Oltre la memoria

Gli studenti ebrei del “Manzoni” al tempo delle leggi razziali

La testimonianza di Anna Marcella Falco ed Emma Pontremoli

20 marzo 2002: parliamo del "Manzoni", degli studenti ebrei e delle leggi razziali del 1938 con due testimoni di quei giorni, Anna Marcella Falco, che nel 1937 / 38 aveva frequentato la V Ginnasio C , ed Emma Pontremoli, alunna della V Ginnasio D dello stesso anno.

Anna Marcella Falco ed Emma Pontremoli (rispettivamente la seconda e la quarta da sinistra)
con i loro compagni di III Liceo nel giardino della scuola ebraica di via Eupili nel 1941

Vi aspettavate di non essere ammesse a scuola all’inizio dell’anno scolastico 1938 / 39, o è stata una sorpresa?

Sig. Pontremoli: La sorpresa più assoluta.

Sig. Falco: Da alcuni mesi i giornali insistevano su argomenti tipo: " Gli ebrei non appartengono alla razza ariana", ma il divieto di frequentare la scuola per noi è stato una sorpresa.

Sig. Pontremoli: Era da luglio che eravamo attenti alla questione, ma non ci aspettavamo che ci cacciassero dalla scuola.

Sig. Falco: E’ vero. La rivista "La difesa della razza" e altre orribili pubblicazioni su cui gli ebrei erano rappresentati con facce orrende insistevano da parecchi mesi - non mi ricordo da quando . Anche i giornali avevano cominciato a martellare, e la dichiarazione "Gli ebrei non appartengono alla razza ariana" si sentiva da alcuni mesi…

Alcuni studenti che si sono ritirati nel corso dell’anno scolastico 1937 /38, per cognome e per il fatto di non frequentare le lezioni di religione cattolica probabilmente appartenevano a famiglie ebraiche. E’ possibile che qualcuno avesse presentito quello che stava per succedere?

Sig. Falco: Non mi risulta assolutamente. Il fatto che con il primo settembre noi fossimo cacciati è stato come una mazzata in testa ; durante l’anno scolastico precedente a nessuno di noi era passato per la mente che potessero allontanarci dalla scuola.

Alcuni ragazzi dal cognome ebraico rimandati a settembre non si sono presentati agli esami ; altri, nelle stesse condizioni, si sono presentati, sono magari stati promossi e non si sono più iscritti. E’ possibile che chi non si è presentato lo abbia fatto perché sapeva di non poter più reiscriversi?

Sig. Pontremoli: Si cercava di finire l’anno…

Vi permettevano di finire?

Sig. Falco: Sì, ce lo permettevano. ( scorre l’elenco dei nominativi) Qui vedo un nominativo : "Franco Odetta, suddita straniera, non si presenta agli esami"…Chissà, in quell’epoca erano arrivati molti ebrei profughi dalla Germania e dall’Austria perché erano convinti di star bene qui in Italia: era gente, diciamo, "in transito".
(continua a scorrere l’elenco) Respinta a ottobre, Ganì… E’ stata bocciata, poi si è iscritta alla scuola ebraica di via Eupili. L’hanno deportata. La sorella minore, Ester, era una compagna di mia sorella Graziella…

La studentessa del Manzoni, Regina Ganì, è morta in campo di concentramento con tutta la famiglia. Abbiamo ritrovato il suo nominativo sul "Libro della memoria".

Sig. Falco: Avete visto la lapide che c’è nella Stazione Centrale? Ci sono i nomi degli ebrei che sono stati deportati da Milano. Secondo me lì la Ganì è citata. (consulta "Il libro della memoria" di Liliana Fargion ). Ganì Alberto, Ganì Giuseppe, arrestati a Seregno…. E’ possibile che i Ganì fossero andati a Seregno per nascondersi, ma diversi gruppi familiari ebrei in un primo momento erano stati per così dire "esiliati" da Milano perché non avevano la cittadinanza italiana. Era una specie di confino….Ecco, i genitori erano di Ioanina e di Corfù…Probabilmente non erano cittadini italiani.

