Elezioni europee, 12 - 13 Giugno 2004

LA SINISTRA, L'ALTRA EUROPA

PROGRAMMA DEL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA - SINISTRA EUROPEA

Simbolo PRC- SE

PARTE TERZA.
CONTRO LA DEVASTAZIONE DELLA NATURA E DELL'AMBIENTE

INDICE GENERALE

3.1 La questione ambientalevai a indice

La questione ambientale rappresenta una delle contraddizioni più evidenti del modo di costruire l'Europa.

L'Europa ha in se complessivamente e nelle vari esperienze nazionali, una storia segnata dall'intreccio tra natura e cultura, con territori ricchi ma spesso fragili (come in Italia), caratterizzati da forte antropizzazione.

Naturalmente si sono conosciute vere e proprie devastazioni dalle deforestazioni all'agricoltura massiva alle industrializzazioni selvagge, ma c'è comunque nel rapporto con l'ambiente un elemento di civiltà presente in tutte le culture giuridiche, artistiche, economico sociali. Si pensi solo alla larga diffusione dei beni considerati comuni.

Tutto ciò ha fatto sì che l'Europa mostrasse attenzione alla legislazione intorno alla questione ambientale anche in questa fase di formazione, producendo numerose direttive, libri verdi e manifestando maggiore propensione agli accordi internazionali come quello di Kyoto.

Ma questa propensione è stata affidata al prevalente delle politiche monetaristiche di mercato e privatistiche che l'hanno di fatto vanificata.

Si pensi a come Kyoto risulti in concreto di assai difficile attuazione anche in ambito europeo, alle contraddizioni agricole dove il prevalente di tagli e concorrenza sta di fatto lasciando spazio alla subalternità ai modelli americani e rende flebile la resistenza agli OGM e rischia la marginalizzazione delle politiche di qualità e di sovranità alimentare, alle infrastrutturazioni selvagge e devastanti proposte più per annettere territori che per promuovere relazioni di tipo nuovo; alle privatizzazioni dei beni ambientali, dall'acqua, ai territori, proposte e imposte anche verso i paesi terzi con grande aggressività.

Emerge con nettezza la contraddizione celata anche nella ambiguità della definizione di sviluppo sostenibile, di affidare i valori ambientali e il loro essere base di una diversa idea di economia e di società al mercato, all'impresa, alle privatizzazioni e alla liberalizzazioni.

Tutte queste, lungi dal promuovere una razionalizzazione una modernizzazione ambientalista, accentuano il carattere entropico e distruttivo di una globalizzazione che non garantisce più la riproduzione sociale ed ambientale ed anzi sconta politiche di dominio e di vere e proprie guerre militari e commerciali per le risorse.

Al contrario, l'Europa, se vuole esistere, ha bisogno di tutt'altra strada cioè quella di ricostruire, a partire da sè ma anche agendo nello scenario globale, un nesso tra economia, società, cicli ambientali di cui garantire la riproducibilità.

E' una critica di fondo della globalizzazione che insegue “irrazionalmente” ambiente e lavoro ai costi più bassi, alle privatizzazioni, alle liberalizzazioni che in realtà moltiplicano gli impatti in modo devastante, alla mercificazione che impedisce l'evoluzione dell'ambiente al punto ormai da comprometterne i grandi cicli, dall'acqua alla biosfera.

Un programma di alternativa è fatto dunque della ricostruzione dei grandi cicli biologici.

Esso richiede una nuova dimensione tra locale e globale in cui sono fondamentali le esigenze sociali e ambientali e non quelle commerciali; la sovranità alimentare ne è un esempio formidabile. Ma lo sono anche il governo delle acque per bacini o la territorializzazione delle produzioni energetiche.

Il secondo grande requisito è la definizione di un ambito di beni comuni rispetto ai quali devono prevalere le istanze sociali e ambientali.

Acqua, energia, territori, biodiversità, città, culture non sono mercificabili pena la loro dissipazione e la sottrazione crescente di accesso.

Questa cultura dei beni comuni poggia largamente su preesistenti giuridici e culturali (si pensi agli usi civici e ai demani).

Il terzo punto è rappresentato proprio dalla promozione delle politiche ambientali richiede un nuovo ruolo fondamentale per un nuovo pubblico capace di agire al livello delle grandi politiche necessarie così come il mercato ha dimostrato di non saper fare.

