Elezioni europee, 12 - 13 Giugno 2004

LA SINISTRA, L'ALTRA EUROPA

PROGRAMMA DEL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA - SINISTRA EUROPEA

Simbolo PRC- SE

PARTE SETTIMA.
LA DIFESA DELL'EUROPA E IL SUO RUOLO INTERNAZIONALE

INDICE GENERALE

7.1 La questione della difesa e della sicurezza dell'Europavai a indice

Il tema di un dispositivo o meno di “sicurezza” dell'Unione europea si è posto con un certo rilievo nella discussione dei governi, in seno alla Commissione e al Consiglio europei particolarmente dopo il crollo dell'Unione sovietica e la fine del patto di Varsavia. Prima l'argomento era compreso in quello di una migliore cooperazione dell'Europa occidentale alla Nato e agli Stati Uniti. Successivamente l'argomento si è posto nel quadro di una prospettiva di una autonomia sostanziale e formale del dispositivo di difesa europeo.

Le ragioni di questo processo sono diverse. In parte derivano dall'attitudine degli Stati Uniti, dopo il 1991, a parziali disimpegni militari dal teatro europeo, in parte dalla maggiore attitudine di questo o quel governo europeo, come ad esempio quello francese, a muoversi con relativa autonomia. A questo si deve aggiungere che la istituzione della moneta unica ha posto la necessità di una strutturazione politica superiore dell'Ue. Infine si può aggiungere che l'attuale politica di guerra degli Stati uniti pur sottoponendo l'Ue ad una forte tensione politica interna viene affrontata dai governi europei e dalla Commissione con un'idea di fondo: il riarmo dei vari stati membri e dell'Ue in quanto tale. Infatti quei governi che sono schierati completamente dalla parte degli Stati uniti sentono l'insufficienza dei mezzi a loro disposizione per essere veri coattori, mentre quelli che avanzano qualche contestazione avvertono la loro debolezza nel darle peso.

Questa contraddizione tra i vincoli europei da un lato e la tensione tra gli stati provocata dalla politica di guerra degli Usa si manifesta anche in altre maniere.

Mentre infatti Francia e Germania (più Belgio e Lussemburgo) stanno procedendo e con una certa rapidità nella costruzione di strutture stabili di coordinamento politico e di integrazione dei loro dispositivi militari, essi stanno pure tentando di coinvolgere la Gran Bretagna in una sorta di direttivo di gestione politica della Ue, comprendendo in questo anche accordi di tipo militare.

Una delle ragioni più rilevanti della propensione dei vari governi ad un dispositivo di “sicurezza” europeo e dell'affidamento perciò del ruolo nella sua costruzione alla Commissione europea, sta nel fatto che esso richiederebbe una razionalizzazione dell'esistente e significativi mezzi di spesa. I vari stati membri spendono nel loro complesso nei loro dispositivi militari qualcosa come la metà di quanto spendono gli stati Uniti, tuttavia lo squilibrio in termini di efficienza e di potenza è gigantesco. La ragione è semplice: la spesa militare è dispersa nella Ue tra quindici stati. Per questo la Commissione europea si è data alcuni anni orsono il compito di proporre agli stati membri una divisione razionale della spesa militare e con essa della ricerca. Inoltre i vari stati possono reperire i fondi aggiuntivi di spesa militare solo attraverso una qualche modificazione delle politiche restrittive di bilancio contenute nei Trattati, e per arrivare a questo è necessaria la collaborazione della Commissione europea.

Infine questa complessiva propensione al riarmo viene vista da molti governi della Ue come una possibile risposta da dare alla stagnazione delle economie europee sul modello americano.

Per quanto riguarda l'atteggiamento degli Stati Uniti va ricordato che il primo passo verso la definizione di un dispositivo di Sicurezza europea risale ai tempi della presidenza Clinton. Per questo dispose la indispensabile collaborazione strategica e logistica della Nato. Quindi l'Ue decise di pensionare la vecchia struttura burocratica, la Ueo, e di costruire Interforza, un sistema di comandi nella prospettiva di poter disporre in qualche anno di un dispositivo di 60.000 specialisti per poi giungere a 100.000. Con l'avvento di Bush il progetto si è però fermato, anche se è vero che i consiglieri del presidente, come ad esempio Robert Kagan, invitano oggi l'Europa a rafforzarsi militarmente per fare fronte al terrorismo, ma evitando che questo possa avvenire attraverso un dispositivo militare effettivamente europeo.