Sig. Pontremoli: Sì, all’inizio sembrava che dovessero essere mandati via solo gli ebrei stranieri…

E' la sola manzoniana che sia stata deportata insieme a tutta la sua famiglia. Gli altri nominativi che abbiamo ritrovato nel testo della Fargion sono di genitori di studenti, morti in campo di concentramento, mentre i figli non sono citati. E’ possibile che nelle famiglie i giovani fossero stati messi in salvo?

Sig. Pontremoli: E’ piuttosto difficile. Non saprei come spiegarlo. In genere il nucleo familiare cercava di scappare tutto unito, salvo nel caso in cui i figli fossero molto piccoli. So che quando vi è stato il rastrellamento del ghetto di Roma, nell’ottobre del ’43, alcune madri hanno affidato il bambino ai vicini di casa sperando che si salvasse… Ma in genere le famiglie rimanevano unite.

Abbiamo notato che il Manzoni, rispetto ad altre scuole superiori, aveva una notevole presenza di studenti di famiglia ebraica. Come lo spiegate?

Sig. Falco: Adesso farò il mio discorso "topografico". Gli ebrei della "Milano bene" stavano in zona Sempione -Magenta, e comunque nel centro di Milano la loro presenza era forte. Alcuni gruppi si erano stabiliti nelle traverse di via Torino, vicino alla prima sinagoga. Di solito quando qualche famiglia ebraica si trasferiva a Milano da altre città, parenti e conoscenti cercavano loro casa nella propria zona.
Bisogna tenere conto, comunque, che mentre in città come Venezia o Trieste l’insediamento ebraico ha una tradizione antichissima, a Milano, dopo la cacciata della comunità da parte degli Sforza, sino al 1815 / 1816 non vi erano quasi più stati ebrei…
Poi ne sono arrivati a gruppi da altri luoghi, come ad esempio da Mantova o dal Piemonte.

In una lettera del 14 settembre 1938 inviata al Provveditorato, il preside Pochettino, rispondendo ad una precisa richiesta, informa che al Manzoni risultano 22 studenti ebrei italiani e 12 studenti ebrei stranieri. Il giorno dopo, nel collegio dei docenti, dichiara invece che "dovranno essere eliminati circa 50 alunni, di cui una quindicina stranieri".
Come è possibile spiegare la differenza di questi dati?

Sig. Pontremoli: Il primo dato è scarso, è senz’altro poco attendibile. Una cinquantina di ragazzi, compreso il liceo, c’era certamente.

Sig. Falco: Potrebbe essere il computo, forse frettoloso, di quelli che facevano religione ebraica. Il preside potrebbe non aver tenuto conto degli studenti che erano di razza ebraica ma non seguivano le lezioni di religione. Comunque sia, anche gli studenti figli di matrimoni misti, cattolici e battezzati, sono stati eliminati dalla scuola in un secondo momento.

Come erano organizzate le lezioni di religione ebraica?

Sig. Falco: Non era un insegnamento continuativo, ma in alcuni anni per un’ora la settimana ci teneva lezione uno studente universitario, Schaumann.

Venivano uniti studenti di più classi?

Sig. Pontremoli: No

Sig. Falco: A me sembrava di sì…

Le lezioni si tenevano al mattino o al pomeriggio?

Sig. Falco, Sig. Pontremoli : Al pomeriggio

Sig. Falco: Mi ricordo sicuramente Schaumann, ma prima di lui ce n’era un altro, molto simpatico, che si chiamava qualcosa come Teicher o Teichter: erano studenti arrivati a Milano dall’ Europa orientale, come molti altri, che in genere frequentavano medicina.

Sig. Pontremoli: Mi sono chiesta anch’io come mai fossero tutti orientati verso medicina…

Sig. Falco: Per la loro lingua madre, tedesco, polacco o yiddish che fosse, lettere si poteva escludere ; ingegneria era forse troppo difficile ; medicina rimaneva l’ultima possibilità.