Il quarto dal risanamento e la valorizzazione dell'ambiente devono diventare la principale occasione di lavoro buono.

Il quinto, dal fatto che l'economia deve incorporare i valori ambientali, non tramite il mercato, che ha fallito, ma tramite la democrazia partecipativa agendo localmente e globalmente. Il mercato, infatti, agisce, pensandosi senza limiti ambientali e quando vi si scontro, come ormai avviene inevitabilmente, pur di non comprimere se stesso distrugge democrazia e soggetti. L'emergere del carattere finito delle risorse, e della sua insormontabilità di tipo puramente tecnologico, richiede una nuova modernità, una nuova economia, più democrazia.

Concretamente ciò significa avere diversi parametri di misurazione dell'economia invece del PIL e del tutto contrapposti a quelli monetaristici di Maastricht; nuove regole internazionali fondate su pacchetti di diritti ambientali e sociali esigibili anche su scala locale, andando ad esempio anche oltre Kyoto; la qualità dei cicli ambientali, la loro riproducibilità. e il loro accesso per tutti e per ciascuno come regole; l'effettivo calcolo del bilancio materiale dell'economia per rispettare gli impegni di risparmio delle risorse; la definizione giuridica di beni comuni per acqua, energia, territorio, biodiversità e del carattere pubblico e partecipato di tutti i servizi ad essi connessi; la partecipazione democratica alla gestione e al controllo dei beni comuni; le relazioni globali fondate non sull'impero ecologico e lo scambio ineguale ma anzi sul risarcimento delle depredazioni avvenute e dunque sull'azzeramento del debito, sulla cooperazione, il rispetto e la promozione delle sovranità ambientali.

La sicurezza va intesa come un valore di democrazia e di diverse concezioni del progresso. Si tratta di affermare dunque il principio di precauzione come norma preventiva rispetto ad ogni scelta più economica.

Bisogna trasformare le politiche dei rifiuti in una nuova politica di democrazia merceologica volta ad un modello che non rifiuta, ma invece risparmia, recupera, ricicla le materia. Vanno quindi contestate e rifiutate le logiche dello smaltimento e della diffusione degli inceneritori.

Vanno progettati un risanamento e una riqualificazione dei territori e delle città come grande progetto occupazionale e di qualificazione civile.

Bisogna pensare ad un riassetto dei territori e delle città fondato sulla rinaturalizzazione, il reinsediamento nelle aree deboli, il recupero dei patrimoni urbani.

Queste proposte sono di cornice a progetti obbiettivo come la conversione ecologica delle attività industriali non per delocalizzarle verso altri paesi solo per esportare gli impatti ambientali e ridurre il costo del lavoro mantenendo però i profitti, ma riqualificando in senso sociale e ambientale cosa, come, per chi produrre: la mobilità alternativa, il risparmio energetico diffuso, la conversione civile delle produzioni militari; l'innovazione di processi e di prodotto.

3.2 Per una sovranità alimentare e una diversa PAC (Politica Agricola Comunitaria)vai a indice

Il risultato di decenni di politiche liberiste hanno favorito l'abbandono delle campagne disconoscendo economicamente e socialmente quelle funzioni di sorveglianza, manutenzione e gestione del territorio che solo i lavoratori agricoli possono svolgere. Senza le imprese agricole ed il lavoro quotidiano non c'e presidio del territorio e si lascia campo aperto alla stagione della cementificazione e dei disastri La nuova Revisione della Pac presentata da Fischler favorisce un ulteriore processo di abbandono delle campagne. Le imprese agricole europee continueranno ad essere bruciate sull'altare della salvezza del libero mercato, saranno 600 al giorno le aziende agricole tra i 5 ed i 20 ettari che dovranno chiudere i battenti a vantaggio delle aziende sopra i 50 ettari.

Ulteriori tagli all'agricoltura e l'impianto liberista della PAC avranno un impatto devastante sulle nostre economie rurali, l'ulteriore abbandono delle aree marginali verso le zone interne e verso prodotti a basso valore aggiunto di lavoro, con eccessi di chimica ed acqua per prodotti di scarsa qualità che andranno a far concorrenza a produzioni senza nessun controllo sociale, ambientale, delocalizzate in giro per il mondo e pronte ad ingrossare le catene di discount senza alcuna garanzia per i consumatori.

