Elezioni europee, 12 - 13 Giugno 2004

LA SINISTRA, L'ALTRA EUROPA

PROGRAMMA DEL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA - SINISTRA EUROPEA

Simbolo PRC- SE

PARTE OTTAVA.
L'IDENTITA' DELL'EUROPA E LA NUOVA IDEA DI CITTADINANZA

INDICE GENERALE

8.1 L'identità culturale europeavai a indice

Una proposta per un progetto politico europeo non può tacere sul problema assai discusso di una identità culturale, sulla sua eventuale esistenza, sul metodo con cui essa va individuata e come essa intreccia e alimenta il profilo costituzionale comune.

Il problema di un'eventuale identità storica, di alcune radici comuni per i paesi dell'Unione, ha un forte riverbero tra passato e presente, tra radici e politiche culturali da sviluppare.

L'Europa è stata, in alcune aree lo è ancora, terra di conflitti acuti e drammatici e questo problema del riferimento culturale unitario può risultare impresa assai difficile. Anche il diverso approccio con cui i vari paesi europei hanno affrontato il rapporto tra autonomia delle culture nazionali e sviluppo delle relazioni culturali sovranazionali è un punto dolente dello sviluppo dell'unità europea.

La questione di un'eredità culturale comune non è irrilevante, allude ovviamente allo stesso profilo di cittadinanza. Lo spazio di autonomia dell'Europa dipende anche dall'esistenza di una soggettività culturale riconoscibile nei processi di globalizzazione. L'eventualità di un'identità culturale europea è insidiata infatti dall'alto dai processi di mondializzazione e omologazione planetaria e dal basso dal permanere dei localismi e di acuti conflitti identitari locali.

L'unità culturale europea non è quindi una realtà, anzi, ma offre la possibilità di uno sviluppo politico che risolva i conflitti tra i localismi e conservi spazi di autonomia nel mondo globalizzato.

Il confronto sull'identità culturale è stato dominato prevalentemente dalle sollecitazioni del papato nel tener conto dell'Europa cristiana come radice della nostra storia comune. Con voci non convinte si sono opposte le ragioni dell'Europa della rivoluzione liberale, mentre persino più determinata è stata l'opposizione di parte del mondo protestante.

E' molto significativo, in questa discussione, la rimozione della presenza determinante della cultura del movimento operaio nella formazione dell'Europa così come ci viene consegnata dal tempo. Eppure il movimento operaio segna per certi versi la differenza più sostanziale della identità europea verso le altre aree del mondo occidentale. La democrazia europea non può essere intesa senza connettere la formazione degli Stati nazionali con le lotte e i conflitti di classe che ne hanno profondamente modificato i profili. La rimozione della questione rappresenta senza dubbio un uso politico della storia, infatti le socialdemocrazie, presenti come soggettività politica rilevante nell'Europa contemporanea, sembrano favorire un oscuramento delle loro ragioni storiche anche per giustificare la scelta di campo del liberismo moderato che orienta le loro scelte.

Questa rimozione non è innocente, il tacere è una scelta politica per lasciare la cornice del mercato come unico orizzonte di ispirazione dell'Unione.

Si è sostenuto che una più esplicita definizione di campo ideologico avrebbe costretto il profilo dell'Europa nell'angustia di una “civiltà” pericolosamente esposta alla separazione e al confronto-scontro con le civiltà altre.

Questa scelta pragmatica forse sceglie giustamente il piano dell'identità come non meccanica derivazione genealogica delle culture. Ma è proprio in questa visione più pragmatica che diventa inaccettabile la rimozione della storia reale del movimento operaio come costituente centrale della stessa dimensione occidentale capitalistica dell'Europa. Il modello dello Stato sociale costituisce il paradigma di una rivoluzione dello stesso capitalismo costretto al conflitto lungo e complesso con il movimento operaio. Il complesso dei diritti costituzionali nei paesi europei è profondamente segnato da questo conflitto. Dalle sue esperienze sociali e dai suoi valori. Anzi spesso le resistenze all'unità europea sono derivate proprio dalla sensazione che con l'Europa potesse svanire o affievolirsi i benefici delle conquiste del welfare.

