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LA LIBERAZIONE

GIORNATE DI LUCE

Scoccata l'ora, l'insurrezione nella nostra zona si manifesta sotto due aspetti prevalenti: disarmi di presidi militari e fermi di macchine. Nello stesso tempo, un occhio agli stabilimenti da eventualmente difendere, un altro ai Comuni; e, per assicurare il rapido contatto fra i diversi gruppi operanti, ecco la presa di possesso dei centralini telefonici, importantissimo fra tutti quello di Missaglia dove si insedia dalle prime ore il cap. ing. Sala di Viganò.
In ogni paese l'interessamento dei patrioti si volge immediatamente alle guarnigioni armate ove c'è da gustare un bel colpo. Però anche questa azione essenzialmente bellica, non essendo improvvisata ma al contrario prevista e prevalutata, ha dappertutto una fase introduttiva caratteristica: le trattative, naturalmente più o meno laboriose.

25/4 -- A Lambrugo, già alla mattina del 25, Umberto Rivolta va a mettere in subbuglio il Parroco don Arrigoni che, poveretto, in pantofole e coll'animo occupato da più pacifici pensieri, non se l'aspettava tanto presto.
-- Cosa? Trattare la resa con quelli della P.S.? Va bene, ma proprio così subito?
Subito. Giocoforza è lasciare le pantofole per meno comode calzature ed avviarsi. Il comandante della P.S. ha fama di uomo feroce. Forse nell'animo del buon sacerdote stanno fluttuando i ricordi dei momenti emozionanti di quand'era cappellano degli Arditi di guerra...
Ma l'uomo feroce non c'è. Dicono che sia andato, nella notte, sulla provinciale, in attesa d'esser chiamato in rinforzo dalla... già disarmata caserma di Tabiago. Comunque stiano le cose, il fatto è che don Arrigoni trova soltanto dei militi previdentemente mimetizzati in borghese, e molta roba sparpagliata qua e là. Gli approcci si concludono con la consegna di parte delle chiavi; le altre si troveranno... su di un sasso.
Nella medesima giornata una pattuglia di patrioti del luogo procede al disarmo e all'arresto dei fascisti, mentre un'altra pattuglia rapidamente si porta a Pomellasca dove, sopraffatti i piantoni dell'infermeria e scuderia dell'SS italiana, s'impadronisce di quanto rinviene.
I Lambrughesi, che in cospirazione erano comandati da Luigi Conti, il giardiniere di Casa Puecher al quale il Rivolta dava le direttive, aggiuntisi loro altri elementi prima autonomi, hanno nominato comandante per l'azione scoperta il cap. Italo Moro. Possono essere soddisfatti della loro prima giornata insurrezionale: buon bottino e niente perdite.
Armi e munizioni raccolte saranno poi durante la notte consegnate, a richiesta, al Comando di Zona stanziato a Bulciago; ma il disarmo di una macchina tedesca li rifornirà nuovamente abbastanza bene.
Frattanto anche nel vicino paese di Lurago si è incominciato a lavorare. Tramite il Prevosto don Abramo Mauri, nella casa di quest'ultimo è stata trattata la resa fra il comandante della Puecher ed il comandante delle SS di stanza nelle Scuole luraghesi, ten. Pesce, ma questi, tuttora incerto sul da farsi, ha rinviato ogni discussione alle 9 del mattino seguente.
A Casatenovo il primo fatto bellico avviene per opera di "Tom". Il giovanissimo patriota di Villa Raverio, che è da poco reduce da una delicata missione esplorativa alle fortificazioni padane nel Cremonese -- una bomba a mano tiratagli dietro si è limitata a costellargli di schegge le gambe, per ricordo --, rientrato in sede non ha perso tempo, riuscendo ad attrarre nella propria organizzazione uomini di Calò e Casatenovo fino a raggiungere la cinquantina di adepti in cospirazione. Il 24 sera ha partecipato al disarmo di Tabiago ed ora, saputo che a Casate c'è una mitraglia in mani fasciste, vi si affretta con alcuni fedeli... per trovare che la mitraglia s'è ridotta alle modeste proporzioni di un mitra. Pazienza, buono anche quello! Intanto l'occasione è propizia per istituire posti di blocco sulle strade.
Nel frattempo da Milano arriva a Casatenovo, in bicicletta, il maggiore Contini il quale, lasciato un gruppo di sue Fiamme Verdi a Canonica, per il collegamento col Milanese, si dedica a sistemare la difesa dello stabilimento Vismara.
