Elezioni europee, 12 - 13 Giugno 2004

LA SINISTRA, L'ALTRA EUROPA

PROGRAMMA DEL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA - SINISTRA EUROPEA

Simbolo PRC- SE

PARTE SESTA.
PER UNA COSTITUZIONE DEMOCRATICA DELL'EUROPA

INDICE GENERALE

6.1 Per una vera democrazia in Europavai a indice

Abbiamo già ricordato il significato del fallimento della Commissione intergovernativa europea nel definire un progetto condiviso di Costituzione. E' un fallimento che arriva da lontano, causato da ragioni di merito e di metodo. Le dichiarazioni ottimistiche da parte di vari rappresentanti di governi europei sulla possibilità di giungere a Giugno alla firma del progetto costituzionale si susseguono. Viste le premesse è lecito dubitarne. In ogni caso dobbiamo contrapporre a quei metodi e a quei contenuti l'avvio di un processo costituente aperto, perchè i popoli, i soggetti sociali, i movimenti diventino i protagonisti della costituzione di una nuova Europa.

6.2 Una nuova Carta per l'Europa pacifista, democratica, sociale e federalistavai a indice

Il 12-13 dicembre 2003 a Bruxelles, la CIG ha fallito nel suo intento di approvare il Trattato costituzionale, paralizzata da veti reciproci sulle 'quote' di potere e da profonde divisioni politiche sulla natura istituzionale e sociale, così come sul ruolo internazionale dell'UE. La CIG ha fallito perché divisa sulle scelte dell'amministrazione Bush, che vuole un'Europa supina agli interessi degli USA, e a cui nessun Stato europeo è stato in grado di contrapporre un progetto di un'Europa pacifista, sottratta al confronto tra potenze geopolitiche, fattore di pace e di giustizia tra i popoli. Ha fallito perché si è perseverato nel metodo intergovernativo e funzionalista, che privilegia il mercato come forza d'integrazione. Tranne l'egemonismo armato degli USA, le classi dirigenti non sono capaci di sviluppare un disegno politico e sociale: Cancun e Bruxelles sono la testimonianza di un impasse globale.

I governi pretendono di esercitare il potere costituente riducendo la partecipazione delle/dei cittadine/i dai processi di decisione relativi ai diritti fondamentali e alla regolamentazione delle competenze istituzionali. I processi costituenti necessitano dell'attiva presenza dei popoli europei che per l'Unione segnerebbe finalmente l'avvio del superamento del deficit democratico. Oggi gli Stati, attraverso l'art. 48 del Trattato UE, dominano il processo di revisione, che sostanzialmente è stato riproposto nell'art. IV-7 del Trattato costituzionale.

Ora deve dispiegarsi con maggior determinazione una soggettività costituente per un'Europa, che superi le sovranità statali nazionali, fondi una cittadinanza cosmopolita, si doti di strumenti di politica economica per una gestione democratica dei beni comuni e dei servizi pubblici universali - un'Europa non più mercantile, ecologicamente e socialmente sostenibile. La democrazia federalista è la via per articolare su 'reti multilivello' - a partire dai municipi fino alle dimensioni continentali - le forme della partecipazione diretta delle/i cittadine/i, così da superare l'accentramento dei poteri decisionali sia statali sia sovranazionali.

A Parigi si è lanciata la proposta, ribadita poi nell'assemblea di Roma, all'insieme dei movimenti europei, di costruire un percorso comune al fine di predisporre una Carta per l'Europa, frutto della partecipazione dei diversi attori sociali, sindacali e politici La sfida per un'Europa - pacifista, democratica, sociale e federalista - è più che mai aperta.

Dinanzi alle profonde divisioni tra i governi e alle difficoltà di accordarsi perfino su un Trattato costituzionale, dovremo accentuare la capacità di risposta culturale e politica con l'obiettivo di superare questa fase in cui gli Stati sono ancora i centri di potere decisionale determinanti, per intraprendere una via democratica capace di coinvolgere le/i cittadine/i europee/i nell'elaborazione e varo della Costituzione.

