LE TRE VEDETTE
I FRATELLI BESANA
A Barzanò, il 27 Settembre 1918, in una rustica casetta dall'aria
deliziosamente montanina, tutta verde di pampini all'ombra d'una
gran villa padronale, nasce Guerino Besana, ultimo per il momento,
di una già grossa nidiata.
Due anni dopo, il primo di Luglio, Carletto viene ad assumere
a sua volta la parte di ultimogenito che gli resta definitivamente.
Vite umili, condizione modesta, nessun segno premonitore se si
tolgano un eccezionale coraggio ed una schiettezza spinta allo
scrupolo, in entrambi. Orfani di padre, rivolgono il più delicato
affetto alla mamma che, sposate le figlie ed accasato pure un
terzo figlio maschio, il maggiore di tutti, vive con loro e per
loro.
Due bravi ragazzi: null'altro il popolo saprebbe dire nè immaginare.
Il Settembre 1943 li trova entrambi soldati: Guerino Guardia alla
Frontiera, Carletto Alpino.
Intorno a loro è lo smarrimento, la fuga, lo sfacelo miserevole
di un esercito senza guida. Essi tornano in Brianza, attendono
lo svolgersi degli eventi. Chiamate una dopo l'altra le classi
al servizio del governo d'imposizione, rifiutano nettamente d'obbedire.
da quel momento sono "fuori-legge senza onore"; e senza scampo.
Carletto parte per la Valsassina e rimane qualche mese con quei
partigiani a vivere l'audace vita del ribelle. Ma lassù i rifornimenti
scarseggiano, le possibilità di resistenza si assottigliano e
finiranno coll'esaurirsi se continueranno a mancare indumenti,
viveri e munizioni.
Nella mente di Carletto si forma un piano: robusto, pratico della
Brianza e di tutta la zona che si collega coi contrafforti montani,
perchè non potrebbe stabilire personalmente un servizio regolare
di rifornimenti?
Immediatamente il progetto si fa missione.
Sceso al piano, dove Guerino intanto vive alla macchia, inizia
una meravigliosa opera di fratellanza: due, tre volte alla settimana,
a piedi per lo più, talvolta con mezzi di fortuna, percorre la
trentina di chilometri che separano Barzanò dai Resinelli o da
Introbio, nei casi migliori fermandosi a Lecco dove altri dalla
montagna verranno incontro ai preziosi soccorsi. Collaudo di muscoli
e, più, di spirito: il carico è pesante, la strada infida, lo
spionaggio vigile; ma Carletto è allegro. Come quando, tra i compagni
alpini, faceva fotografie su fotografie da inviare alla mamma:
sempre con quel chiaro riso sull'adusta faccia; anche oggi con
quel riso, anche oggi contento di aiutare i fratelli, di lavorare
coi fratelli...
Entrato a far parte di un'organizzazione locale, quella del conte
Della Porta di Barzanò, intensifica l'azione di rifornimento affiancandole
altre attività richieste dal nuovo capo.
E' un puro: se gli parlano di compenso si abbuia, si offende.
Nella sua modesta casa entrano sacchi di viveri: ne escono intatti.
Un giorno una sorella, più che altro curiosa di vederne la reazione,
gli propone di togliere da un grosso involto un pugno di farina
"per la mamma". Il mite, l'allegro Carletto diventa un leone:
"Forse che non possiamo mantenerla noi, la mamma? Non pensi a
quei poveri figlioli là in montagna, che aspettano soltanto il
nostro aiuto? Non hai vergogna di rubar loro, fosse anche un boccone,
una briciola? Un partigiano deve avere le mani pulite".
Gran cuore popolano che hai dettato il più bel motto per il partigiano
vero!
Il 20 luglio 1944, incaricato di prelevare armi a Costa Masnaga,
parte con un compagno. Verso mezzogiorno è già sulla via di casa,
in vista di Barzanò, precisamente in frazione San Feriolo. Le
armi pesano nelle tasche.
Improvvisamente due ciclisti sbarrano la via con le macchine poste
di traverso. Forse un guasto? Ma non si riparano biciclette in
mezzo alla strada!