A Barzanò, dove risiedono le 400 SS e PS italo-tedesche, le cinquantina di SS "lavorate" da Peppino Besana non hanno aspettato la resa ufficiale per consegnare le armi, dando così modo ad Ambrogio Casiraghi, uomo che ignora il fatto fisico della paura -- girarsene senza documenti e con le armi in tasca era per lui un'azione semplicemente normale -- di passare sotto il naso delle esterrefatte sentinelle di guardia a villa Della Porta, con un fascio di fucili issati sulle spalle.
Le trattative di resa, iniziate dal Parroco di Barzanò, don Redaelli Antonio, vengono condotte dal conte Della Porta in uno scenario piuttosto insolito per avvenimenti storici: tra le insalate e i piselli del suo orto.
Alla dialettica del diplomatico il tedesco nicchia; che non ci sia più nulla da fare lo capisce anche lui, ma la dignità vuol la sua parte. Siano presenti forze partigiane numericamente... decorose, e si rassegnerà a cedere le armi. Si accordano infine per le 6 del mattino successivo, ora in cui le forze desiderate potranno trovarsi raccolte.
Negli altri settori si lavora ai fermi di macchine, che di mano in mano vengono avviate, con le armi requisite, al Comando di Bulciago.
Sulla provinciale Bergamo-Como, nel tratto di loro giurisdizione, gli uomini della Puecher non perdono tempo. Da Tabiago, Nibionno, Bulciago sono calati sul lungo nastro asfaltato dove le ruote nazifasciste guizzerebbero tanto volentieri verso il lontano Brennero -- i primi passaggi sono infatti avvenuti in prevalenza nella direzione di Bergamo -- senza quegli ostacoli umani sbucati improvvisamente, sembra dai fossati e dai cespugli dei margini stradali.
Una di tali macchine dà alla Puecher il battesimo del sangue versato in battaglia; ed è il sangue del generoso "Rabot".
Appostato con un compagno, "Sas", sulla provinciale, questo ardito e attivo partigiano, dopo aver operato già numerosi disarmi e procurato munizioni, intima l'alt ad una macchina occupata da cinque militari germanici. Quelli si arrendono senza discussione ma, mentre Rabot si china a raccogliere le armi nell'interno della vettura ed il compagno li tiene a bada, uno dei teutoni spara a tradimento contro Rabot colpendolo al fianco ed in più punti della mano sinistra. Immediatamente gli altri SS, ringalluzziti, riprendono posizione di offesa. Rabot è rimasto solo, perchè il compagno si è gettato in disparte per tentare con una certa efficacia la reazione; è gravemente minorato; non importa, non si dà per vinto: prigioniero dei tedeschi, mai! Risponde con disperata energia al fuoco dei traditori e riesce infine a volgerli in fuga.
Richiamati dai colpi ed avvertiti da Sas, che da parte sua ha ferito, forse ucciso, due dei tedeschi, altri patrioti accorrono: la macchina dei germanici è sparita, ma, quel che è peggio, sparito è anche Rabot. Cercano, frugano nei boschi vicini, inutilmente. Finiscono col pensar male; povero Rabot, dopo aver fatto tanto, essere eliminato alla prima schermaglia!
Lo troveranno più tardi a Bulciaghetto, malconcio e furioso di dover abbandonare la lotta al momento buono; ma naturalmente dovrà rassegnarsi e lasciarsi accompagnare all'ospedale di Besana.
Non è il solo, del resto, che dopo aver prodigato tutto se stesso nel periodo cospirativo, deve starsene lontano del campo di battaglia quando più esaltante sarebbe la partecipazione al fianco dei compagni: anche Vittorio Giussani, l'uomo "a tutto fare" del S. Salvatore, è in ospedale, a Carate, col tifo; incapace di restarsene in disparte, ne scapperà presto con l'intenzione di venire a mettersi a disposizione dei suoi capi... riuscendo invece a mettersi a letto con 40 di febbre.

26/4 -- Ormai l'odor di polvere è nell'aria e gli uomini sono accumulatori carichi. Su e giù per le strade tutta notte, snervati se l'attesa si prolunga, elettrizzati da ogni rombo di motore. Sulla provinciale il servizio di pattuglie è intensivo. 2 dei briganti neri di Rovagnate perdono una moto, un mitra e rivoltelle per opera di Nino de Marco e Sas, accumunandosi nella sorte ai numerosi tedeschi privati di veicoli ed armi dai ribelli che "infestano" i dintorni. Ognuno dei patrioti ha i suoi begli episodi da raccontare, ognuno si è fatto "infestatore" di strade e non è per nulla umiliato. Le maledizioni dei nazifascisti interrotti nella fuga non arrivano al segno.