Sig. Pontremoli: Probabilmente avevano fatto il nostro stesso ragionamento: finita la terza liceo alla scuola ebraica, avremmo voluto andare all’università, ma purtroppo, come sapete, l’università non era per noi ; e allora abbiamo fatto tra di noi un referendum, per vedere che facoltà avremmo voluto frequentare. Il nostro ragionamento era molto chiaro: qui "mala tempora currunt", può essere che ce ne dobbiamo andare a breve, e quindi ci conviene studiare qualcosa che possa esserci utile anche in un paese straniero. Le lettere non ci servono a niente, mentre in un laboratorio di chimica possono sempre assumerci: e difatti abbiamo organizzato alla scuola ebraica un corso di chimica a livello universitario, con laboratorio, professori universitari e quant’altro. Purtroppo abbiamo poi dovuto interromperlo.

Gli studenti espulsi dalla scuola statale avevano quindi la possibilità di continuare a studiare alla scuola ebraica di via Eupili. Come era organizzata ? Si svolgevano gli stessi programmi della scuola statale ?

Sig. Pontremoli: Sì, gli stessi programmi che facevano i nostri compagni delle scuole pubbliche statali.

Chi erano i vostri docenti ?

Sig. Pontremoli: I docenti della scuola ebraica erano tutti professori di istituti pubblici o privati, allontanati come noi dalle scuole .

Il preside, Yoseph Colombo, era un uomo delizioso, una persona straordinaria. Non ricordo se venisse dal Beccaria o dal Berchet, ci faceva lezione di filosofia, era molto bravo, ma soprattutto aveva capito che era necessario creare un ambiente adatto, piacevole, attorno a dei ragazzi che poi, quando tornavano a casa, trovavano i problemi che potete immaginare…

Quanti erano gli studenti che frequentavano la scuola ebraica ?

Sig. Pontremoli: Non saprei dirlo ; in ogni classe saranno stati una ventina. Eravamo comunque solo milanesi, perché anche nelle altre città italiane, e soprattutto a Roma, si era organizzato qualcosa di simile.

Quante classi c’erano?

Sig. Pontremoli: Una sezione di liceo classico, poi c’era lo scientifico…Un po’ di tutto.

Vi risulta che dei ragazzi ebrei abbiano rinnegato per paura la loro religione?

Sig. Pontremoli: Se ce ne sono stati, non sono stati certamente molti. In qualche caso è successo che i genitori li abbiano fatti battezzare, ma questo accadeva dopo il 1938.

Abbiamo trovato nei registri un certo numero di studenti dal cognome inequivocabilmente ebraico che hanno continuato a frequentare il Manzoni anche dopo il settembre 1938. Ci chiedevamo come fosse possibile.

Sig. Pontremoli: Saranno stati figli di matrimonio misto: in certi casi si chiudeva un occhio…

Come erano i rapporti con i vostri compagni di scuola prima del 1938? Erano influenzati dal fatto che foste ebrei?

Sig. Pontremoli: No, nel modo più assoluto.

Da parte dei professori c’era qualche atteggiamento discriminatorio?

Sig. Pontremoli: Non ricordo che nessun professore abbia mai fatto qualche accenno antisemita. Rendetevi conto che noi ci consideravamo italiani di religione ebraica . Facevamo i nostri temi fascisti infarciti della retorica del tempo, eravamo Giovani Italiane o Piccole Italiane, io ero guardia d’onore della lapide dei caduti nell’atrio del Manzoni: proprio non c’era alcuna discriminazione tra noi e gli altri. Proprio per questo è stato così inaccettabile l’allontanamento dai nostri compagni , a scuola e fuori scuola. Prima ci si trovava, si organizzavano festicciole, si andava a ballare, poi più niente. Per fortuna avevamo la scuola ebraica.

Sig. Falco: Vi rendete conto di che cosa significhi avere delle amiche che da un giorno all’altro non si fanno più sentire? E questo a me è successo con le mie amiche del cuore.

Non le ha più riviste?

Sig. Falco: Mai più, mai più !E’ una cosa che per me è stata allucinante.

C’era qualcuno tra i docenti che si distingueva per idee fasciste?