Se mai gli governi troveranno un accordo, sarà ancora una volta un Trattato a definire competenze e diritti dell'Unione, e saranno ancora Trattati - secondo anche le previsioni dell'articolo IV-7 - a regolare la revisione costituzionale: così l'Unione continuerà a essere un mixtum compositum tra diritto internazionale e diritto costituzionale, ciò che consente agli Stati di essere elemento determinante dei processi decisionali - politici, legislativi e costituzionali. L'Unione, regolata da un diritto sovranazionale che ha il primato, con diverse modalità, sul diritto statale, non è più un'associazione di Stati ma non è ancora una federazione: il principio di sussidiarietà verticale se stabilisce centri di potere multilivello, non ha creato una democrazia federalista in grado di superare il centralismo della sovranità nazionale e di istituire una pluralità di forme di partecipazione - municipale, regionale, nazionale, europea - in cui i processi decisionali vedano come protagonisti diretti le/i cittadine/i. Il metodo intergovernativo non è in grado di aprire una prospettiva democratica alla vita dell'Unione, e il trasferimento di 'quote' di sovranità sono di nuovo riacquisite tramite i Consigli dei ministri e il Consiglio europeo.

La lotta per la democrazia costituzionale europea è dentro un processo costituente finora dominato dagli Stati, sia pure con il nuovo metodo della Convenzione, e mira a far emergere come protagonista la cittadinanza globale. Questa prospettiva apre uno dei terreni di lotta per togliere il primato al mercato e favorire uno sviluppo democratico dell'Unione.

Questo compito non può essere assolto solamente con la difesa delle tradizionali forme di democrazia, che pure, come abbiamo già detto, sono minate alla radice dalle forze dominanti, ma proprio perché la difesa sia efficace bisogna che il concetto e l'organizzazione della democrazia siano ampliate attraverso una più diretta partecipazione dei cittadini. In sostanza di ritratta di delineare un modello originale di integrazione tra democrazia diretta e democrazia delegata. In questo quadro assume particolare importanza a assicurare forme di espressione democratica ad ogni livello della vita sociale e nei luoghi di lavoro. Nel nostro paese, ma ovviamente non solo, assume un'importanza fondamentale il tema della democrazia sindacale e di mandato, ossia la garanzia e l'effettività del diritto di tutte le lavoratrici e i lavoratori di votare sulle ipotesi di accordo sindacale che riguardano la loro condizione lavorativa.

I movimenti antiliberisti, il movimento dei movimenti, vanno creando spazi pubblici, vere e proprie agora a livello territoriale ed europeo così come a quello mondiale: i Forum sociali sono luoghi del 'discorso pubblico', ove tutti/e possono partecipare per proporre e confrontare obiettivi e progetti - sono luoghi di creazioni di 'senso' e di pratiche sociali innovative, necessari per lo sviluppo dei conflitti sociali in grado di indurre processi di trasformazione. Nei nuovi spazi pubblici si definiscono valori e comportamenti che modificano il modo d'essere e di 'sentire' della società - nella campagna mondiale contro la guerra permanente e per la pace il movimento ha inciso e determinato gli orientamenti di fondo della maggioranza della popolazione: il pacifismo, il no alla guerra esprimono un sentimento diffuso, generale che la retorica del patriottismo occidentalista non riuscirà facilmente a scalfire. Su questa creazione di un nuovo 'senso comune' occorre innervare una capacità di lotta per realizzare trasformazioni sociali, politiche, e istituzionali: movimenti e campagne di lotta, proposte di innovazione costituzionale, attivazione di strumenti legislativi ecc., per i diritti universali di cittadinanza, il ripristino e/o l'istituzione della gestione democratica dei beni collettivi (salute, formazione, previdenza, lavoro…) e dei beni comuni (le risorse naturali, terra, acqua, energia).

L'Unione può divenire uno spazio pubblico ove realizzare forme democratiche pluralistiche e partecipate, e praticare il superamento dello Stato e della sovranità nazionali, per istituire una democrazia costituzionale europea.

La Costituzione è una carta dal valore normativo, secondo quanto già chiaramente affermato nella Dichiarazione del 1789, ma è anche l'esito del rapporto molteplice e in continua trasformazione tra potere costituente e poteri costituiti. Come solennemente e giustamente diceva la Costituzione francese del 1793 “Un popolo ha sempre il diritto di rivedere, riformare e cambiare la propria costituzione. Una generazione non può assoggettare alle sue leggi generazioni future”.

