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Sin qui però -- è circa mezzanotte -- niente
di nuovo: i soliti fermi di macchine, qualche disarmo più
o meno pacifico; nient'altro. Senza la preoccupazione pei
lontani tutto andrebbe anche troppo liscio. A turno gli
uomini si recano al rancio, a un po' di riposo. Sul crocicchio
stanno i serventi della mitragliera con altri del blocco,
lungo i ciglioni gruppetti sparsi e nascosti. Nottataccia:
a intervalli piove.
A un tratto rombo di motori sulla discesa che vien da Barzago.
I primi a distinguere di che si tratti sono tre che hanno
preso posizione un po' in su lungo il declivio: Francesco
Giovenzana, Giovanni Preda e Carlo Zappa. Scorgono un'auto
seguita da un camion. Senza pensarci un attimo si fanno
sotto con bombe a mano e pistole a dare l'alt.
Quelli sparano. Energica replica dei tre che riescono a
ferire gravemente un ufficiale nemico. Ma le forze avversarie
sono tali che tre uomini non possono sperare di averne ragione;
resistono tuttavia anche quando alcuni fascisti li circondano
per catturarli. Ma ritirarsi non possono per la fittezza
del fuoco incrociato; la resistenza diviene follia: bisogna
arrendersi.
Fatti salire sul camion, vengono uniti al s. ten. Degli
Occhi e ai suoi, e legati insieme al posto di supplizio.
Sono convinti di morire; Zappa si rivolge a Giovenzana:
-- Hai fatto male a comprare la bicicletta proprio ieri:
dodicimila lire buttate via. --
Risponde l'altro: -- Che farci? La venderà mio padre. --
Convinti di morire, ma lo spirito non cede.
Interrogatorio: altri partigiani sulla strada? Quanti, dove?
Giovenzana risponde: -- Non c'è niente; siete voi che avete
paura.
Poco persuasi riprendono però la marcia; la discesa è quasi
al termine. Minuti che sono secoli, sottolineati dal ronzar
del motore e dal fruscio delle gomme sull'asfalto bagnato.
-- ALT!
Una parola minima: l'inizio dell'inferno.
Da bordo i puntatori fascisti rispondono con tutte le armi
pesanti e leggere mentre altri si prodigano coi pugnali
e baionette addosso ai prigionieri nel sadico affanno di
farli star ritti. I margini della strada che sembravano
inerti nella loro ombra di bosco, improvvisamente si mettono
a vomitare ferro e fuoco; davanti, la mitragliera comincia
sua volta la sua canzone di morte -- e la scia luminosa
dei suoi traccianti, della morte fa visibile il volto che
arriva, piomba, fulmina... Attimi di disperazione.
Incuranti d'altro, i prigionieri si gettano sul fondo del
camion che crepita e si squassa sotto i colpi; con percosse
e minacce li fanno rialzare ordinando che gridino i loro
nomi perchè cessi la tempesta micidiale. Gridano, disperatamente.
Non li sentono; i colpi infuriano; molti fascisti cadono
ed i gemiti si mischiano agli scoppi. Ancora gridano. Il
fuoco rallenta, cessa.
Quelli di Bulciago hanno udito; non i serventi della mitragliera
assordati dal loro stesso fuoco, ma altri piazzati fuori
dal crocicchio, Roda, Rovelli, Isella che sono i garibaldini
di Renate. Si precipitano giù; la mitragliera spara sempre.
-- Non sparate siamo dei vostri! -- L'urlo angoscioso si
perde nel frastuono. Sul camion uno è in piedi a braccia
aperte. Dal margine della strada si grida: -- Fatevi riconoscere!
--; qualcun altro dunque ha udito, sa che sulla macchina
tragica ci sono dei patrioti, forse, che non bisogna, Dio
santo, colpire. Ma la mitragliera non smette di tuonare.
Roda arriva al crocicchio, urla: -- Cessate il fuoco! --
Non sentono. Dall'alto di Bulciago si grida: -- Sparate,
son cani fascisti! --
Buio e fragore: le note dominanti.
Non si vede, non si distingue nulla: ombre confuse tra i
piovaschi, suoni che si accavallano, senza provenienza nè
meta certa.
-- Non sparate, siamo dei vostri! -- Seguono nomi, nomi
noti dei paesi...
Finalmente il disperato ritornello è inteso anche da quelli
della mitragliera; credere, non credere? Qualcuno ripete:
-- Sono cani fascisti!
Quasi a risolvere la situazione, per proprio conto, la grossa
arma s'inceppa. Silenzio. Qualche colpo ancora. Silenzio
assoluto.