Il compromesso raggiunto dal Consiglio dei Ministri Agricoli europei sulla PAC, penalizza fortemente l'agricoltura mediterranea di qualità, Il metodo di calcolo del disaccoppiamento colpirà negativamente le aziende bio, la modulazione porta risorse irrisorie allo sviluppo rurale. Una riforma che tradisce l'impegno per una vera condizionalità ambientale, sociale ed occupazionale per l'ottenimento di premi. Il disaccoppiamento parziale e l'ampia autonomia data ai singoli stati membri, per la sua messa in pratica, apre la strada ad una rinazionalizzazione della PAC ed è un preoccupante segno verso la sua delegittimazione o il suo smantellamento. I fondi ottenuti grazie alle modulazione rimangono a livello nazionale per l'80% penalizzando per l'ennesima volta i Paesi del mediterraneo che storicamente beneficiano in minor parte delle risorse del primo pilastro ed hanno invece maggiori opportunità di accesso alle risorse del secondo pilastro.

Ancora una volta prevale il primato del liberismo, la vulgata che vorrebbe l'agricoltura orientata verso un'attività eco- socio- compatibile, ossia compatibile sotto un profilo ambientale e sociale, sta sempre più cambiando profilo, per guardare sempre più esclusivamente verso un'attività eco-competibile, ossia capace di sostenere la competizione economica e la concorrenza commerciale su un mercato agricolo globalizzato.

L'idea di sovranità alimentare costituisce la più recente espressione e formalizzazione del percorso politico intorno al diritto alimentare, un concetto introdotto e promosso nel dibattito internazionale grazie al contributo delle organizzazioni aderenti al movimento contadino internazionale la Via Campesina.

Il suo presupposto risiede nel controllo decentrato delle politiche produttive e distributive: essendo inapplicabile un sistema produttivo unico, capace di garantire a tutti e ovunque la disponibilità e l'accesso al cibo, le comunità, devono poter individuare le soluzioni più appropriate sulla base delle proprie necessità, priorità, realtà, culture. Anche per queste ragioni il controllo delle risorse genetiche deve rimanere strettamente nelle mani della collettività ed ogni tentativo di imporre diritti di proprietà monopolistica sulle cosiddette invenzioni che utilizzino essenzialmente materiale biologico deve essere respinto fermamente e categoricamente, affinchè la vita non sia trasformata in merce.

E nostra convinzione che per garantire un rapporto solidale fra nord e sud del mondo, per ricostruire equilibri ”sani” nella società, per assicurare un'alimentazione qualitativamente adeguata e per governare il territorio, sia importante ottenere un riconoscimento sociale del ruolo dell'agricoltore (uomo o donna) nella produzione del cibo e nel mantenimento di comunità rurali attive, attrattive e diversificate, attraverso un lavoro agricolo sostenuto da un'adeguata remunerazione.

Un tale progetto richiede, che la questione delle alleanze fra mondo agricolo, ambientalista, e quello del consumo sia approfondita con la volontà di trovare una chiave di lettura comune, solidale e mutuamente soddisfacente: crediamo che seppur lentamente, ci siano le condizioni per stringere tali alleanze e per restituire centralità ad aspetti cruciali come la tutela ambientale, la qualità degli alimenti e la retribuzione del lavoro contadino.

Per questo ci battiamo affinché non vi sia nessuna coesistenza tra semi OGM e agricoltura biologica o convenzionale, e invece si realizzi il ripristino della moratoria in sede UE sulle colture transgeniche.

Perché vi sia una drastica riduzione invece fino alla totale eliminazione di ogni forma di contributo teso a finanziare le eccedenze di produzioni che con l'effetto del dumping provocano disastri nei paesi poveri.

Perché vengano sostenuti prioritariamente i titolari di aziende che svolgono a tempo pieno l'attività agricola, valorizzando il lavoro bracciantile e destinando quote dei finanziamenti a quelle produzioni di qualità, biologiche, che richiedono maggior manodopera e che operano in territori marginali.

Perché vengano rinegoziate in sede UE le politiche delle quote di produzione, in particolare quelle nel settore del latte, della carne, dei cereali, della bieticoltura .

Perché ci si attivi affinché l'UE si doti di una ricerca alternativa a quella delle multinazionali con progetti legati al territorio, alla valorizzazione del ciclo corto con culture eco-compatibili e con produzioni che salvaguardino i consumatori.