L'Unione deve essere federalista, ma in un senso completamente diverso da quello che purtroppo questo termine ha assunto nel linguaggio politico corrente, particolarmente nel nostro paese, a causa dell'uso e della distorsione fattane da forze politiche vocaliste e separatiste. Il suo corretto significato implica il superamento di forme piramidali e centralizzate dei processi decisionali, in modo che le scelte collettive siano il frutto della partecipazione della cittadinanza e i diversi livelli non siano concepiti in modo gerarchico ma come livelli diversificati e interrelati - la democrazia multilivello - sempre garantendo che la deliberazione sia effettuata in modo democratico, controllato e trasparente. Per questo le esperienze di democrazia municipale, la pluralità istituzionale, le forme della rappresentanza democratica si intrecciano e hanno come base una società caratterizzata dall'attività di movimenti, associazioni, sindacati, partiti. Tanto più gravi risultano, allora, i limiti del processo legislativo come prefigurato dal Trattato che, se innova la nomenclatura dei provvedimenti (artt. I-32-38), non rende né trasparenti né più democratiche le procedure legislative e di revisione costituzionale (artt.I-25, III-302, IV-7, che razionalizzano le procedure del Trattato CE, v. agli articoli 249 ss.). Per quanto riguarda la politica estera e difesa rende ininfluente il Parlamento, mantenendo l'unanimità del Consiglio su queste materie, e in relazione alle politiche economiche, mentre rende la Banca centrale responsabile della politica monetaria, non introduce una comune politica fiscale e di bilancio - così valgono, fin quando vogliono gli Stati più forti, le regole del patto di stabilità, di controllo dell'inflazione, di tagli alla spesa pubblica sociale.

È di assoluta rilevanza la modifica dell'art. IV-7 di revisione costituzionale che non deve più vedere gli Stati 'padroni' di questa fondamentale competenza che deve essere trasferita al Parlamento europeo, che decide con procedure rafforzate. Questa innovazione porrebbe fine all'epoca dei Trattati, aprendo la via a un'Unione sovranazionale.

La procedura legislativa deve essere democratizzata e il Parlamento ne deve divenire la sede competente, superando le barocche forme della codecisione (art.III-302) che danno al Parlamento solo un diritto di veto su una serie definita di materie, sia pure di rilievo. Il diritto di iniziativa legislativa deve essere condivisa a pieno titolo dal parlamento e non solo più monopolizzata dalla Commissione (art.I-25,2). Occorre introdurre forme di iniziativa legislativa popolare, oltre a quella delle istituzioni territoriali rendendo più incisive le misure previste dagli artt.I-46 e 47. È necessario trasformare il Consiglio dei ministri e il Consiglio europeo in una Seconda Camera, che rappresenti le diverse realtà territoriali - proposta già presente nel progetto Spinelli approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio 1984 - in modo da strutturare un vero e proprio sistema federale sovranazionale. In questo modo si supererebbe la commistione di potere esecutivo e legislativo che caratterizza le formazioni dei Consigli (art.I-23). La Commissione dovrebbe essere eletta e sottoposta alla fiducia delle Camere.

Forme di controllo, insieme a quelle di iniziativa legislativa popolare (art.I-46), e di accesso ai documenti, alcune delle quali peraltro già previste (artt.II-42 e II-27), dovrebbero definire un quadro di procedura legislativa democratica.

La democrazia non è solo metodo decisionale (chi e come decide), è anche affermazione di valori universali, vincolanti per le tutte le istituzioni e gli organismi politici. Valori sottratti alle maggioranze a garanzia delle libertà e dei diritti della persona, che così è posta nelle condizioni di esercitare la propria autonomia e sviluppare il proprio progetto di vita senza intrusioni arbitrarie. La neutralità delle istituzioni politiche è un valore conquistato da secoli, per questo è lesivo del principio di laicità l'articolo I-51, che recepisce la Dichiarazione 11 del Trattato di Amsterdam. Per questo vanno respinte le proposte di inserire un riferimento alle cosiddette radici giudaico-cristiane dell'Europa. Ciò nega la pluralità delle credenze e la storia stessa del nostro continente e lede la libertà di religione che è un diritto fondamentale che va garantito insieme con la libertà di coscienza, peraltro già accolti nella Carta di Nizza.

Se intorno al nucleo della dignità della persona, sancita dagli articoli I-2 e II-1, si articolano diritti inviolabili, propri delle tradizioni costituzionali europee, la pace non viene assunta come valore fondante della società europea. Pace non concepita solo per i popoli dell'Unione o dell'Europa - secondo una ristretta visione eurocentrica - ma concepita come nuova fondazione dell'ordinamento mondiale, in cui la guerra venga bandita, ripudiata, come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Per questo è necessario che sia aggiornato il concetto di pace come valore in costruzione e non solo al negativo come assenza di conflitto, come le Carte novecentesche hanno prescritto.