Insomma se si ritiene, come si può a ragione pensare, pericoloso e equivoco addentrarsi in una gerarchia di primogeniture costitutive dell'Europa, il negare la concretezza della realtà costitutiva del continente è stato senza dubbio un modo per dare una carattere indiscusso e indiscutibile, astorico, all'orizzonte tecnocratico e liberista che anima le classi dirigenti europee.

La costituzione storica e materiale dell'Europa porta, invece, profondamente il segno di diversità e non solo nelle forme sociali e nei diritti, ma anche e forse soprattutto nella nozione della cultura umana e dei valori. Basterebbe solo un cenno al dato strutturale del rifiuto della pena di morte e la sua espulsione dal diritto positivo come segno e trama originale del rapporto tra cittadino, norma e società come anche la revisione critica della storia del colonialismo e dell'eurocentrismo culturale che ha dominato gli ultimi secoli.

8.2 Una nuova idea di cittadinanzavai a indice

Una nuova idea di cittadinanza europea, va quindi misurata e costruita nell'intreccio tra i punti più alti della cultura giuridica e le migliori acquisizioni sociali del continente, le nuove istanze di partecipazione allo spazio pubblico, le nuove soggettività, i nuovi percorsi di costruzione di identità e di senso di sé, la valorizzazione della natura sessuata della persona umana, le libertà nelle opzioni sessuali. Questa nuova idea non può non assumere al contempo uno “sguardo cosmopolita”, sapendo accettare, senza perdere se stessa, la contaminazione con altre culture, in particolare quelle che oggi non sono in posizione dominante e che per questo ci offrono un nuovo e diverso sguardo sul mondo e sull'umanità, come si è visto con chiarezza anche nel recente Forum sociale mondiale di Mumbay. Bisogna perciò abbandonare ogni fondamentalismo culturale e giuridico quando questo si mostra incapace di misurarsi con le nuove istanze e soggettività. In questo senso va rilanciato un significato moderno di laicità dello stato, che è tale se sa garantire spazi di convivenza tra le differenze e se favorisce percorsi di affermazione di diverse soggettività, difendendo realmente diritti individuali e collettive. In questo senso la ragazza che veste il velo perché vuole affermare una sua identità è cosa ben diversa da chi subisce il diktat della propria comunità e questo deve comportare risposte diverse da parte dello stato. La critica del movimento delle donne ha decostruito il carattere inclusivo e omologante della cittadinanza che sta all'origine degli stati moderni, rivendicando il carattere sessuato dei diritti. D'altro canto, come abbiamo già ricordato le nuove soggettività migranti ci propongono un nuovo cambio di paradigma nel senso che si è cittadini in quanto persone e non viceversa.

Un aspetto fondamentale della nuova idea di cittadinanza consiste nel riconoscimento dell'assimetria dei corpi e delle responsabilità in materia di procreazione e genitorialità. La sua affermazione richiede però un grande scontro contro il ritorno di pulsioni sessuofobe, familistiche, antiaboriste, alimentate a livello internazionale dall'Amministrazione Bush da un lato e dai tratti integralistici di questo Papato dall'altro. Né si può tacere l'arrendevolezza, quando non si tratta di aperta complicità, delle sinistre moderate su questi temi. Un esempio evidente di tutto questo è indubbiamente rappresentato dalla nuova legge sulla Procreazione medicalmente assistita votata dal Parlamento italiano grazie al concorso di una maggioranza trasversale, che costituisce una vera e propria aggressione in radice ad alcuni elementi di fondo dell'ordinamento di un moderno stato democratico quale la Costituzione italiana assicura e garantisce e quale le lotte sociali, civili e politiche, in particolare nella seconda metà del Novecento, avevano inverato lungo il faticoso percorso di emancipazione e liberazione di donne e uomini. Il principio della responsabilità femminile rispetto al proprio corpo e il diritto all'autodeterminazione delle donne in campo procreativo - cioè la forma concreta di riconoscimento dell'habeas corpus e della pienezza della cittadinanza scaturito dalla soggettività politica del movimento delle donne - viene così negato, affermando il primato dell'embrione rispetto alla madre e aprendo la strada per una possibile rimessa in discussione della stessa legge 194. Lo Stato viene posto a presidio di una concezione di parte - confessionale - della famiglia, dei comportamenti sessuali, delle relazioni genitoriali, e , attraverso le regole che permettono l'accesso alle tecniche procreative, si impone la coincidenza fra la famiglia biologica e la famiglia giuridica. La laicità dello Stato è così gravemente attaccata e così lo sono i diritti di tutti, donne e uomini, mentre la ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali viene negata sia a fini conoscitivi e a scopi rigenerativi, sia anche per migliorare la tecnica stessa della procreazione assistita.