Verso mattina un colpo grosso: un'intera colonna fermata nei pressi di Bulciago; numerose le macchine e numerosi gli uomini -- tedeschi -- che vanno a riempire i capannoni dello stabilimento Masciadri dove ha provvisoria sede il Comando. C'è poi una mitragliera da 20 che più tardi farà parlare di sè.
Alla brillante operazione hanno partecipato anche uomini venuti da Bevera-Barzago (Isella Franco, Besana Egidio, Ratti Angelo, Mapelli Mario, Fumagalli Pasquale e altri).
Questi, con parecchi altri volontari di quelle località, sono messi agli ordini del sottotenente Degli Occhi Adamo, di Bevera, per il quale la parola LIBERAZIONE assume oggi un significato fisico, oltre che morale e sentimentale.
Per ben 19 mesi questo giovane, col fratello sottotenente Luigi, ha vissuto nella sua casa appartata dal mondo -- soltanto verde di campagne intorno -- la tormentata vita del "disertore". Solitudine, allarmi, fughe improvvise, angosce d'ogni ora, esistenza da delinquente evaso dal carcere... Certo l'alba di questo 26 Aprile è stata per i due fratelli veramente apportatrice di luce!
Messisi a disposizione del Comando, i due giovani vengono incaricati del controllo della zona Bevera-Barzago-Brongio-Dolzago, dove provvedono immediatamente ad armare i volontari valendosi anche di armi fornite dai signori Viganò e Tosi di Bevera. Luigi Degli Occhi si assume il disimpegno dei servizi, mentre il fratello dà inizio ai propri compiti recandosi ad avvertire il podestà di Barzago... che l'autorità è cambiata.
Nella stessa mattina, alle 6 come previsto, avviene il disarmo delle SS di Barzanò. Presenti le forze locali, oltre a quelle di Casatenovo e Bulciago e ad elementi di altri reparti -- circa 200 uomini per salvaguardare la dignità degli arresi che tuttora brontolano: doversi arrendere a 4 scamiciati! -- moltissime armi vengono a cadere ad una ad una ai piedi dei trionfatori. La scena nel cortile di villa Della Porta, è suggestiva; carabinieri in divisa guardano l'ingresso dove fino ad ieri s'inquadrava il khaki delle odiate divise.
76 prigionieri vengono di primo colpo avviati alle Scuole del paese, quelle stesse che ospitavano le armi che ora si ammucchiano nel cortile Della Porta.
A Lambrugo si è continuato il pattugliamento delle strade; un gruppo lambrughese si porta a Lurago dove alle 9, doveva avvenire l'abboccamento fra il ten. Pesce delle SS ed il comandante Sasinini; ma quest'ultimo, altrove occupato, non si presenta; comunque il capo nazifascista decide di trasferirsi con uomini e materiali ad Alzate Brianza, sulla via di Como, lasciando libera Lurago. Ciò che effettivamente provvede a compiere; soltanto che i suoi progetti restano a mezzo, perchè un manipolo di partigiani luraghesi, piazzatosi all'incrocio delle grandi strade Como-Bergamo, Milano-Erba, si dà a rincorrere i fuggitivi raggiungendoli e facendo bottino di cavalli e materiale vario.
Allo stesso crocicchio, detto di San Rocco, poco dopo mezzogiorno partigiani di Lurago e Lambrugo fermano un'automobile ed una motocarrozzetta recanti a bordo tre germanici, due soldati ed un ufficiale, il ten. Hans Jabtia. Mentre i soldati si arrendono l'ufficiale ha uno scatto e tenta di sparare. Immobilizzato si divincola, ma è freddato sul colpo.
I patrioti di Lurago hanno avuto in Viganò Enrico ("Rosso") un energico comandante. Questo giovane appartenente ad una famiglia di audaci: il fratello Luigi, a seguito di un'attivissima opera clandestina, è stato arrestato nel Dicembre del 44; due sorelle subiscono pure il carcere fascista, come anche il padre, imprigionato per far "saltar fuori" una delle figlie per il momento introvabile (questa ragazza sarà poi decorata di medaglia d'argento dal Comando Alleato).