In capo alla Costituzione, nel suo primo articolo, vanno iscritte le disposizioni che sono contenute nell'articolo 11 della Costituzione italiana e che concernono il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Il pacifismo dei movimenti entra nel processo di costituzionalizzazione dell'Europa con quelle azioni di disobbedienza civile e di interposizione pacifica, laddove la guerra globale permanente e i conflitti scatenati in suo nome contro minoranze e civili imperversano e diventano i luoghi di costruzione del nuovo ordine globale. Ciò comporta la soppressione degli articoli I- 15, I-39, I-40, e l'intero Titolo V della III Parte.

L'articolo I-8 lega ancora la cittadinanza allo Stato nazionale come stabilito già dal Trattato di Amsterdam (ora art. 17 Trattato CE), e nella parte III si delineano le politiche 'securitarie' nei confronti dell'immigrazione. Gli Stati recuperano su questo cruciale terreno il 'monopolio della violenza' e le politiche d'identità fondate sull'individuazione del nemico nella/nel migrante. Così si concepisce una 'democrazia europea' dimezzata, e in più ferita a morte dal 'razzismo', che definisce chi è cittadino e chi no: non può essere democratica una società che relega a uno status inferiore milioni di persone che vivono in Europa. Per questo la lotta per una cittadinanza di residenza, plurima e flessibile, è fondamentale per la democrazia europea, tenendo conto che essa è solo il punto di partenza in un'Europa della cittadinanza globale che rinunci per sempre allo jus sanguinis e allo jus soli. A tutte/i le/i migranti vanno garantiti i diritti fondamentali civili e sociali, a cominciare dal diritto all'emigrazione e al rientro nel territorio d'origine: a chi lo chiede, poi, va garantita la cittadinanza e l'esercizio di tutti i diritti politici. Il diritto d'asilo va garantito ampliando lo spettro delle possibilità (da quelle di oppressione politica alle situazioni di guerra, di calamità e disastri ambientali, alle persecuzioni causate dalle scelte sessuali, alla violazione dei diritti della persona). L'Europa deve essere multietnica, multiculturale, meticcia, rispettosa dei diritti delle minoranze - laboratorio della cittadinanza cosmopolita in netta antitesi con quanto previsto dagli articoli III-166-169. La Convenzione internazionale sui lavoratori migranti e le loro famiglie può essere una base di riflessione e di mobilitazione (Convenzione sui migranti, artt. 8-56).

L'uguaglianza è stata, nelle ultime redazioni del Trattato, assunta tra i valori fondamentali, declinata però solo sotto l'aspetto sia pur importante delle pari opportunità. La questione rimane quella di intenderla e praticarla anche come differenza di genere, perché solo così una serie di fenomeni e comportamenti possono essere combattuti e superati. Nella famiglia anche nell'evoluta Europa dominano forme di patriarcato, di divisione sessista del lavoro (e del non lavoro), viene ancora disconosciuta la specificità femminile nella riproduzione della vita, sul corpo della donna vengono ancora esercitate forme di dominio che ne opprimono l'autonomia e la libertà. Nell'Europa multietnica la garanzia della libertà e dell'autonomia hanno bisogno non solo di 'parità' ma di politiche della differenza, per eliminare i fenomeni che sono stati chiamati di missed women, a livello sociale e spesso a livello fisico. La “Tavola della Pace” giustamente propone una formulazione centrata sul “diritto fondamentale all'uguaglianza di statuto della donna e dell'uomo in tutte le sfere della vita politica e sociale”. Può essere un'indicazione per una formulazione più ampia capace di prescrivere un'uguaglianza 'sessuata'.