8.3 Le originalità culturali dell'Europavai a indice

Le originalità culturali europee sono varie e difficilmente negabili. Sono diversità che nel loro sviluppo positivo possono riproporre l'Europa e la sua soggettività per un ruolo originale per il futuro. Le eredità europee possono diventare progetto politico, capace di mediare tra unità e diversità delle culture, possono offrire un modello di democrazia originale, un “mediazione evanescente” nel contesto di una crisi delle culture del mondo.

Quello che si propone è allora una trama leggera per individuare alcune realtà presenti nella nostra cultura, solo alcuni elementi guida maturi ed esemplificativi per costituire le basi di una pratica ideale e culturale radicale e nello stesso tempo “accogliente” e cooperativa.

Tra le tante esperienze sul terreno culturale, la nozione della cultura come bene comune, nella dimensione europea, costituisce un primo campo distintivo. Non che l'Europa si sia sottratta all'ondata di mercificazione culturale, ma la resistenza a questo processo e la consapevolezza diffusa della cultura come organismo difficilmente parcellizzabile e riducibile a merce vendibile, è un fatto.

La stessa struttura dei beni di cultura in Europa ha il segno della contiguità diacronica e della contestualità spaziale. La loro relazione è il portato qualitativo ereditato dalla storia, dalla struttura generativa che le trasformazioni, inclusioni, sovrapposizioni, contaminazioni, hanno indotto nelle lingue, nei modelli urbani e ambientali, nei profili organizzativi della vita materiale, nelle forme visive, nel gusto, nel folklore, nella produzione dell'immaginario. Le privatizzazioni dei beni comuni culturali sono oggi una tendenza, uno stress a cui la cultura europea è fortemente sottoposta, ma le resistenze sono estese e per certi versi più facili per la natura stessa dei bene di cultura innervati strettamente con la loro storia e con il loro ambiente. Un museo, un opera d'arte, un prodotto dell'ingegno non sono decifrabili nella loro nudità di oggetto-merce, la sintassi del tutto ha ragione sull'isolamento degli elementi.

L'autonomia culturale non è solo l'eredità dello sciovinismo nazionale, ma l'esperienza concreta che la cultura è lo specchio di una comunità, è il suo guardarsi per capirsi e per meglio capire l'altro da sé.

Una grande potenzialità che non solo resiste alla tendenza negativa che usa la cultura come clava identitaria per la sopressione dell'altro, ma che può contribuire a riconoscere nelle altre culture preziosi e insostituibili contributi alla propria storia.

Lingue, città, monumenti, consumi, immaginario mostrano questa complessità produttiva, relativizzando l'eurocentrismo astratto e riconoscendo i debiti culturali, contribuendo alla costituzione di un processo identitario aperto. Lo spazio della cultura come bene comune può resistere alla semplificazione e banalizzazione della globalizzazione, sfuggendo nello stesso tempo all'idiotismo del localismo. I processi di messa a mercato dei beni comuni culturali è ovviamente un fatto; in Italia una grave e pervicace distruzione dei prodotti della nostra storia è in atto. Gli effetti non solo sono gravi dal punto di vista economico - dispersione di beni ambientali, distruzione del demanio, beni di cultura alienati solo per fare cassa- ma è ancora più grave l'idea che viene veicolata da queste scelte: la marginalità della cultura, la secondarietà dei beni simbolici nella costituzione materiale e morale di una società.

Scelte disastrose sul piano economico, ancora più distruttive sul piano della moralità collettiva. Campi di utile resistenza per un progetto di un'altra Europa possibile.