Perché si decida un sostegno all'accesso di prodotti di qualità per tutti attraverso politiche pubbliche di distribuzione e di formazione dei prezzi.

3.3 L'acqua è un bene comune vai a indice

L'acqua deve essere considerata bene comune, diritto di tutti i cittadini.

L'Europa deve ritirare le richieste avanzate dal WTO per la sua commercializzazione e la sua gestione privatistica e liberista.

Al contrario si deve impegnare per vedere riconosciuto il diritto di accesso e la gratuità per almeno 50 litri pro-capite sviluppando forme di cooperazione e di partenariato pubblico pubblico che escludano l'acquisizione di mercato.

La gestione pubblica deve essere partecipata e promuove il governo dell'acqua come fattore di governo del territorio, l'uso razionale e plurimo, la lotta agli sprechi, il riciclaggio, riconvertendo le produzioni agricole e industriali e gli insediamenti in forme che consentono il ripristino e il mantenimento di un corretto ciclo dell'acqua.

3.4 L'energia è un bene comunevai a indice

Per realizzare questo obiettivo è necessario garantire la riduzione consistente dell'utilizzo di combustibili fossili (petrolio, gas, carbone, orimulsion…) e conseguente riduzione dei gas serra andando oltre i limiti di Kyoto (inefficaci quanto disattesi), meno 20-30% entro il 2020, con un orizzonte di meno 70-80% entro il 2050; un piano di uscita certa dal nucleare in tempi sufficientemente brevi, tenendo ben fermo il no a questa fonte di produzione energetica, italiano conquistato con il referendum, accompagnato dalla definizione di un progetto comune fra gli Stati che garantisca il confinamento, di tutte le scorie radioattive, in condizioni di massima sicurezza possibile; l'aumento progressivo e consistente dell'efficienza energetica, dal lato domanda e dal lato offerta, tale da permettere il soddisfacimento dei bisogni energetici con l'impiego delle risorse rinnovabili ad impatto zero (es. solare termico, fotovoltaico e passivo, eolico, biomasse sicure), perseguendo l'obiettivo di limitare l'uso di fonti fossili ad 1 tep/anno medio per persona all'anno (entro il 2050 come definito nel Contratto Mondiale dell'Energia); il sostegno massiccio alla crescita della produzione energetica da fonti rinnovabili pulite, in quantità tale da garantire il raggiungimento degli obiettivi definiti al punto precedente. Occorre inoltre sostenere un forte progetto di solarizzazione del Mediterraneo, tale da renderlo luogo in cui la produzione di energia si trasformi da motivo di terribili guerre ad occasione di collaborazione pacifica fra i popoli che vi si affacciano; la decisione che l'energia venga garantita ad ogni persona in quantità necessaria, per una vita dignitosa, in condizioni di massima efficacia ed efficienza.

La condizione imprescindibile per garantire la realizzazione di una politica energetica ecologicamente e socialmente compatibile, come abbiamo definito nei punti che precedono, è la ridefinizione di un ruolo pubblico preminente, partecipato e sostenuto dalle comunità locali, tale da rendere praticabile un nuovo modello energetico che anziché basarsi sulle grandi concentrazioni produttive venga ridefinito a livello locale in stretto rapporto con il territorio.

3.5 Per un diverso sistema della mobilitàvai a indice

La questione trasporti, soprattutto nel senso delle infrastrutture da costruire, è uno dei temi più dibattuti anche in questi ultimi mesi. Il tema però allude a questioni molto diverse.

In primo luogo le questioni geopolitiche ed ai vantaggi/svantaggi che le scelte possono avere sui singoli stati. In particolare l'entrata dei paesi dell'est prevede la necessità di infrastrutture finalizzate alla loro integrazione. Necessità che deriva anche da una rottura nel sistema dei trasporti prodotta dalla guerra fredda. Questione che sembra interessare spasmodicamente i governanti del nostro paese: il fantomatico corridoio numero 5. Appare altresì evidente che lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto verso est è tale da favorire la delocalizzazione. Tale questione, tuttavia, va affrontata anche positivamente e deve vedere integrate e sviluppate, per le merci, la modalità ferroviaria, mentre i nuovi entrati tendono anch'essi alla costruzione di autostrade.