Sul camion gli ostaggi si cercano in viso. Tutti, ci son
tutti! Ma è vero? Tutti: il miracolo è vero: NESSUNO E'
STATO COLPITO. Il Dio dei patrioti è giusto.
Ma giù al crocicchio non sanno e disperano: "abbiamo ammazzato
dei nostri". Il pensiero si smarrisce di fronte a questo
orrore.
Frattanto, un po' più in alto sulla strada di Cassago, nello
stabilimento dov'è la sede del Comando, il Commissario di
Guerra Rivolta si è attaccato al telefono e chiama da Costamasnaga
rinforzi che scendendo al crocicchio per la comunale di
Bulciago potrebbero battere il fianco destro della colonna
fascista; da Casatenovo a Barzanò altri rinforzi che ne
prenderebbero il tergo arrivando dall'incrocio di Bevera.
Giunge in quel momento una macchina con alcuni patrioti
che sono andati a Besana a visitare il ferito Rabot; il
Commissario vi si butta e senza nemmeno far scendere quelli
che vi si trovano corre a Cassago e Renate a far affluire
tutti quei partigiani, i quali potranno attaccare il fianco
sinistro; prosegue poi per Villa Raverio e Besana, allo
scopo di chiamare il grosso della 176 garibaldina di stanza
a Besana (telefonicamente quei paesi sono fuori rete). Ma
disgraziatamente appena fuori di Renate la macchina sbanda
e va a fracassarsi contro una pianta; ne escono tre uomini
malconci; il Commissario con una forte contusione frontale
e sintomi di commozione cerebrale, gli altri con ferite
alle spalle e alle gambe. L'autista, illeso, li accompagna
dal medico condotto di Renate, presso il quale la sosta
è inevitabile.
Laggiù al crocicchio è intanto avvenuto un fatto nuovo:
i fascisti hanno mandato un ostaggio a parlamentare, con
l'ordine di tornare pena la fucilazione di tutti gli altri
prigionieri. Assuma informazioni sulle forze patriote in
campo; se son poche riferisca ai fascisti, se son molte
tratti, offrendo la restituzione degli ostaggi contro strada
libera.
Roda che si trova avanti al crocicchio vede un'ombra muovergli
incontro. Balza avanti, l'affronta: -- Che vuoi?
L'altro non parla. Amico, traditore, nemico? A buon conto
gli dà due schiaffi: -- Parlerai adesso?
Parla, ma a stento. Altro schiaffo per accelerare il processo
vocale; vengono frasi staccate ma finalmente comprensibili:
il metodo è buono. E' un ostaggio, è mandato dal colonnello
fascista, deve riferire sulle forze partigiane...
A sì? Roda spara grosso: siamo 200 qui, 400 di là, armi
potenti...
-- Verremo a prenderli noi, i prigionieri. Va a riferirlo.
-- No, mi ammazzano.
E' un ragazzo timido, terrorizzato; non è certo un partigiano
di vecchia data. Il suo smarrimento è umano, ma là sul camion
diciannove uomini aspettano in ansia mortale... Roda gli
punta l'arma addosso:
-- Va o sparo. Uno, due... -- Al tre il ragazzo fila come
un lupo...
Non torna sul camion.
Ma forse i fascisti ritengono che sia buona cosa serbare
gli ostaggi per servirsene in altra occasione, e non li
ammazzano. Tengono consiglio. Dalla strada qualcuno grida:
-- Arrendetevi, siete circondati da un battaglione.
Si guardano. Non credono, ma temono. Inoltre l'auto del
comandante e il camion sono sfondati. Decidono di tornare
sui loro passi in attesa di rinforzi e dell'alba che permetta
di distinguere la verità.
In mancanza di mezzo di trasporto i prigionieri vengono
fatti retrocedere a piedi, accoppiati e avvinti strettamente
con corde, incolonnati in testa agli automezzi che si muovono
a passo d'uomo. Sotto l'acqua, stanchi, doloranti e angosciati
sono di nuovo all'incrocio di Bevera. Altri interrogatori,
estenuanti e inutili. Fermi attendono.
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DANTE FERRARI
di anni 32
Nato a Torrile
Morto a Bulciago
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GIUSEPPE FILIGURA
di anni 27
Nato a Nibionno
Morto a Bulciago
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GINO FORNARI
di anni 29
Nato a Traversetolo
Morto a Bulciago
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CARLO FUMAGALLI
di anni 20
Nato a Bulciago
Morto a Rovagnate
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UGO FUMAGALLI
di anni 18
Nato a Cremella
Morto a Rovagnate
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GIUSEPPE GIUDICI
Nato a Nibionno
Morto a Bulciago
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COSTANTE GIUSSANI
di anni 32
Nato a Nibionno
Morto a Nibionno
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