Elezioni europee, 12 - 13 Giugno 2004

LA SINISTRA, L'ALTRA EUROPA

PROGRAMMA DEL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA - SINISTRA EUROPEA

Simbolo PRC- SE

PARTE QUINTA.
PER LA LIBERA CIRCOLAZIONE E PER I DIRITTI DI TUTTE E DI TUTTI

INDICE GENERALE

5.1 La questione dell'immigrazione e del diritto di cittadinanzavai a indice

La globalizzazione neoliberista, le spietate logiche del mercato e la strategia della guerra preventiva e permanente hanno fatto assumere al fenomeno delle migrazioni dimensioni di massa. In Europa vivono e lavorano circa 15 milioni di migranti e sempre più pressante è la richiesta di ingresso nei paesi europei di donne e di uomini che fuggono la fame, la miseria, le guerre e le persecuzioni che caratterizzano i paesi del Sud del mondo. In questi paesi le risorse sono sistematicamente depredate e privatizzate, la sovranità alimentare impedita ed il carico di debiti anziché essere cancellato aumenta progressivamente.

L'Europa sino ad oggi ha risposto considerando i migranti sotto la doppia veste di potenziali nemici da respingere e di mano d'opera facilmente fruttabile da accogliere secondo le esigenze del mercato del lavoro. Non si tratta di una contraddizione, ma di una esplicitazione della logica della massima flessibilità e della precarizzazione dei lavoratori con cui cerca di fronteggiare la crisi del modello neoliberista.

Inoltre le vicende seguite all'attentato dell'11 Settembre, hanno segnato la vita di gran parte dei migranti provenienti da paesi di cultura musulmana con un marchio di sospetto e di presunta contiguità con gli attentatori Quasi impossibile è per loro ottenere un visto di ingresso, il rinnovo dei documenti di soggiorno, il ricongiungimento familiare, più difficile è socializzare, esprimere la propria soggettività, manifestare per i propri diritti. Sono costretti, loro malgrado, a celarsi, a non reagire, in un umiliante silenzio che non aiuta la comprensione reciproca e non permette di abbassare il livello di una sorta di guerra di religione, certamente non voluta e non dichiarata dai migranti.

Nella prospettiva di una Europa diversa, pacifista e solidale, in una Europa dei popoli e non dei mercati, che guardi al Mediterraneo come ad un lago che non la separi, ma la colleghi all'Africa e al Medio Oriente, il fenomeno delle migrazioni deve trovare risposte diverse da quelle sancite dal trattato di Schengen. I migranti vanno considerati non come “invasori” che possono inquinare la nostra, peraltro opinabile, identità, ma come elementi di un ponte culturale fra la realtà europea e le altre realtà del mondo. Avere fra noi i migranti, considerarli cittadini di una nuova Europa, ci rende più ricchi di diversità e, quindi, più duttili, meno rigidi ed ancorati agli stereotipi eurocentristi.

Se l'Europa vuole avere un ruolo politico, economico e culturale autonomo e non subalterno agli Stati Uniti, deve attribuire ai migranti dignità di cittadini con parità di diritti rispetto agli autoctoni e, così, stabilire con i paesi di provenienza dei migranti legami di alleanza nella costruzione di una altra Europa possibile in un altro mondo possibile.

Articoliamo perciò la nostra proposta secondo i punti seguenti.

5.2 La revisione del trattato di Schengenvai a indice

Gli accordi sottoscritti a Schengen coniugano il tema delle migrazioni non con l'universalità dei diritti, ma con le leggi di mercato.

Impongono, in una visione securitaria, l'idea dell'Europa fortezza.

Prescrivono una integrazione neocolonialista senza ipotesi di reciprocità. Sottintendono esplicitamente, con la logica dei flussi, un diritto di scelta, quantitativa e qualitativa dei migranti, che, prescindendo dai bisogni di chi chiede di entrare, punta alla regolazione del mercato del lavoro. Il trattato di Schengen deve essere rimesso in discussione e deve subire una profonda trasformazione che ponga in primo piano i diritti universali e di cittadinanza di cui sono titolari ogni donna e ogni uomo nel mondo. Questo compito è tanto più urgente alla vigilia dell'ingresso di dieci nuovi paesi nella Ue. Nella stessa logica di rifiuto della lettura securitaria del fenomeno migratorio va rifiutato l'uso degli eserciti con funzioni di controllo delle frontiere e delle marine militari nel controllo delle coste europee. Non si devono considerare i migranti come “nemici esterni” da affrontare con le armi. Il traffico internazionale dei “clandestini” si arresta solo prevedendo vie legali di ingresso e regolarizzazione a regime.