Non è difficile capire. Carletto e il compagno s'intendono cogli
occhi: retrocedere significherebbe attirare l'attenzione, affatto
indesiderata, dei due messeri. Proseguono, ma per passare scendono
nella cunetta ch'è di fianco alla strada. In quel momento le armi
pesano più che mai in fondo alle tasche.
Uno dei compari lancia un'invettiva, subito imitato dall'altro:
--Ehi voi, è quella la vostra strada? Vigliacchi!
Il pretesto è evidente; essi non sanno, non sanno ancora, ciò
che i due passanti portano addosso.
--Vigliacchi, volete forse scappare?
Colpi di rivoltella risuonano. Carletto è ferito in due punti.
Fuggire? No, sarebbe farsi ammazzare gratuitamente. reagisce,
spara a sua volta. Stavolta son gli altri i "vigliacchi" che si
dileguano.
Dolorante, con l'aiuto del compagno, Carletto si trascina a Barzanò.
E' sfinito, la vista oscurata, la coscienza appena sufficiente
a tenerlo in piedi; l'istinto lo dirige verso la casa del suo
organizzatore, il conte Della Porta. Là si abbatte esausto.
Soccorso, riprende chiara coscienza di ciò che avviene. Intorno
a lui stanno col conte alcuni compagni di azione clandestina:
visi noti. Ed il suo cuore ha un tuffo: la sua presenza li può
far compromettere tutti, può essere la rovina di tutti!
Un balzo -- ed ha un proiettile nel rene --:
-- Signor conte, mi lasci andare, mi lasci andare!
-- Ma sei matto! Rimani, ti nasconderemo, ti cureremo.
-- No, voglio andarmene, lasciatemi andare...
Andare! Non importano le ferite, la sfinitezza, il rischio. Carletto
non sente nulla, nulla teme se non il pericolo dei compagni. Devono
fargli forza per trattenerlo. E ancora, prega, scongiura; non
si regge, e tenta di partire; folle ed eroico, tutto fuoco di
devozione, tutto febbre di altruismo.
Vinto, rimane diciotto giorni degente nella dimora patrizia, dove
subisce anche un atto operatorio. Ma che degenza! Ogni poco al
conte giungono avvertimenti segreti: pericolo in vista. Nasce
allora un coperto tramestio: Carletto vien calato a braccia al
pianterreno, sorretto nella traversata del parco: là, all'ombra
di quella vetusta torre parata di verzura -- larva di Agilulfo,
forse guardi dall'alto di queste mura che furon tue? -- le figure
furtive si cancellano, scivolan via inavverite; giù fino al muro
di cinta, pronte a saltar di là se necessario... Diciotto giorni
così!
E intanto, sempre, un assillo: come faranno "lassù" senza rifornimenti?
-- Manderemo altri, stai tranquillo, Carletto.
-- Ma gli altri non sanno la strada. Io solo la so. lasciatemi
andare.
Assurdo, gran cuore di ragazzo, questo fuorilegge braccato come
un delinquente!
Chè lo cercano, adesso, rabbiosi e feroci. Vogliono lui o il fratello,
e minacciano l'iradiddio. Fucilazione per loro, impiccagione per
il conte... Evidentemente i sospetti sono forti, ma certezze non
ne hanno, se no a quest'ora qualche fulmine sarebbe davvero caduto.
Ad ogni modo, sulla testa di Carletto, dicono, c'è una taglia.
E in mancanza di Carletto, trasferitosi convalescente presso una
sorella a Casatenovo e là nascosto, in mancanza anche di Guerino,
rifugiatosi nei boschi di una località detta Costone che poi vengono
bruciati, minacciano di prigione la madre. Poichè la povera donna
è malata, la piantonano all'ospedale. Le figliole si offrono allora
per essere incarcerate al posto della mamma. Buon sangue, questo
dei Besana!
E' un fatto che la vita in Brianza non è più possibile per i due
fratelli. E poi c'è il richiamo possente della montagna dove i
compagni combattono e muoiono. Un giorno Carletto fa venire Guerino
a Casatenovo. Si abboccano, si comprendono, decidono di partire.