8.4 Le strutture formativevai a indice

Altri interessanti elementi di autonomia dell'identità europea, non ancora omologati sono rintracciabili anche nelle istituzioni formative. E' questo un campo fortemente sottoposto ai processi liberisti della globalizzazione. Ma è troppo profonda la diversità sostanziale del concetto formativo delle persone che ancora regge nelle nostre società rispetto all'idea totalmente utilitaristica della formazione umana. Vive con forza in Europa l'idea insopprimibile del primato della formazione unitaria e completa, umanistica, sullo specialismo estremo; questa realtà si riverbera sulla tenuta relativa della ricerca e della scienza di base rispetto alla sua immediata finalizzazione produttiva. Il profilo delle scuole e delle università europee, anche tradendo la loro arretratezza, mostrano proprio nella loro conservarsi come “arti” non serializzate, una potenziale modernità. L'insegnamento per universali, il primato delle sintesi narrative e descrittive della storia e delle scienze sono spesso vissute come un ritardo rispetto al procedere della scuola e dell'università americane eppure le istituzioni formative europee, pure nelle loro grandi differenze, mostrano, proprio per queste caratteristiche, una grande predisposizione alla duttilità e adattabilità, garantiscono una conservazione degli sguardi d'insieme sul reale e consentono spazi originali per la creatività e l'innovazione.

La resistenza delle scuole e delle università all' “americanizzazione” è sempre più in difficoltà, la modernizzazione le ha trattate con un piglio assolutamente ideologico.

Questa idea di istruzione si scontra infatti con la convinzione, importata da oltre oceano, secondo cui la conoscenza sarebbe passibile di infiniti frazionamenti e rigide quantificazioni. L'assunzione forsennata di questa idea illusoria si sta concretando in tutte le controriforme delle istituzioni conoscitive, ma la grande pedagogia e metodologia didattica europea, se adeguatamente sostenuta, può essere in grado di resistere, collocandosi positivamente all'incrocio tra compiti istruttivi e educativi nella formazione umana. Il passato può essere considerato obsoleto, ma spesso la sua conservazione critica mostra di essere una risorsa. Il diritto allo studio e alla formazione non può essere solo trattato come accesso al lavoro, ma ha bisogno di una revisione critica dei saperi in modo che, nella diffusione di massa, non perdano il loro valore di emancipazione e liberazione umana. Sono resistenze utilmente presenti nel panorama europeo.

8.5 L'industria culturalevai a indice

Lo stesso ragionamento può essere sviluppato per l'industria culturale e per il sistema della comunicazione. Qui siamo a più diretto contatto con gli apparati della globalizzazione capitalistica. Le grandi reti globali sono nate in altri contesti culturali e funzionali. L'era digitale ha posto le basi di un nuovo intreccio tra mercati e informazione, tra merci e produzione simbolica. L'era digitale è il sistema nervoso della modernizzazione capitalistica attuale ed è più complesso guadagnare spazi di resistenza e di politiche alternative.

Ma anche in questo caso, la profondità dello spessore della storia può garantire spazi critici, esperienze di resistenza creativa. La potenza della rivoluzione digitale può essere la base di un'ampliamento in senso sociale della cittadinanza, il suo verso mercantile non è l'unico esito naturale. In alcuni settori, il cinema ad esempio, l'industria europea ha saputo contrastare il Golia del cinema holiwoodiano. Ha saputo tenere nel mercato temi e problemi complessi, si pensi ad esempio al ritorno, soprattutto in Francia e in Inghilterra, del tema del lavoro e della condizione operaia come trama di storie e produzione d'immaginario. La tenuta narrativa su un terreno di autonomia è anche garanzia di una tenuta linguistica, di una pluralità di letture della realtà. Spazi difficili ma ancora aperti che avvertono di una potenziale specificità europea. L'era digitale può essere considerata una grande opportunità piuttosto che una storia conclusa nell'orizzonte del liberismo. Le grandi reti sono la base possibile di una produzione culturale dialogante e cooperante.

8.6 La televisione e il passaggio al digitale terrestrevai a indice

La televisione in Europa è ad un bivio. L'arrivo delle tecniche digitali di trasmissione e diffusione segnalano la possibilità di cancellazione della storia e della cultura dei servizi pubblici radiotelevisivi. Essi hanno rappresentato uno dei collanti sociali nazionali e andrebbero estesi nella funzione di formazione di una identità europea, non abbandonati per un modello puramente commerciale.