Il diritto del lavoro è stato 'sovvertito' dalle politiche liberiste, creando ormai un vero e proprio workfare che fa precipitare di nuovo il/la lavoratore/trice in un rapporto di pura forza nel mercato, dove ritrova solo la sua debolezza, sopperita nel Novecento dal diritto del lavoro emancipatosi dalla disciplina commercialista (dove lo si vuole di nuovo ricondurre). L'occupabilità è divenuta la parola magica per spezzare le solidarietà del lavoro e far divenire il lavoratore 'imprenditore di se stesso': la mercificazione della persona si ripresenta nel capitalismo globalizzato - il migrante può restare solo fin quando ha un contratto di lavoro, il nativo è divenuto precario a vita: l'insicurezza è la frusta per accettare modi e salari 'imposti' dalla competitività globale. L'individualizzazione del rapporto di lavoro è l'obiettivo delle 'riforme' del mercato del lavoro: la moltiplicazione delle forme contrattuali - specchio dei processi produttivi flessibili, decentrati, diffusi sul territorio - frammenta il mondo del lavoro e rende sempre più difficile la difesa e la crescita del salario, così come della qualità della vita e del lavoro. Nella Costituzione europea, coerentemente con gli auspici dell'Unione Europea sulla promozione della “società della conoscenza” dovrebbero esser scritti i diritti inerenti all'intero arco di nuove garanzie per le forme di lavoro immateriale e le diversificate forme di sfruttamento della merce-conoscenza e della merce-informazione, la risorsa più preziosa del nuovo millennio, sottoposta oggi alla totale deregolamentazione e all'arbitrio della proprietà intellettuale. L'intreccio di lavoro e non lavoro, tra formazione e lavoro, la differenziazione della tipologia contrattuale richiedono un vero e proprio Statuto europeo del lavoro, capace di offrire strumenti di garanzia e di democrazia - occupazione, licenziamento, orario, flessibilità, salario, rappresentanza e democrazia sindacale…. Sono capitoli che vanno scritti in lingua europea.

Il movimento antiliberista nasce e si sviluppa su questioni globali e coinvolge i popoli dell'intero pianeta: è un movimento che può e deve affrontare i temi della società sostenibile, base necessaria di una società giusta. Le crisi ambientali mettono in pericolo le stesse basi della sopravvivenza del genere umano: la crescita illimitata, caratteristica del capitalismo, fa sì che il Nord del mondo - 600 milioni di persone - usi risorse naturali in modo distruttivo e consumi in modi insostenibili per gli equilibri della biosfera - a danno degli altri 5 miliardi e mezzo di persone del Sud del mondo. La spoliazione delle risorse fisiche del pianeta è uno dei moventi della guerra globale permanente. Terra, clima, risorse energetiche e minerali, acqua sono oggetto di conflitti e cause di guerra, e al tempo stesso possono essere gli assi di una lotta globale per la sostenibilità ecologica, che veda insieme popoli nativi, contadini, lavoratori, del Sud e del Nord del mondo. Sovranità alimentare con produzioni biologiche, acqua ed energia come beni comuni, produzioni e consumi legati ai cicli naturali, manutenzione del territorio sono le scelte di fondo, da costituzionalizzare a livello europeo, per trasformare un modo di produzione ingiusto socialmente e insostenibile ecologicamente.

Nella sua Carta costituzionale l'Unione Europea deve prevedere come obiettivo quello di porre fine all'appropriazione ineguale e distruttiva delle risorse del pianeta e contribuire alla realizzazione di sedi democratiche a livello globale, finalizzate a impedire processi di spoliazione da parte dei paesi e dei poteri economici più forti, nei confronti del resto del mondo.

6.3 La lotta al terrorismovai a indice

La discussione sul «terrorismo internazionale» ha una lunga storia. Basti pensare che i lavori per la conclusione di una convenzione globale contro il «terrorismo internazionale» si trascinano alle Nazioni Unite dal 1972. Le difficoltà di giungere a una conclusione sono di natura politica, e talmente radicali da impedire il raggiungimento di un accordo sul concetto stesso di terrorismo. Per fare solo un esempio (mutuato dal conflitto israelo-palestinese) resta il problema di una definizione condivisa degli atti di belligeranza compiuti in territorio occupato dall'occupante e, specularmente, da parte dei movimenti di liberazione nazionale.

Gli attentati dell'11 settembre hanno determinato un salto di qualità in questa discussione, accelerando - da un lato - la produzione di deliberati e l'assunzione di misure di prevenzione e contrasto da parte degli Stati e degli organismi sopranazionali; ma rischiando - dall'altro - di imprimere alla materia un marchio emergenziale, con tutti i pericoli che ne conseguono sul versante del rispetto dei diritti fondamentali, delle garanzie giuridiche e delle libertà civili.

Per quanto concerne i deliberati e le misure di ordine normativo, si pensi in particolare alla risoluzione 1373 dell'Onu (28 settembre 2001), alla Decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea in tema di lotta contro il terrorismo (13 giugno 2002) e, sul piano nazionale, alla profonda modifica degli artt. 270 bis e ter del codice penale italiano (introdotta con dl. 374 del 18 ottobre 2001, convertito, con modificazione, dalla l. 438 del 15 novembre 2001 «Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale»).