5.3 La regolarizzazione di tutti gli immigrati e visti per ricerca di lavorovai a indice

Occorre, in tutta Europa, superare la logica delle sanatorie ricorrenti che riproducono clandestinizzazione: non è tollerabile la esistenza di migranti sans papiers , ricattabili perché senza diritti e vittime del mercato del lavoro nero. Occorre costruire un percorso legale che dia la possibilità di regolarizzazione a tutti i migranti irregolari che, comunque entrati, risiedono in Europa da un lasso di tempo di due anni al massimo. Occorre, inoltre prevedere la possibilità di ottenere un visto di ingresso e un permesso per ricerca di lavoro nei paesi europei di durata minima annuale. Le ipotesi di chiamata nominale dei migranti da parte dei datori di lavoro è irrealistica e macchinosa.

5.4 La sottrazione di competenze ai Ministeri degli Internivai a indice

Le pratiche che condizionano la vita dei cittadini migranti sono, attualmente, di competenza dei ministeri degli Interni e delle Questure e Prefetture europee che operano con larghissimi margini di discrezionalità. Questa circostanza avvalora la tesi dei una legittimità di un approccio securitario nei confronti dei migranti e contraddice il principio di uguaglianza fra i cittadini. Occorre riaffermare la centralità degli Enti Locali per l'espletamento delle pratiche di accoglienza, rinnovo dei permessi di soggiorno, dei ricongiungimenti familiari e registrazione della residenza, come segno di un processo di “civilizzazione” dei rapporti con i cittadini migranti.

5.5 Il riconoscimento del diritto d'Asilovai a indice

Va proposta una direttiva europea sul diritto d'Asilo che si basi sulla formulazione espressa nell'art. 10 della Costituzione italiana e che unifichi le procedure e le normative di accoglimento, garantendo l'informazione, l'uso di interpreti, la presenza di legali e dei rappresentanti delle organizzazioni internazionali di tutela. Non può essere accettata l'esistenza di centri di identificazione che costringano la libertà dei richiedenti asilo, né è proponibile che, in attesa della decisione questi vengano inviati coattivamente in “paesi terzi sicuri”.

5.6 La chiusura dei CPTvai a indice

Diffusi, con denominazioni diverse, in tutta Europa, questi centri sono illegittimi in quanto impongono una detenzione per reati amministrativi, perché sono luoghi di segregazione che sfuggono al controllo dei mezzi di informazione, perché non permettono contatti con i “trattenuti” e visite di controllo per disgelare le condizioni di vita, perché favoriscono affari poco trasparenti attraverso la privatizzazione della loro gestione.

Sono teatro di violenze, intimidazioni e controllo farmacologico dei migranti che spesso reagiscono con disperato autolesionismo. Questi centri vanno chiusi in tutta l'Europa e non devono neppure essere trasferiti nei paesi di provenienza dei migranti a seguito di accordi/ricatto di sostegno economico con i governanti di tali paesi.

5.7 La cittadinanza europea di residenzavai a indice

La cosiddetta cittadinanza europea istituita dal Trattato di Maastricht, ribadita da quello di Amsterdam e tratteggiata dal progetto di trattato costituzionale conferisce ai soli cittadini nazionali degli Stati-membri dell'Ue il diritto di voto municipale ed europeo nei paesi di residenza, il diritto di petizione e di ricorso presso i tribunali europei, il diritto di circolare nel territorio dell'Ue e di installarsi nei paesi che ne fanno parte. Il principio che la ispira si basa dunque sul criterio della provenienza e dell'origine, non su quello della residenza. Escludendo ben 15 milioni di persone, i provenienti da paesi terzi, essa concorre a legittimare l'inedita categoria di “residenti-non cittadini” e in tal modo a rafforzare un sistema di apartheid. Inoltre, stabilendo che il conferimento dei diritti dipende dalle origini, la “cittadinanza europea” contribuisce a incrementare la xenofobia e il razzismo, e la tendenza a considerare illegittima la presenza dei non-nazionali provenienti da paesi terzi, anche quando risiedono in Europa da lungo tempo o addirittura vi sono nati.