La proposta di Trattato Costituzionale sul tema della difesa europea si propone la costituzione di un'”agenzia per la difesa” i cui caratteri non sono definiti nel dettaglio.

In particolare si tratta di seguire l'evoluzione che questa discussione avrà nel quadro del sistema di difesa integrato dei paesi europei. I punti sui quali si sta concentrando l'attenzione sono relativi : alla costituzione di un vero e proprio “esercito europeo”, dotato di una sua autonoma capacità decisionale; la relazione con l'altra struttura di difesa cooperativa, vale a dire la Nato.

Il recente ingresso di sette nuovi paesi dell'Est Europa, significativamente alla vigilia del loro ingresso nell'Unione Europea, appare come un chiaro segnale che preordinerà l'effettivo dislocamento della forza europea sotto l'egida Nato. Del resto la stessa trasformazione dello statuto Nato, avvenuto durante l'intervento in Kossovo, che esplicitava l'evoluzione dell'alleanza da struttura puramente difensiva a struttura di intervento a salvaguardia degli interessi, minacciati, dei componenti della stessa, ha segnato la traiettoria e la filosofia della nuova guerra permanente.

L'agenzia della difesa europea si collocherebbe, dunque, nell'alveo delle attività belliche della Nato, pur non essendo una sua emanazione. Inoltre si determinerebbe un meccanismo, definito “di cooperazione rafforzata”, che provvederebbe all'utilizzo degli eventuali contingenti da far intervenire in teatri di guerra al di fuori dell'autorizzazione dei parlamenti nazionali. Si tratta dunque di una vera e propria proposta di un contingente di intervento rapido, in aperto contrasto con alcune costituzioni nazionali (Italia e Germania in primo luogo).

L'altro aspetto assolutamente negativo è quello relativo al sicuro incremento delle spese militari. A questo proposito, appare chiaro che la corsa al riarmo e l'incremento della spesa militare mondiale (circa 1000 miliardi di dollari, di cui quasi la metà da parte degli Usa) potrebbe portare l'Europa in una vera e propria riconversione della propria economia in senso bellico. L'Italia nel 2003 ha speso circa 20 miliardi di euro, con un incremento già del 3,1% rispetto all'anno precedente. Un eventuale incremento di spesa non potrebbe far altro che condizionare le spese sociali già precarie del nostro paese.

Sul versante geopolitico la costituzione di un esercito europeo, per quanto già detto finora, non ha nessuno scopo (né avrebbe nessuna possibilità) di costituire un contrappeso alla potenza militare nordamericana, ma oggettivamente contribuirebbe all'ordine militare mondiale unipolare a guida Usa. Vi è chi, anche nel campo delle sinistre sostiene che una forza militare autonoma potrebbe fungere da deterrente. Ciò non solo non è vero, ma alimenterebbe una oggettiva coalizione di interessi a fare la guerra contro i sud del mondo. Del resto la natura della nuova guerra infinita ed indefinita propone una funzione duplice dell'intervento militare: quello offensivo di grande impatto (vedi invasione dell'Iraq), nel quale gli Stati Uniti non tollerano alcuna interferenza; quello di “polizia” (l'attuale situazione di occupazione) nel quale sono più alti i costi umani e dove gli Usa richiedono un coinvolgimento più attivo di altri contingenti militari. Si è parlato, a proposito della scadenza del 30 giugno per il passaggio di poteri alle autorità irakene, di un probabile intervento della Nato (per altro non deciso) non in contraddizione con l'intervento eventuale dell'Onu.

Sul piano degli organismi internazionali, la costituzione di un esercito europeo approfondisce oggettivamente la crisi di sovranità delle Nazioni Unite.

La scelta che facciamo non può che essere quella di un'Europa disarmata, denuclearizzata e neutrale, in cui i paesi membri riducano la quota di bilancio destinata alla difesa a un ritmo costante e consistente, che sappia ritrovare nuove ragioni di mediazione politica dei conflitti e che affidi solo alla cooperazione degli eserciti nazionali il compito della difesa entro ed esclusivamente i propri confini.