Il rischio è che il passaggio al digitale significhi la fine definitiva dei servizi pubblici radiotelevisivi e la completa omologazione del sistema radiotelevisivo alle logiche di mercato. Per questi motivi il servizio pubblico radiotelevisivo andrebbe inscritto nel quadro costituzionale europeo, come uno dei fondamenti della stessa identità continentale.

Le forze che puntano ad un esito di tal genere sono potenti. Da un lato la pervasività del modello tecnologico digitale, che punta ad una ibridazione tra programma televisivo e servizio audiovisuale di natura informatica. La natura dei programmi, attraverso la ricerca del valore aggiunto da immettere nelle trasmissioni a tecnica digitale, potrebbe essere completamente snaturata offrendo nuovi meccanismi di esclusione sociale, sia per cultura (analfabetismo informatico), sia per censo (riduzione delle capacità di spesa e trasformazione in pagamento diretto per la fruizione di contenuti). Dall'altro l'interesse, di una parte crescente di aziende di TLC, di utilizzare le bande di frequenza attualmente assegnate a livello internazionale ai servizi televisivi. I processi di interattività (necessari allo sviluppo dei servizi a tecnica digitale terrestre, secondo il modello di quelli a valore aggiunto) sono previsti nel nostro paese attraverso la rete Telecom.

Oltre a produrre una ricaduta di natura monopolista (con la conseguente massa di ricavi per il gestore ex-pubblico) tale necessità obbliga a pagamenti progressivi per l'utilizzo della nuova televisione digitale terrestre. In Inghilterra, un paese che tra i primi ha sperimentato un fallimento dell'apertura di una fase di televisione digitale, sta imboccando oggi la strada di una totale deregolamentazione dell'utilizzo delle bande di frequenza, affidando ai singoli operatori la scelta di offrire servizi dati, voce o audiovisuali a valore aggiunto. Una tale scelta farebbe venire meno la capacità delle aziende radiotelevisive di reggere il confronto economico con le grandi compagnie telefoniche, trasformando totalmente il panorama televisivo europeo.

8.7 Per un welfare delle comunicazionivai a indice

Proprio per tali ragioni vanno rafforzate le caratteristiche di uno spazio pubblico. Il ripensamento, rispetto al modello statuale del novecento deve essere profondo. Lo spazio pubblico deve essere caratterizzato da una duplice finalità: da un alto la garanzia dell'offerta di contenuti e programmi in grado di soddisfare un alto grado di socializzazione dentro il tessuto sociale nazionale ed europeo; dall'altro la garanzia di infrastrutture e risorse per garantire le libere espressioni che nascono e si organizzano dal basso all'intero dei corpi sociali. Occorre definire, con chiarezza, che la nuova fase di garanzia comunicativa pubblica deve essere caratterizzata da servizi offerti alla collettività e da gradi di libertà della collettività stessa nella produzione di contenuti. Lo spazio pubblico risulterebbe così definito come la sommatoria dei servizi pubblici generalisti, come si sono configurati nel corso degli ultimi decenni, e di spazi di autoproduzione sociale garantiti.

In altre parole, occorre la definizione di un “Welfare delle Comunicazioni” utile a stabilire non solo i diritti passivi degli utenti ad essere informati, ma un vero e proprio “diritto attivo a produrre comunicazione”.

Proprio la necessità di garantire uno spazio pubblico in termini di diritti comunicativi definisce l'urgenza di definire una struttura europea di telecomunicazioni alla quale affidare la gestione tecnologica di tale diritto.

Diffusione di servizi pubblici radiotelevisivi anche nella fase digitale, garanzia di fornitura di servizi a banda larga anche in località che non sono vantaggiose per gli investitori privati e che, probabilmente, non vedrebbero mai garantita la copertura tecnologica di quel territorio, garanzia di diffusione dei contenuti radiotelevisivi e audiovisuali a tecnologia digitale attraverso logiche di accesso permanenti e provvisorie, ma con garanzie certe. Con tali obiettivi, sarebbe necessaria la costruzione di una azienda di TLC europea che garantisca livelli di investimenti e livelli di accesso sociale in tutto il territorio del paesi membri.