Rispetto al connotato emergenziale di questi testi, è opinione largamente condivisa che essi siano stati profondamente influenzati dalle misure legislative introdotte negli Stati Uniti all'indomani dell'11 settembre (a cominciare dalla nuova versione del Patriot Act, promulgata il 26 ottobre del 2001), misure - com'è noto - segnate da un forte ampliamento dei poteri delle forze di polizia e dei servizi di intelligence con gravi ripercussioni di natura costituzionale (limitazioni della libertà personale, dei diritti di riservatezza, delle garanzie processuali, delle libertà civili).

Queste considerazioni preliminari - forse generiche e scontate - debbono essere tenute presenti non solo come elementi storici di sfondo, ma anche come criteri di valutazione, nel senso che se è plausibile ritenere che il «terrorismo internazionale» sia entrato a far parte del panorama della politica internazionale nell'era della cosiddetta «globalizzazione», ciò impone di prendere distanza da un approccio puramente emergenzialistico per ricercare contromisure capaci di equilibrare le esigenze della sicurezza con quelle non meno irrinunciabili del rispetto dei diritti fondamentali.

6.4 La critica all'attuale normativa antiterrorismovai a indice

Consideriamo a questo punto alcuni problemi posti dall'attuale normativa antiterrorismo (sia in ambito nazionale che in ambito europeo).

Il primo problema concerne, come si accennava, l'assenza di una definizione univoca del concetto di terrorismo. Com'è stato notato, «la mancanza di una definizione interna di terrorismo […] rende generico ed indeterminato il fatto descritto dalla norma, in violazione di quel principio di stretta legalità sancito nella Costituzione (art. 25 co. 2)». Le norme prodotte sull'onda dell'emozione suscitata dall'11 settembre hanno reso ancor più evanescente la figura del reato. Ciò ha prodotto due ordini di conseguenze: da un lato, la carenza di tassatività delle nuove norme genera seri rischi di impiego arbitrario degli strumenti di repressione (che possono essere rivolti anche contro movimenti sociali di protesta o contro l'immigrazione «clandestina»); dall'altro, sul versante internazionale, si è ingenerato il rischio che venga considerata terroristica «qualunque forma di attività politica caratterizzata da violenza nei confronti di qualunque potere costituito, a prescindere dalla presenza anche di quei requisiti minimi di democraticità che presentano le democrazie occidentali (in senso oggettivo)».

A dimostrazione della portata di tali pericoli, basterà - da un lato - considerare che, sulla base della Decisione quadro dell'Ue, possono essere sanzionati come reati terroristici gli atti tesi a «destabilizzare gravemente […] le strutture […] economiche o sociali di un paese» o a «costringere indebitamente i poteri pubblici […] a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto»; e rilevare - dall'altro - che l'elenco dei gruppi considerati terroristici allegato al Regolamento del Consiglio dell'Ue ha via via compreso, tra le altre formazioni politiche, non solo (2 maggio 2002) l'oggi disciolto Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) ma, da ultimo (3 aprile 2004), persino il Congresso del popolo del Kurdistan (Kongra-Gel), e ciò mentre la Corte europea dei diritti umani avalla la decisione del governo di Ankara di sciogliere il Partito della prosperità (Refah partisi), di ispirazione islamica.

Il secondo problema sul quale è opportuno porre l'accento concerne il tratto più caratteristico della legislazione anti-terrorismo prodotta nel corso degli ultimi due anni e mezzo, cioè la relazione tra l'intento preventivo e quello repressivo.

Un'opera di prevenzione, di intelligence, di collaborazione internazionale e su scala specificatamente europea è assolutamente necessaria per scongiurare atti terroristici e sconfiggere il fenomeno. Ma l'organizzazione di questa azione deve avvenire nel pieno rispetto dei diritti e delle garanzie democratiche e non portare distorsioni nell'ordinamento giuridico. Com'è stato opportunamente sottolineato, la preminenza dell'ottica preventiva può portare con sé anche il dilatarsi dei margini di discrezionalità, in quanto il metodo dell'intelligence (e dunque quello della prevenzione) tende a divergere rispetto a quello della repressione giudiziaria, giacché solo quest'ultima deve fare i conti con la volontà della legge e con gli strumenti processuali - fissati a priori - che permettono di realizzarla In un certo senso, si potrebbe dire che la carenza di tassatività - con tutti i rischi che ne discendono in termini di violazione del dettato costituzionale e di offuscamento della certezza del diritto - è di per se stessa conseguenza di una distorsione del principio della prevenzione».