Poichè l'uno non è ancora bene in forze l'altro lo precede di
tre settimane, ma alla fine dell'estate sono entrambi nell'Introbiese,
aggregati alla Brigata Rosselli comandata da "Sam".
(Un particolare: prima che Carletto partisse il conte ha voluto
fornirlo di denaro. Lotta strenua; infine si rassegna ad accettare
cinquecento lire, ma c'è voluta mezz'ora!).
L'11 Ottobre 44 un rastrellamento nazifascista passa al setaccio
la valle fra Introbio e Biandino. Guerino è sulla mulattiera con
alcuni compagni; dagli altri pendii i nemici battono senza tregua
le strade; ci sono già morti e feriti, da una parte e dall'altra.
Guerino Besana potrebbe ripararsi come altri fanno; ma un patriota,
lì sotto, è rimasto solo, inginocchiato coll'arma in posizione
di sparo; forse è colpito, chissà. Comunque, Guerino non lo lascerà
solo all'azione: partigianeria vuol dir fratellanza di sangue
oltre che di fede e di sorte. |
Rimane. E' investito da una raffica di mitraglia. Ferito a un
piede, a un braccio, al viso, gravissimo all'addome.
S'abbatte. Morirà lì? All'improvvisa, enorme stanchezza fisica
il pensiero è quasi consolante. La montagna offre un letto bruno
e oro che colora d'autunno per l'ultimo sonno.
Un pensiero folgorante. Il capo, i compagni lassù in Biandino
nulla sanno dell'arrivo nemico; se si lasciano sorprendere, il
reparto è perduto. Gran Dio, avvertirli! Ma come?
Il corpo straziato s'aggrava sul buon letto che odora della placida
morte universale; dolce finir lì, tranquillo, immerso nella cara
terra che s'apparecchia al riposo.
Ma lo spirito vigile è una sferza: su in piedi, su presto, chè
non muoiono i fratelli! Su avanti, per la salita erta, su sempre,
irrigidendo la caviglia ferita, comprimendo l'addome squarciato,
su in tempo, gran Dio!
Dalla piaga orrenda le viscere traboccano, morbide e calde, nelle
mani convulse. E' la fine? Non ancora, non ancora, gran Dio!
Le pietre grosse e mobili scrosciano, franano sotto i piedi annaspanti;
la vista s'oscura: dov'è la strada? Ecco a sinistra l'erta del
monte, a destra il vuoto della valle col torrente nel fondo; in
mezzo, in mezzo è la strada, con le grosse pietre che si costellan
di sangue. Ma il sangue, Guerino non lo vede, non lo sente stillar
dalle vene. Su ancora, su sempre; giunger morto, ma giungere,
che comprendano dal suo cadavere il pericolo!...
Lo trovano nei pressi di una grotta formata da un gran sasso di
roccia, alle cinque di sera. Era stato ferito alle sette del mattino.
Pure l'eccezionale robustezza gli consente ancora un rimasuglio
di vita. Portato nella grotta, assistito dal fratello subito accorso,
è ora tranquillo: ha assolto la volontaria missione, può morire
in pace.
Lenta ma placida l'agonia dopo il gran tormento. Alle 23,30 tra
le braccia fraterne dolcemente si spegne.
Chiusa la giornata di spasimo e d'angoscia, insieme con la giovane
vita, nel silenzio dell'augusta notte montana.
Inginocchiato sulla nuda terra, Carletto contempla il fratello
dormente. Non l'abbandonerà, perchè insistono i compagni? Pericoloso
rimanere? Lo sa, ma Guerino non deve star solo, non deve, nell'attesa
della sepoltura, restare esposto ai morsi dei cani-lupo che battono
la valle coi nazifascisti.
All'imboccatura della grotta eleva un muretto di pietra; solo,
accurato, tranquillo. Soltanto quando avrà finito potrà allontanarsi
con la coscienza serena.
Ma nella pietosa opera lo sorprendono i nemici. Attendersi da
loro umane considerazioni sarebbe follia; senza resistere Carletto
li segue. |