Anche i servizi postali sono investiti da un completo ripensamento di ruolo sociale. Essi si caratterizzano per la capacità di offrire un servizio che non può essere misurato solo sulla capacità di commissione alle imprese. La struttura a rete della nuova economia, infatti, presuppone capacità logistiche di trasporto delle merci fin al singolo cittadino, ma il servizio postale si riafferma proprio come elemento di connessione sociale, di rapporto tra il cittadino e la sfera pubblica. Proprio per questi motivi occorre definire uno spazio europeo di garanzie che devono prefigurare la scelta verso una vera e propria azienda unica europea di servizi postali. In questo campo, infatti, si potrebbe sperimentare il primo passo per una integrazione europea basata non solo sulle garanzie finanziarie degli investimenti, ma su di una vera e propria idea di politica industriale europea integrata.

8.8 Il rilancio dell'informatica in Europavai a indice

Va segnalato anche un ulteriore campo di enorme importanza in cui l'Europa ha mostrato di essere più recettiva, fosse anche per sfuggire alla morsa monopolistica globale: la produzione del software libero e liberamente diffuso.

Questa dimensione è strettamente legata alla stessa indipendenza economica europea nella produzione. Si tratta di una dimensione emblematica, lo stesso non si può dire di altri ambiti tecnologici, in cui la sudditanza agli Stati Uniti è totale. Il software libero riesce a conciliare spinte cooperativistiche nella produzione, in qualche modo extramercantili, con standards qualitativi universalmente accettabili. Il costo del software proprietario è una vera tassa nella globalizzazione: dai giochi elettronici dei bambini alle tecnologie operative della produzione, dalle procedure della pubblica amministrazione alla gestione delle informazioni nelle reti. Le stesse scelte recenti della Commissione e i provvvedimenti antitrust nel software sono un segno importante di questo atteggiamento. Certo si tratta di forme di protezione economica per l'Unione, ma ciò avviene anche per l'impegno di quelle correnti di pensiero che in questo continente non danno per totalmente risolto nel mercato il ruolo dello stato e della responsabilità pubblica.

Le comunità per la produzione di software libero, nonostante abbiano una genesi nelle comunità scientifiche americane, trovano paradossalmente una applicazione istituzionale in Europa, luogo in cui pare non completamente dissolta la dimensione dello spazio pubblico. Il software libero per le amministrazioni pubbliche viene così considerato allo stesso tempo risparmio economico in un contesto di mercato monopolistico, ma anche strumento per uno spazio dei diritti di cittadinanza non alienabile. Il superamento del monopolio informatico che affligge il mondo, ben al di là di interventi sulla violazione delle norme della concorrenza, devono caratterizzarsi per una rinnovata capacità di investimenti pubblici sull'informatica.

L'informatizzazione delle amministrazioni pubbliche e la loro connessione in rete determina un nuovo rapporto tra stato e cittadini e tra la sfera pubblica e sfera privata. Le tecnologie scelte e i software impiegati, determinano il grado di libertà, di autonomia e di flessibilità dei modelli decisionale e dei modelli gerarchici connessi al loro utilizzo. Solo attraverso una rinnovata capacità progettuale nei settori dell'informatica e delle reti è possibile uno modello di e-government che contenga capacità progettuali e struttura autonome. L'e-government non può caratterizzarsi, cioè, solo per una più efficace capacità delle pubbliche amministrazioni di fornire servizi alle imprese o ai cittadini, ma per un nuovo modello democratico che valorizzi la partecipazione consapevole e diretta alle decisioni. In questo senso, occorre che gli investimenti pubblici si finalizzino verso modelli di sperimentazione che favoriscano nuove forme di democrazia delegata e diretta.

In conclusione … quelle indicate non vogliono essere illusioni a motivare uno spazio di già realizzate diversità europee, ma grandi opportunità, costitutive di evoluzioni positive future nel campo culturale. Linee di una tendenza possibile per trasformare l'eredità culturale e la sua complessità e disomogeneità in risorsa e in nuove occasioni per noi cruciali perché indicano spazi straordinari di alternativa. Queste dimensioni dell'identità uniscono e non separano da altre culture; accettando gli effetti conflittuali delle diversità culturali ne mostrano anche il contributo di valore universale. Si gettano alle spalle un nuovo improbabile eurocentrismo e salvaguardano i risultati sociali acquisiti nella storia europea contribuendo a fornire un democratico per altre aree del mondo.

INDICE GENERALE
Partito della Rifondazione Comunista - Italia
Roma, 17 maggio 2004