A tale concezione retriva della cittadinanza, che rispecchia e allarga su scala europea l'ideologia che lega il conferimente dei diritti al principio della nazionalità, è necessario opporre un'altra concezione, che denaturalizzi la nazionalità e disarticoli il nesso arcaico che la lega alla cittadinanza. Occorre dunque battersi per la cittadinanza europea di residenza, cominciando con il sostenere e allargare la campagna “per un milione di firme” che è in corso in molti paesi dell'Ue, promossa da un ampio cartello di associazioni. Questa campagna parte dall'assunto che “un'Europa democratica, non può costruirsi sull'esclusione di milioni di persone che vivono, lavorano, consumano, si incontrano nelle associazioni, partecipano alla vita economica, sociale sindacale, culturale, e sono direttamente toccati da tutte le disposizioni emanate dalle diverse istanze europee”. Essa mira a indurre le varie istanze politiche dell'Ue ad adottare una concezione e definizione della cittadinanza euopea che affermi, che è cittadino dell'Unione europea ogni persona che risieda nel territorio di uno degli stati membri.

5.8 Il lavoro migrantevai a indice

In tutti i paesi d'Europa i lavoratori migranti sono in molti casi fruttati come mano d'opera a basso costo, meno rivendicativa e perennemente sospesa fra l'assunzione più o meno regolare e il lavoro nero. Molti sono impiegati in agricoltura, nell'edilizia e nella piccola industria con forme estreme di lavoro interinale e di capolarato, nell'industria spesso gli orari di lavoro non corrispondono alle reali prestazioni e si riservano loro fasi di lavorazione altamente nocive, ovunque per i migranti il numero degli incidenti sul lavoro è superiore a quello relativo ai lavoratori autoctoni. Occorre battersi per una normativa europea contro lo sfruttamento e il lavoro nero, occorrono controlli sui posti di lavoro e va favorita e sostenuta ogni forma di sindacalizzazione e di aggregazione autorganizzata dei lavoratori migranti. La rivendicazione sintetizzata dallo slogan “stesso lavoro, stesso salario, stessi diritti” deve riguardare tutta l'Europa. Devono essere impedite forme di reclutamento che riducano il lavoratore a merce, come nei casi di accordi con i governi dei paesi di provenienza che permettono alle imprese europee di scegliere sul posto i lavoratori, con la formazione di liste compilate su basi non tanto professionali quanto di “tipologia umana” (giovani, maschi, non sposati, non sindacalizzati…) per utilizzarli a tempo in Europa o nei paesi terzi in cui si è spostata la produzione. Anche l'allargamento dell'Europa ai nuovi paesi dell'Est, paesi di forte emigrazione, può favorire la creazione di un sistema gerarchico del mondo del lavoro che, dopo gli autoctoni, veda i nuovi migranti comunitari, bianchi e di cultura occidentale cristiana, poi, ad un gradino ancora più basso, i lavoratori africani, asiatici e latinoamericani e, in fondo alla scala, gli “irregolari”, i lavoratori in nero. Una scala che potrebbe innescare un meccanismo incontrollabile di guerra fra i poveri, con il risultato di rendere più precarie le condizioni di vita e di lavoro di tutti. Contro queste tendenze deve essere forte la vigilanza dei partiti della sinistra e dei sindacati europei e sarebbe auspicabile la creazione di un Osservatorio Europeo per il diritto al lavoro e per i diritti del lavoro.

5.9 La “questione di genere”vai a indice

L'immigrazione femminile in aumento rappresenta un elemento importante di cambiamento. Una parte consistente della presenza femminile è dovuta ai ricongiungimenti familiari e favorisce quindi lo stabilizzarsi di progetti di vita a lungo termine e comporta anche l'aumento della presenza dei minori. Una parte è invece rappresentata da donne migranti che, come gli uomini, vengono in Europa per lavorare o per sfuggire a guerre, persecuzioni, violenze.

Per tutte loro sono innumerevoli le difficoltà ad avere garantita una reale parità nell'accesso ai servizi sociali, se si escludono poche eccezioni come l'inserimento dei minori nei circuiti scolastici ed il pronto soccorso medico. Particolarmente difficile è la situazione delle donne impegnate nei lavori di cura presso le abitazioni degli autoctoni, esse vivono in condizioni di invisibilità, sottomesse ad orari di lavoro incontrollabili, prive di reale tutela, con scarse possibilità di emancipazione, di sindacalizzazione, di conquista di spazi di socialità.

Occorre un impegno per una politica sociale mirata ad assicurare un reale accesso ai servizi sociali. La casa, la sanità, la formazione e l'istruzione, i diritti politici, civili e sociali sono i settori di intervento da privilegiare, mentre ogni sostegno va assicurato ai percorsi autonomi di autodeterminazione della soggettività femminile migrante. Anche in questo caso un Osservatorio europeo per i diritti delle migranti e contro ogni discriminazione sarebbe auspicabile.