Sig. Falco: Potrei forse dirlo col senno di poi. Vedete un po’ se questo si può dire fascista. Il professor Filippo Piazza era il nostro insegnante di lettere nel Ginnasio inferiore. Nel 1936, per le celebrazioni del cinquantenario della fondazione del Manzoni, ci fece imparare a memoria una poesia che diceva così:

" DI MARZO IL DICIOTTO / NEL QUARANTOTTO / FU AUGUSTO E FIERO / CON LO STRANIERO./ NEL TRENTASEI , / IN GRAZIA A LEI, / ESULTA IL MANZONI,/
NON GIA’ LE NAZIONI / CON LE SANZIONI ".

Qui c’è proprio tutto: le Cinque Giornate e il ’48, il Manzoni che esulta per il suo cinquantenario grazie al preside Pochettino che ha organizzato la cerimonia, c’è la guerra d’Abissinia, le sanzioni dell’Inghilterra contro l’Italia…

E’ stata in questa occasione che è stato posto il busto di Manzoni nell’atrio e inaugurata l’Aula Magna?

Sig. Falco: E’ probabile.

Sig. Pontremoli: Mi ricordo il bidello Diletti: era la persona più importante del Manzoni…

Sig. Falco: Era molto simpatico. Beh, insomma, sono notizie di prima mano…A parte gli scherzi, se vi interessa fare la storia del Manzoni non c’è dubbio che il 18 marzo del 1936 è stata organizzata una gran cerimonia per festeggiare il cinquantenario dell’istituto.

Qual era l’atteggiamento degli studenti di fronte alla propaganda fascista? C’era possibilità di dissenso, o di neutralità?

Sig. Pontremoli: Non esisteva dissenso né neutralità. C’era un’unica verità, quella del regime. Anche l’antifascismo di alcuni adulti era, per così dire, larvato. Mio padre, ad esempio, era di sentimenti antifascisti, era massone, ma nel contempo era monarchico. Eravamo tutti monarchici. Alcuni ragazzi, a volte, mi hanno domandato perché non ci fossimo ribellati alle imposizioni del regime. In realtà non ci veniva neanche in mente.
Di politica si parlava poco, le adunate erano oceaniche, e non tanto perchè così fosse comandato, ma perché ci andavamo spontaneamente. Ricordo che dovevo fare un saggio di ginnastica all’Arena ,e mio padre ,che non era dell’idea, mi aveva proibito di andarci. Che dispiacere! Tutte le mie compagne ci andavano, e io no ! Questo per dire quanto anche i giovani fossero conformisti.

Com’era il preside Pochettino?

Sig. Falco: Né grande né piccolo…Medio, direi. Era un fascista "ante marcia"…

Sig. Pontremoli: Mi ricordo i suoi discorsi dalbalcone dell’aula magna: molto altisonanti, molto fascisti…

Sig. Falco: Io ricordo la professoressa Robecchi, di ginnastica. L’amavamo molto: era molto fascista, ma molto brava e preparata. In seguito per un certo periodo venne ad insegnare anche alla scuola ebraica: era fascista, ma non antisemita. Il preside della scuola ebraica, il prof. Colombo, è stato molto aiutato dai suoi colleghi, anche non ebrei: la nostra scuola ha potuto essere organizzata velocemente e senza grossi problemi anche grazie ai tanti docenti che hanno fatto quello che potevano senza correre rischi.
Ricordo anche il prof. Ottolini, il mio docente di lettere al ginnasio superiore. Era un grande studioso di Foscolo. Gli sono ancora riconoscente per tutte le poesie che mi ha fatto imparare a memoria, e che ancora oggi ricordo.

I ragazzi seguivano delle lezioni di cultura militare. E le ragazze?

Sig.Pontremoli: Economia domestica, se mi ricordo bene.

Com’era al Manzoni la disciplina?

Sig. Pontremoli: Era molto rigida, e il comportamento in classe era molto tenuto

Potevate uscire dall’aula durante l’intervallo?

Sig. Falco: Sì, potevamo uscire nei corridoi, in cortile…All’intervallo mangiavamo la "cremonese", la vendeva il bidello Diletti. Io la compravo però all’angolo di via Lanzone: dove adesso ci sono tutte le boutiques c’era un panettiere…

Suo padre, signora Falco, era docente universitario di diritto ecclesiastico. Come ha vissuto le leggi razziali del ’38?