Per fare anche a questo proposito un esempio, si pensi alla normativa italiana in materia di intercettazioni (art. 5, l. 438/2001), dove non si corre solo il rischio che l'esecutivo (nella persona del ministro dell'Interno o di suoi delegati) svolga «attività di polizia giudiziaria irrituali e scevre da ogni riscontro con la legge processuale penale», ma anche (data l'estrema genericità del dispositivo) che vengano di fatto legittimate attività di «ascolto indiscriminato e, per così dire, a tappeto, nei confronti di chiunque, superando i rigidi divieti tracciati al riguardo dalla legge processuale penale». Per non parlare delle recenti normative americane sul controllo degli ingressi di cittadini stranieri sul territorio americano.

6.4.1 Alcune propostevai a indice

Tutto ciò non comporta tuttavia l'idea che l'interesse inerente alla libertà e alla tutela delle garanzie, della privacy e dei diritti fondamentali cancelli quello connesso alla necessità di reprimere e anche di prevenire i reati: pone piuttosto l'esigenza che tra questi due interessi - in naturale tensione reciproca - si ricerchi l'equilibrio più avanzato, resistendo alla tentazione di giustificare scorciatoie con l'evocazione di emergenze o di scenari catastrofici.

Attraverso quali criteri ricercare tale equilibrio? Da un lato non si può non convenire sulla necessità di promuovere, in ambito comunitario, una progressiva uniformazione normativa (sul piano sostanziale e procedurale) che agevoli la collaborazione tra gli Stati membri e i rispettivi organismi competenti in materia (magistratura, servizi di intelligence, forze di polizia, autorità doganali ecc.). L'opposizione che abbiamo invece sempre manifestato, anche nelle sedi parlamentari, al delicato problema del «mandato europeo di ricerca e di arresto», è dovuta al fatto che esso viene proposto senza un quadro, anzi del tutto al di fuori e indipendentemente da esso, di esigenze non negoziabili di tutela dei diritti fondamentali costituzionalmente protetti. In assenza, cioè, di una Costituzione europea condivisa e vigente.

Altre misure concernono l'istituzione di un coordinamento europeo nella lotta antiterrorismo, che non può però certamente ridursi ad un'unica persona; l'adozione di una clausola di solidarietà nei confronti di un Paese bersaglio di atti terroristici (evitando tuttavia controproducenti precipitazioni militari); il potenziamento degli strumenti idonei a facilitare l'identificazione delle persone, senza venire meno agli elementari principi del rispetto della privacy (attraverso idonei documenti suscettibili di raggiungere più elevati standard di precisione in virtù delle cosiddette «impronte genetiche») ; e soprattutto a garantire maggior trasparenza nei flussi finanziari (una materia, questa, nella quale le strategie anti-terrorismo possono virtuosamente interagire con la lotta alla criminalità finanziaria e di stampo mafioso).

Dall'altro lato occorre tenere fermo il riferimento ai principi costituzionali e agli stessi valori fondanti la costruzione dell'Unione europea. Si tenga presente, a questo proposito, quanto ripetutamente asserito dai testi fondativi dell'Unione: per fare solo due esempi recenti, il Trattato di Maastricht (art. 11, co. 5) prescrive all'Unione un'azione rivolta allo «sviluppo e [a]l consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché [a]l rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali»; a sua volta, la «Relazione esplicativa» che accompagna la Proposta del Consiglio europeo in materia di lotta contro il «terrorismo internazionale» (riunione del 21 settembre 2001) ribadisce (punto 1, § 5) che «l'Unione europea e i suoi Stati membri sono fondati sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sulla garanzia della dignità dell'essere umano e sulla protezione di tali diritti».

Queste dichiarazioni - e maggior ragione le Costituzioni degli Stati membri - non possono essere ridotte ad orpelli retorici, pena la perdita di credibilità e il declino delle istituzioni comunitarie. Per evitare tali esiti, una prima contromisura indispensabile (come dimostra, in negativo, l'esperienza sin qui maturata in rapporto all'attività di Europol e di Eurojust, del tutto impenetrabile al controllo dei parlamenti nazionali e del parlamento europeo) potrebbe essere la creazione di Autorità indipendenti di controllo e di vigilanza sull'operato degli organismi nazionali e comunitari preposti alla lotta contro il «terrorismo internazionale». Tali Autorità - soggette solo al controllo parlamentare - dovranno essere munite di strumenti investigativi e operativi che le pongano in condizione di verificare in tempo reale l'operato di magistratura, forze di polizia e servizi di intelligence e di intervenire efficacemente in caso di ricorso a procedure illegali o di indebito impiego delle norme anti-terrorismo in funzione di repressione del conflitto sociale.