Vi è chi obietta che per svolgere effettivamente un ruolo di pace nel mondo sono necessarie azioni di interposizione e che queste richiedono la presenza di una determinata forza, e che queste azioni di interposizione non possono essere lasciate solo alla generosa iniziativa dei movimenti pacifisti. Ma tutto questo non può configurare né una politica di riarmo, né la costruzione di un esercito europeo, né la continuazione della scelta di eserciti professionali. Ad un dispositivo eminentemente militare dobbiamo contrapporre una proposta di dispositivo di sicurezza e di intervento nelle crisi sotto l'egida dell'Onu di tipo democratico e pacifista.

7.2 Il ruolo internazionale dell'Uevai a indice

Dalle ultime dichiarazioni di Solana, il responsabile per la politica estera dell'Unione, si desume una tendenziale propensione della Commissione europea per l'azione multilaterale ed una critica nei confronti dell'unilateralismo nordamericano. In effetti questa stessa posizione, con una maggiore apertura sul tema del ritiro delle truppe dall'Iraq, è stata assunta da Prodi nel recente manifesto per la politica estera della Lista unitaria.

E' bene sottolineare che quest'approccio è tutt'altro che alieno dall'utilizzo della forza, ma propone un ritorno al cosiddetto “multilateralismo aggressivo” di clintoniana memoria (Somalia, Kossovo, ecc). In ogni caso non mette in discussione l'unipolarismo e non contesta il fallimento delle strategie interventiste.

L'Ue ha di fatto perso un ruolo nella mediazione dei conflitti e sta ignorando intere parti del mondo. Non c'è alcuna politica di intervento nei processi di pace avviati, alcuni di essi si sono nel frattempo interrotti, in America Latina (Colombia, Bolivia).

C'è inoltre una totale incapacità di intervenire sulla crisi mediorientale. L'Ue fa parte, solo formalmente, del quartetto della road map, ma il governo Israeliano non ha mai consentito che suoi osservatori fossero coinvolti sui territori occupati. In aggiunta, l'unico atto assunto, durante la presidenza italiana, è stato quello di inserire Hamas tra le organizzazioni terroristiche. Nel frattempo non si è assunta nessuna iniziativa concreta, al di là di alcune dichiarazioni, che sanzionasse le esecuzioni extragiudiziali, la costruzione del muro, il mancato rispetto delle risoluzioni Onu da parte del governo di Sharon. E' anzi rafforzata l'ipotesi di una procedura accelerata di ingresso nel'Ue per Israele, nonché per la Turchia.

Sul piano economico il progetto di integrazione dell'area euromediterranea si costruisce con presupposti e finalità analoghe a quanto è stato proposto per l'area di libero scambio delle americhe (Alca). Si tratta pertanto di una integrazione economica subalterna, fondata sullo scambio ineguale e non sulla cooperazione economica tra aree di differente peso relativo.

Come abbiamo già detto invece l'Europa deve esprimere appieno quella che, almeno nei momenti migliori della sua storia, è stata una vocazione culturale, favorita anche dalla disposizione geografica, quella cioè di essere un ponte tra il Sud e il Nord del mondo e questo obiettivo può oggi essere perseguito solo se da ogni punto di vista, in primo luogo da quello politico, ma certamente anche da quello della cooperazione culturale e economica con i paesi mediterranei, l'Europa riesce a svolgere un ruolo autonomo sullo scenario internazionale, proponendosi come fattore attivo di pace, a cominciare dal conflitto israelo-palestinese e dalla fine dell'occupazione militare dell'Iraq.

Per quanto riguarda il campo della cooperazione internazionale allo sviluppo, questa va distinta da altri aspetti della politica internazionale e va favorito il coinvolgimento di una pluralità di soggetti a livello locale di carattere istituzionale e non.

Naturalmente si tratta di elevare il livello della spesa complessiva e dei singoli stati per questo fine,, cosa particolarmente urgente nel caso italiano, ma anche di dare vita ad una nuova cultura della cooperazione internazionale basata su criteri di rapporti paritari con le popolazioni dei paesi delle periferie economiche del pianeta.

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Partito della Rifondazione Comunista - Italia
Roma, 17 maggio 2004