Sig. Falco: Mio padre, Mario Falco, era un docente molto quotato. Non esercitava la professione di avvocato, insegnava e basta. In seguito alle leggi razziali, dallo stipendio è passato alla pensione: un uomo con una famiglia, con due ragazze in casa, che prende la pensione di un vecchietto… Alcuni suoi amici molto cari, il prof. Calamandrei, il prof. Jemolo, il prof. Ruffini, gli passavano sottobanco dei lavori, tutte cause civili, che lui non firmava perchè non poteva farlo… Mio padre è morto, diremmo oggi, d’infarto…
Ma voglio raccontarvi come ,dopo la morte di mio padre, ci siamo salvati.
Nel 1943 eravamo sfollati a Ferrara, e il professor Arturo Carlo Jemolo , famoso docente di diritto ecclesiastico, molto affezionato a mio padre, ci ha offerto ospitalità a Roma. Erano i primi di ottobre ,non eravamo ancora nascosti…Tutte le tragedie si sono addensate in quei giorni, tra ottobre e novembre 1943.
Durante il viaggio in treno ,di notte, nella stazione di Orte, sentiamo dire : "Hai visto quel treno merci? E’ carico di ebrei…Li portano via…" Mia mamma, in una galleria, ha buttato via tutti i nostri documenti, per timore che ci bloccassero in stazione…Per fortuna non è successo. Il 16 ottobre c’è stata la retata nel ghetto di Roma, il 19 siamo arrivati noi… Siamo rimasti dall’ottobre ’43 al giugno ’44 , con nomi falsi, ospiti della famiglia Jemolo, una famiglia straordinaria, che per noi rischiava la pelle di continuo. A chi chiedeva qualcosa su di noi, raccontavano che eravamo dei loro parenti di Napoli …Sentite la mia parlata tipicamente napoletana? [l’accento della Signora Falco è chiaramente milanese] Sono stati stupendi.

Sig. Pontremoli: La mia storia è diversa. La mia famiglia era sfollata sul lago Maggiore: avevamo una villa tra Arona e Meina, proprio sotto la statua del San Carlone. C’erano i miei nonni, i miei genitori, amici ebrei e non ebrei…Eravamo in quindici, e facevamo una vita abbastanza tranquilla.
Mio nonno era una personalità, un fascista della prima ora, aveva un’azienda con mille operai, la "Rubinetterie Riunite". Era assolutamente convinto che a dei buoni italiani come lui e noi non potesse succedere niente di male…
Il 15 settembre ’43 arrivano in paese dei reparti di SS, che si fanno dare in comune gli elenchi degli ebrei residenti nella zona, e ce n’erano tanti…. Mio nonno, che era stato ufficiale di marina, aveva casualmente ritrovato ad Arona un suo ex marinaio...Questo ci telefona avvertendoci che stanno arrivando i tedeschi a prenderci...E così, nel giro di mezz’ora, ci imbarchiamo tutti su una barca a motore, e via per il lago…

Sig. Falco: Questo accadeva prima dell’eccidio di Meina….

Sig. Pontremoli: Sì ,certo. L’episodio è famoso: a Meina, all’Hotel Meina, c’era un gruppo di ebrei scappati dalla Grecia, da Salonicco - alcuni di loro erano anche parenti di miei parenti - perché avevano sentito dire che in Italia gli ebrei stavano bene, mentre lì la situazione cominciava ad essere grave…Si erano sistemati in questo albergo: le SS li hanno presi tutti, li hanno uccisi e buttati nel lago. Fine della storia. Noi, invece, per fortuna siamo stati avvisati in tempo… Insomma, stavamo attraversando il lago…C’era il coprifuoco, e la nostra era l’unica barca in giro…Quando arriviamo a Ranco il nonno dice: "Vedete che non è successo niente? Torniamo a casa a dormire!"
Mio padre non ne voleva sapere, ma mio nonno era una persona che si imponeva…E così riattraversiamo il lago. Stiamo per attraccare all’imbarcadero della nostra villa, quando mia mamma dice:" Lì sul molo c’è un tedesco che va avanti e indietro!". Per fortuna il soldato tedesco non guardava al di là del suo naso… Gira la barca, e via di nuovo…
Poi abbiamo chiesto ospitalità per la notte in due o tre ville di conoscenti, ma avevano paura… Alla fine una signora, a cui avevamo raccontato una storia, ci credesse o no, ci ha ospitato per la notte in cucina…
L’indomani ci siamo divisi: io e la mia famiglia, dopo molte vicissitudini, siamo riparati in Svizzera. I miei nonni, dopo aver cambiato chissà quanti alloggi, sono arrivati a Roma.
A noi è andata bene…Mi domando sempre come mai ci sia andata così bene…E’ quello che si domandava anche Primo Levi…