Un ulteriore terreno di intervento concerne l'immigrazione da paesi esterni all'Unione europea. Occorre compiere ogni sforzo non solo per sottrarre questo fenomeno al cono d'ombra del «terrorismo internazionale» (impedendo che le figure dell'immigrato «irregolare» o «clandestino» - per non dire del richiedente asilo - siano pregiudizialmente e strumentalmente gravate di sospetti infondati), ma anche per invertire la tendenza discriminatoria, xenofoba e razzista caratteristica delle attuali legislazioni europee in materia.

Alla luce di quanto si qui argomentato, appare tuttavia preliminare un'esigenza: occorre giungere quanto prima a una determinazione tassativa dei reati di terrorismo, tale da scongiurare il rischio - quanto mai attuale e serio - che questa materia continui ad essere strumentalizzata al fine di legittimare i processi di militarizzazione delle società e le misure di repressione del dissenso sociale e politico.

6.5 Sui tribunali internazionalivai a indice

Un altro tema rilevante nel quadro della politica giudiziaria in ambito comunitario concerne le istituzioni giuridiche internazionali o sovranazionali (a cominciare dalle corti di giustizia dell'Aja e di Strasburgo) e le convenzioni e gli accordi internazionali sui diritti umani.

Nei confronti di tali istituti occorre in primo luogo enunciare un giudizio positivo, nella misura in cui essi concorrono alla costituzione di contesti istituzionali e normativi indispensabili a una giurisdizione coerente con il riconoscimento di diritti umani fondamentali. Si deve tenere presenta al riguardo che la nozione di diritti umani, di ascendenza giusnaturalistica, rappresenta a sua volta un riferimento necessario allo scopo di rendere azionabili sul piano giuridico valori cruciali della critica politica.

Da queste premesse generali discendono due conseguenze.

Da una parte, occorre che l'Unione europea incalzi gli Stati che persistono in una posizione di non-riconoscimento o di non-ratifica degli organismi giurisdizionali di carattere internazionale. L'autorità dei tribunali internazionali è infatti lesa dall'assenza di importanti paesi (per fare l'esempio più rilevante, gli Stati Uniti non hanno ratificato il trattato istitutivo della Corte penale internazionale e, dopo il caso Nicaragua, hanno ritirato la clausola di accettazione della giurisdizione della Corte internazionale di giustizia). Per contro, il contributo di dottrina e di giurisprudenza che potrebbe provenire dai paesi che non hanno ancora riconosciuto le corti internazionali di giustizia contribuirebbe in misura rilevante ad accrescerne autorevolezza ed efficacia.

Dall'altro lato, sussiste il problema - in parte connesso con quello della mancata ratifica delle convenzioni internazionali - della imparzialità delle istituzioni sopranazionali. Da Norimberga in poi, si è posta la questione di distinguere nel modo più netto la giurisdizione internazionale dalla giustizia dei vincitori, quale quella che fu appunto amministrata dagli alleati all'indomani del secondo conflitto mondiale. La questione è riemersa, ancora in tempi recenti, in relazione alle vicende balcaniche e torna oggi d'attualità alla luce della pretesa statunitense di sottoporre Saddam Hussein al giudizio di tribunali americani In conclusione, l'Unione europea dovrà impegnarsi affinché le istituzioni giuridiche internazionali e sovranazionali ottengano il riconoscimento di tutti gli Stati (il che implica giocoforza la riforma dei riferimenti normativi e delle procedure).

Un analogo ragionamento andrebbe svolto anche in relazione all'Onu. Anche in questo caso l'Ue dovrà fornire il contributo della propria autorevolezza per una riforma democratica dell'Onu, mirata ad accrescere il peso dell'Assemblea generale rispetto al Consiglio di sicurezza e a garantire che le risoluzioni di quest'ultimo non si traducano - con grave pregiudizio del prestigio dell'Organizzazione e con serio pericolo per le sorti del pianeta - nella sanzione della prepotenza dei paesi militarmente o economicamente più forti.

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Partito della Rifondazione Comunista - Italia
Roma, 17 maggio 2004