Per quanto riguarda l'Italia e l'equilibrio complessivo dell'Europa, va posta la centralità del Mediterraneo: 500 milioni di abitanti. La questione va connessa inevitabilmente alla pace come presupposto dello sviluppo: Mediterraneo mare di pace. La modalità marittima deve fare un salto di qualità sulla sponda sud dell'Europa: anzi deve diventare per il nostro paese la priorità, anche per decongestionare le vie terrestri (stradale, ma anche ferroviarie). Il trasporto marittimo, inoltre, ha un alto rapporto fra investimento e tasso di occupazione (superiore a quello dell'auto). Si tratta di cantieri navali, lavoro portuali, logistica.

Gran parte del problema infrastrutturale italiano, riguarda in particolare il nesso fra pianura padana ed Europa del nord. I traffici transfrontalieri e nella pianura padana, infatti, in larga parte ovviamente stradali, sono aumentati a dismisura. Progressivamente si va al collasso. Si tratta in questo caso di rilanciare un modifica dei rapporto fra le modalità di trasporto attraverso le Alpi verso la ferrovia. Innanzi tutto utilizzando con opportuni interventi le attuali capacità ferroviarie. Per il futuro si deve tener conto degli enormi progetti ferroviari della Svizzera. Verso ovest si devono potenziare le ferrovie con progetti alternativi al passaggio in Val di Susa.

Andrebbe fatta una valutazione più realistica del possibile raddoppio del Brennero. Sicuramente vanno potenziati i valichi verso l'Austria e la Slovenia. Ma questi progetti devono nascere da un cambiamento radicale del modello di trasporto che deve avvenire innanzi tutto nella pianura padana: passaggio progressivo delle merci, e quindi non alta velocità, dalla gomma alla rotaia, con interconnessioni vere con porti e gli aeroporti, con i distretti industriali, con una selezione radicale delle vere priorità e della loro tipologia, anche in relazione alle effettive disponibilità finanziaria. Si deve altresì potenziare il trasporto persone nelle aree metropolitane ed urbane che è l'altra grande emergenza. Per far questo è necessario rilanciare la programmazione nel senso della predeterminazione modale: scelta dei vettori con i quali si deve trasportare le varie tipologie di merci a secondo delle origini e delle destinazioni.

In secondo luogo, il Ministro Tremonti ha tentato di esportare in Europa, ai tempi del semestre italiano, la costruzione delle infrastrutture come aumento del Pil e dell'economia: “il keynesismo del cemento e dell'asfalto”. Emblema di questa concezione è il Ponte sullo Stretto che però si scontra con la scarsità delle risorse finanziarie, l'opposizione crescente delle popolazione a megaopere dal grande impatto ambientale e dagli scarsi vantaggi per i trasportisti, e la vetustà della concezione. C'è da dire che le scelte europee, spesso ferroviarie, quando scendono in Italia diventano quasi tutte strade ed autostrade. Il privilegio della gomma è evidente.

D'altro canto l'elenco delle opere che si sarebbero dovute realizzare è diventato l'elenco delle promesse. In realtà la realizzazione si è inceppata e ridotta. E in merito all'elenco delle opere europee è ancora in atto un contenzioso su quelle indispensabile da realizzare e finanziare. In questo balletto il Ponte entra ed esce dalla lista. Proprio perché lo scopo dei Tremonti/Lunardi è costruire tanto e costruire in fretta. Allo scopo di fare credere di incrementare il famigerato Pil, si è prodotta la legge obiettivo che elimina qualsiasi “laccio e lacciuolo” di carattere ambientale, democratico (decisioni delle comunità locali), trasportistico (costi benefici), ma anche di qualità progettuale. Non esiste una vera cultura della progettazione.

Va detto, tuttavia, che tale impostazione è purtroppo assai poco contrastata dall'Ulivo, che ha criticato il governo Berlusconi perché incapace di realizzare le opere: le medesime dei governi di centrosinistra.

La realtà ha smentito in fretta la concezione comune ai due poli di un mercato che avrebbe allocato le risorse le scelte con intelligenza sociale ed ambientale. Così non è stato. Quasi ovunque si assiste al calare del trasporto collettivo, mentre per il trasporto merci ormai le ferrovie tendono ad essere marginali anche in altri paesi. I costi sociali, ambientali e sanitari sono enormi. Cinquantamila morti all'anno sulle strade d'Europa: un' ecatombe. L'Italia sfora gli obiettivi di Kyoto oltre il 10%. Non meglio va negli altri paesi.