Sig. Falco: Mia nonna e mia zia, invece, probabilmente hanno tentato di raggiungerci a Roma da Ferrara. A Firenze avevano trovato ospitalità presso le suore del Carmine, delle religiose straordinarie, che aiutavano gli ebrei… Ma c’è stata una spiata, e le SS hanno fatto una retata nel convento proprio il giorno in cui la nonna e la zia erano arrivate…
E così sono finite prima a Verona, e poi ad Auschwitz, immediatamente, senza nemmeno passare per Fossoli, dove qualcuno se la cavava, o almeno si faceva una sosta…
A qualcuno è andata bene, mentre alla gran massa è andata male.

Avevate un’idea di dove venissero deportati gli ebrei?

Sig. Pontremoli: Assolutamente no.

Sig. Falco: Su questo posso darvi una testimonianza precisa, senza intermediari. Mentre ero a Roma con la mia famiglia, arrivò da Verona una cartolina di mia zia e mia nonna, che ci informavano di ciò che era loro successo e ci dicevano che stavano per essere trasferite, non sapevano dove. Non dissi nulla della cartolina a mia madre, che era già molto depressa, ma temendo il peggio chiesi al professor Jemolo che mi aiutasse ad avere notizie. Ma nonostante fosse una personalità ed avesse una grande entratura in Vaticano, il professor Jemolo non riuscì a sapere nulla. Ricordo anzi di essere andata con lui da un altissimo personaggio del Vaticano, che fu estremamente vago: ancora adesso non so se sapesse e non volesse parlare, oppure se effettivamente non sapesse. Io ero angosciata dall’idea che si potesse ancora fare qualcosa per quelle due donne, e mi tormentava il pensiero di non aver detto nulla a mia madre. Ma di mia zia e mia nonna non sapemmo più nulla. Quando Roma fu liberata, il 4 giugno 1944, molti di noi ragazzi e ragazze trovarono immediatamente un impiego, perché gli alleati avevano bisogno di collaboratori . Io conoscevo bene l’inglese e fui assunta in un ufficio finanziario che aveva sede nell’edificio della Banca d’Italia, in Piazza Venezia. Dopo qualche mese, andai a lavorare in un posto migliore, un’agenzia che sarebbe poi diventata l’ANSA.
Una mattina circolò per l’ufficio un foglietto scritto a macchina in cui si leggeva: "In Europa sono stati deportati più di cinque milioni di ebrei, e in buona parte sono stati portati in un campo che si chiama Oswiecim". Questo nome, che è il nome polacco di Auschwitz, mi rimase fitto in testa. Non avevamo mai saputo niente. Uno degli ufficiali alleati da cui andai a chiedere spiegazioni cercò di sminuire la notizia e mi disse che si scrivevano cose tanto pesanti per stimolare le truppe a combattere. Quella fu in assoluto la prima volta che sentii parlare di Auschwitz.

Sig. Pontremoli: Si pensava che al massimo fossero stati mandati in un campo di lavoro, tant’è vero che all’inizio si spedivano dei pacchi…Praticamente non abbiamo saputo nulla sino alla fine della guerra.
Sembra incredibile che in questo mondo dell’informazione non si sapesse niente di quello che succedeva là dentro.
Vi rendete conto?

Barbara Bagliani (II D), Federico Catalfamo (III C), Marco Croatto (III C), Giacomo Di Martino (III C) , Alessandra Maccotta (II D), Luca Marangoni (III C), Laura Olivi (II D), Luca Povoleri (III C), Alessandro Simone Samari (III F)
Milano, 27 gennaio 2003
Liceo-Ginnasio “Alessandro Manzoni”