoli (tant'è che siamo stati l'unico partito a sostenerla in Italia) dell'importanza della riduzione di orario a 35 ore. Ma proprio quella legge e il modo in cui è stata applicata sono indicative della impossibilità di tentare una mediazione con un sistema economico, quello del capitalismo della globalizzazione, che in Francia come in tutto il mondo richiede la più assoluta flessibilità. Il tentativo del governo francese di coniugare la riduzione di orario e la flessibilità per agevolare le aziende e insieme i lavoratori ha finito col rendere più incerta e precaria la condizione di molti lavoratori dipendenti, ha generato altra insicurezza in un mondo del lavoro già insicuro, offrendo una prospettiva convincente solo agli strati più alti della popolazione lavorativa.

Un discorso analogo si può fare per le privatizzazioni. Anch'esse sono state realizzate in Francia nel tentativo di un compromesso con le esigenze del mercato globalizzato, anch'esse hanno generato conflittualità, precarietà sociale e insicurezza: nei lavoratori pubblici non più garantiti, nei cittadini incerti sul servizio, probabilmente in gran parte dei francesi che hanno visto il ruolo dello stato ridimensionato da processi esterni ad esso.

Il secondo punto su cui segnalo una divergenza di analisi con molti pur acuti osservatori riguarda la destra. Essa, come è evidente, e come il suo giornale ha autorevolmente scritto, si è affermata in tutta quell'Europa fino a qualche anno fa governata dalle socialdemocrazie. In quasi tutta Europa, accanto o insieme ad una destra “democratica” si è affermata una destra razzista, xenofoba e tendenzialmente violenta. Essa non è un'anomalia. Non è anomalo Berlusconi e il suo alleato Bossi in Italia, non è anomala l'affermazione di Le Pen in Francia. Non si tratta di vecchio populismo, non ci troviamo di fronte a rigurgiti fascisti. Quella destra è una delle facce, quella spietata e moderna del nuovo capitalismo che ha bisogno per crescere di alimentarsi anche di nuove forme di autoritarismo, così come della xenofobia. Ma che le fa crescere e le fa convivere insieme ad una concezione tecnocratica, ad una obbedienza cieca e assoluta alle leggi del mercato, ad un liberismo che non si fa scrupoli sulle condizioni dei lavoratori. Se non si comprende questo non si comprende neppure perché questa destra, che viene definita anomala o antica, si affermi all'interno di moderni processi economici. Si tende a darne una immagine residuale e passatista. Alla fine la si sottovaluta.

Invece questa destra oggi è forte. Essa si alimenta e trae vigore, oltre che dal fallimento delle socialdemocrazie, da una crisi della politica senza precedenti. E' stato notato che Jospin e Chirac insieme hanno raggiunto meno del 40 per cento. E' noto che al primo turno elettorale si è registrata una astensione del 28 per cento. Sono solo segnali di quella crisi a cui se ne possono affiancare nelle società europee molti altri, ma oggi è importante indagarne i motivi. Essa ha la sua causa nella frantumazione sociale causata dalla globalizzazione capitalistica. La lotta fra i poveri, la flessibilità e la precarietà del lavoro, l'aumento della disoccupazione, l'emarginazione nelle metropoli hanno cambiato la società e hanno reso difficile, a volte impossibile, la rappresentanza politica. Anch'essa di conseguenza si è frantumata, e ha prodotto, ad esempio, quella divisione a sinistra, quell'aumento dei partiti che in Italia e in Francia molti osservatori politici individuano quale causa della sconfitta. Anche questo un giudizio frettoloso ed errato. La frammentazione a sinistra è l'effetto di quella disgregazione sociale che, a sua volta, è la conseguenza più drammatica della globalizzazione. Non è quindi la causa di una sconfitta, che per la sinistra si è già verificata sul terreno sociale, ma un effetto. Si deve invece indagare la causa profonda della crisi della politica, la fine del '900, e riproporne la sua rifondazione.

E veniamo ad un terzo punto del voto francese. Si è spesso unificato il voto dell'estrema destra e dell'estrema sinistra in un generico giudizio di voto antisistema. La Lagouiller e Le Pen avrebbero in comune la loro opposizione a quel sistema di regole che lo stato si è dato e ambirebbero a rigettarle. Mentre credo che il voto della estrema sinistra sia comunque un voto contro il sistema, e più precisamente contro la globalizzazione capitalistica, le sue cause e i suoi effetti nella società, il voto al capo del Fronte nazionale è tutto interno al sistema. Le Pen interviene nelle divisioni, nelle insicurezze che il moderno capitalismo ha introdotto in occidente e che sono evidenti soprattutto nelle grandi metropoli, le enfatizza, le potenzia, ne fa la leva della sua forza. Potrebbe esistere il Fronte nazionale senza la paura degli emarginati delle banlieu, senza il senso di insicurezza che deriva dalla precarietà del lavoro, senza la paura che gli immigrati tolgano ai francesi le sicurezze già incerte dello stato sociale? Le Pen è insieme, l'espressione della crisi della coesione sociale e ciò che punta a radicalizzarla.

In Francia in questi giorni abbiamo assistito ad una ribellione contro questa destra di grande importanza. Abbiamo visto soprattutto i giovani e i giovanissimi scendere in piazza contro la destra fascista e xenofoba. Non ci è parsa una nuova edizione del vecchio frontismo. Non ci è parsa una battaglia antifascista di vecchio stampo. E sarebbe un nuovo errore della sinistra considerarla tale. Ci è parsa una presa di coscienza nuova dei guasti sociali prodotti da questo sistema, ci è parso il tentativo di riappropriarsi dal basso della politica, di farla ritornare nelle mani, nel cuore e nel cervello della società. Ci è parsa, insomma, l'inizio di una nuova volontà di cambiamento, il frutto, un altro dei frutti, del movimento dei movimenti, del popolo di Seattle. Di questo la società francese e le società europee hanno bisogno. Senza di questo l'Europa resta prigioniera di Maastricht, una realtà priva di un progetto di futuro. Resta da chiedersi se i politici, ma anche gli intellettuali, e i mass media capiranno questa nuova domanda o ancora una volta la lasceranno inevasa.

Fausto Bertinotti
Parigi, 11 maggio 2002
da "Le Monde" (trad. "Liberazione") originale francese