I risultati delle liberalizzazione e privatizzazioni sono sotto gli occhi di tutti: dalle ferrovie inglesi, al trasporto aereo, al trasporto locale. Ed i famosi “progetti finanziari” affogano nei debiti del Tunnel sotto la Manica, l'Alta Velocità è oggi totalmente pubblica.

La soluzione di questi enormi problemi richiede una grande progettualità politica, una scelta innanzi tutto culturale, una gestione forte da parte di strutture pubbliche: le uniche che possono perseguire finalità sociali ed ambientali. Si tratta di puntare agli obiettivi di riduzione dei costi esterni: inquinamenti, costi sanitari, incidenti, congestione.

Non si può inseguire l'uso della domanda di nuovo trasporto privato su gomma. Il just in time come modello produttivo e sociale scarica i sui costi sulla società e sull'ambiente. Si deve trasportare nel modo giusto nel tempo giusto. I trasporti sono un settore dove c'è il massimo di privato: l'auto. Dove massimo è l'intervento dello stato: finanziamento infrastrutture. Massima è la devastazione ambientale e sociale con un progressivo scivolamento verso il collasso: l'auto ha esaurito la spinta propulsiva, ma come l'Urss continua a produrre ancora per anni i suoi danni: fino al crollo finale.

Il problema non è più ciò che è sostenibile: lo sviluppo, il trasporto. Il problema da affrontare è un'economia, e un trasporto che recuperino, ripristino, i danni enormi che stanno producendo e che chiamiamo: benessere.

Va garantita il diritto di tutti alla mobilità (80 milioni esclusi nell'intera comunità). La sicurezza è una questione di grande rilevanza, soprattutto in un periodo di liberalizzazione. Gli obiettivi di Kyoto si connettono con la riduzione dell'uso di un sistema dei trasporti energivoro e nel contempo inquinante.

Si tratta, anche, di ragionare su di una ripubblicizzazione dei principali vettori di trasporto in un'ottica europea. Per le ferrovie sarebbe più opportuno pensare una grande holding europea per far concorrenza alla strada invece di farsi concorrenza fra loro sugli stessi binari. Nelle città il problema non è privatizzare le aziende ma ripubblicizzare le strade. Per il trasporto aereo sono necessarie regole nuove che garantiscano sicurezza e non voli a basso costo e bassa sicurezza progressiva del sistema. Così potrebbe essere possibile sperimentare una holding fra Alitalia, Air France e Klm con una presenza e un ruolo degli stati presenti in queste compagnie.

È dunque necessario rivedere tutta l'impostazione ideologica e concettuale dell'Europa di Mastricht per quanto riguarda i trasporti. È necessario rivedere tutte le direttive che vanno verso la liberalizzazione.

Qualità del trasporto e qualità del lavoro, sicurezza del lavoro e sicurezza sul lavoro sono facce della stessa medaglia.

Dal trasporto locale, a quello ferroviario, dal trasporto aereo a quello marittimo, i lavoratori sono stati protagonisti in tutta Europa di grandissime lotte. Non possiamo non ricordare la recente vittoriosa lotta dei portuali europei contro la liberalizzazione del lavoro nei porti. Lotta vittoriosa cui, purtroppo, al solito non hanno partecipato i sindacati confederali nostrani.

Lotta vittoriosa che apre nuove prospettive anche per i portuali italiani.

Al fine di recepire il senso e la domanda che viene da queste lotte, le modifiche delle direttive deve prevedere la tutela del lavoro: stabilità, diritti, sicurezza, salario, orari, democrazia. E un nuovo sindacalismo di classe a livello europeo verso il quale abbiamo fatto qualche timido passo in avanti.

La questione della mobilità urbana e sul territorio è una grande questione irrisolta della modernità, uno degli indicatori più evidenti del fallimento clamoroso del modello di sviluppo capitalistico. La sua soluzione richiede una nuova concezione dei tempi della vita e del lavoro, del valore delle relazioni sociali e comunicazionali, delle finalità e dell'oggetto delle produzioni, delle necessità e delle opzioni individuali e collettive negli spostamenti, e quindi una grande capacità di conoscenza della società, di rispetto dei suoi bisogni, di articolazione e di integrazione del sistema generale dei trasporti, e quindi di un forte e prevalente intervento pubblico nel settore, a livello dei singoli paesi e nel contesto europeo.

INDICE GENERALE
Partito della Rifondazione Comunista - Italia
Roma, 17 maggio 2004