5.10 I diritti dei romvai a indice

In tutta l'Europa i rom vivono condizioni di discriminazione e segregazione. È necessario dare attuazione alle normative europee che richiedono la costituzione di aree di transito libero in ogni comune al fine riconsentire la sosta dei rom e, soprattutto, occorre una normativa comune per il riconoscimento di minoranza del popolo rom. Va incoraggiata, inoltre, la abolizione dei campi stabili, veri luoghi di segregazione, per favorire scelte abitative e urbanistiche condivise e più umane.

5.11 Contro la xenofobia e razzismovai a indice

La guerra preventiva e permanente scatenata dall'amministrazione Bush si è tradotta anche nei paesi dell'Ue in nuove forme di discriminazione e persecuzione dei migranti, e di criminalizzazione dei provenienti da paesi classificati come musulmani. La “guerra contro il terrorismo internazionale” ha così rafforzato l'endemica presenza in Europa di sentimenti, atteggiamenti, atti di xenofobia e razzismo, e ha incrementato comportamenti, pratiche e norme discriminatorie verso i cosiddetti extracomunitari, rinsaldando la “madre” di tutte le discriminazioni, vale a dire la dicotomia comunitari/”extracomunitari” e la conseguente rigida distinzione regolari/irregolari. Ovunque in Europa, seppure in gradi diversi, si verifica un'ondata di islamofobia che s'accompagna a opinioni, umori, atti di giudeofobia, l'una e gli altri favoriti dalla guerra preventiva e permanente e dalla recrudescenza del conflitto israelopalestinese.

Al tempo stesso, in non pochi paesi dell'Ue, si assiste al ritorno di acute espressioni di etnocentrismo che, vuoi sotto la maschera della difesa della laicità e dell'universalismo (come in Francia) vuoi sotto la forma retriva della difesa delle radici cattoliche (come in Italia), tendono a denegare o mortificare l'incancellabile realtà del pluralismo culturale e religioso, per contrastare, anche per questa via, le spinte all'inserimento, all'autodeterminazione, all'emancipazione di individui e gruppi di popolazione immigrata o di origine immigrata.

Questi fenomeni e processi non possono essere sottovalutati e/o considerati “sovrastrutturali”, essendo parte integrante di quella “guerra permanente contro le migrazioni” che, in maniera solo apparentemente contraddittoria, convive con l'esigenza delle economie dei paesi dominanti di disporre, per massimizzare i profitti, di una continua riproduzione di manodopera precaria, inferiorizzata o del tutto clandestina. In questa duplice tendenza la discriminazione e il razzismo giocano un ruolo fondamentale: il supersfruttamento della forza-lavoro immigrata, spesso priva di ogni tutela, l'imposizione di rapporti di lavoro servili o semi-servili sono favoriti dai processi di discriminazione, inferiorizzazione, razzizzazione, “nemicizzazione” dei migranti.

Le iniziative promosse dai vari organismi dell'Ue per combattere discriminazione, xenofobia e razzismo talvolta risultano retoriche e inefficaci poiché non intaccano una delle basi ed espressioni fondamentali della discriminazione e del razzismo, cioè l'esistenza di un diritto differenziato sulla base della provenienza e dell'origine, drammaticamente esemplificato dalla presenza, in tutto il territorio dell'Ue, dei centri di detenzione per migranti e profughi, in violazione dell'habeas corpus, principio fondativo del diritto.

A tal proposito, è necessario battersi perché nella Carta costituzionale dell'Unione Europea siano inseriti: l'esplicita ripulsa di ogni forma di discriminazione e razzismo; la cittadinanza europea di residenza; il principio della parità di trattamento e dell'uguaglianza dei diritti, in campo economico, sociale, civile, politico, di tutti i residenti nel territorio dell'Unione, indipendentemente dalla provenienza e dallo status giuridico.

Vanno proposte e favorite tutte le iniziative volte a denunciare e combattere le espressioni di discriminazione e razzismo istituzionali nonché i discorsi e gli atti degli imprenditori politici del razzismo (Lega Nord e altri partiti populisti-xenofobi in Europa). E' inoltre necessario proporre, sia a livello nazionale sia a livello comunitario, strumenti efficaci e capillarmente diffusi per monitorare costantemente e sistematicamente la xenofobia, il razzismo e l'antisemitismo, e per offrire alle vittime ogni opportunità di denuncia e di tutela legale.

Infine, occorre attivare e proporre strumenti, anche giurisdizionali, perché la realtà del pluralismo culturale e religioso trovi nell'Ue un effettivo riconoscimento e possibilità di espressione.

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Partito della Rifondazione Comunista - Italia
Roma, 17 maggio 2004