Il "Rosso" dal canto suo non viene meno alla tradizione famigliare. Dopo aver organizzato il suo gruppo comunista, nascosto in casa propria documenti e radio clandestina, nei giorni della liberazione partecipa attivamente allo sgombero della zona dall'immondizia hitlero-mussoliniana.
Lasciati alcuni dei suoi in presidio a Lurago, nella mattinata del 26 si reca a Inverigo per cooperare al disarmo di quel distaccamento SS.
La stessa cosa fanno i partigiani di Lambrugo, al comando del cap. Italo Moro che muove verso Inverigo col grosso del suo reparto, facendo per via prigionieri e chiudendo gli accessi al paese.
A Inverigo, dove il presidio tedesco è forte, il Commissario di Guerra Rivolta aveva già in cospirazione avvicinato Arturo Rigoni per... tastare il terreno. -- Siamo già a posto -- aveva assicurato il Rigoni, al che "Sandri" aveva replicato: -- Se vi sarà bisogno, da buoni vicini ci daremo una mano.
Adesso a Inverigo occorrono diverse mani. Le SS fanno resistenza e accampano pretese. Ai tentativi di approccio compiuti dal valoroso col. Donà, comandante di quel Gruppo Patrioti della formazione Lariano-Ticinese, e dell'avv. Luigi Meda, rispondono tergiversando. All'azione combinata dei partigiani locali, di Lurago e Lanbrugo rispondono col fuoco. Dimostrano insomma cattivo carattere, ma per fortuna trovano pane per i loro denti.
Quattro patrioti lambrughesi (Porro Edmondo, Porro Angelo, Curioni Alberto, Rossini Carlo), che già a Lurago avevano disarmato tre fascisti, si imbattono ad Inverigo, davanti al caffè Strazza, in due marescialli SS che affrontano e pure disarmano. Così rafforzati si avviano verso la caserma per aiutare gli altri che l'hanno circondata. Notano una mitragliatrice che da posizione favorevole batte i nostri sul fianco, e cercano di attaccarla. Ma ecco dei tedeschi uscire dal presidio facendosi scudo con alcuni bambini che si spingono innanzi: naturalmente le armi dei patrioti tacciono di colpo.
L'espediente è vile quanto efficace: i germanici riescono a circondare i pochi animosi; ma fanno i conti senza il sangue freddo partigiano: Porro Edmondo non si lascia smontare e inattesamente lancia diverse bombe a mano in modo da non colpire i bambini, aprendosi così un varco dopo aver messo fuori combattimento alcuni tedeschi. Quelli reagiscono: una raffica di mitra investe l'audace centrandogli anche la tasca dove tiene altre bombe, che scoppiano.
Mentre il Porro è a terra, ferito in diverse parti del corpo (verrà poi trasportato all'ospedale di Giussano), i suoi compagni sopraffanno e privano delle armi i tedeschi cui nulla è valso ricorrere alla più bassa vigliaccheria.
Intanto il cap. Moro, il "Rosso" di Lurago e gli altri proseguono nell'attacco, unendosi poi alla discussione delle trattative.
I tedeschi sembrano a poco a poco piegare verso più ragionevoli consigli, pur sempre insistendo nella pretesa di lasciare sì Inverigo, ma in armi, e di raggiungere Erba indisturbati ed al completo di armamenti e munizioni. La condizione è davvero indisponente, tanto che i partigiani si decidono a chieder rinforzi al Comando di Bulciago per indurre i teutonici a calare le arie.
E' il s. tenente Adamo Degli Occhi -- che nel frattempo ha condotto a Bulciago un grosso automezzo tedesco requisito dai suoi uomini -- a ricevere l'appello di Inverigo trasmettendolo al Commissario di Guerra. Questi organizza la partenza: andranno, con lui, il camion del Degli Occhi carico di una trentina di uomini, ed un camion della 176 Garibaldina chiamato da Costamasnaga.
Quando arrivano ad Inverigo, i tedeschi hanno ottenuto di raggiungere Erba armati e scortati da 10 partigiani. Il Commissario interviene per dirigerli invece verso Barzanò, ma i tedeschi insistono per partire armati. Discussione. Intanto i partigiani scendono dagli autocarri e si mischiano ai germanici. -- Camerata, camerata! -- Commovente spettacolo di fratellanza... Quando improvvisamente a un cenno di "Sandri" i camerati patrioti si buttano addosso ai camerati teutonici -- che veramente non desideravano altro -- e li privano elegantemente delle armi. Adesso il comandante può sbraitare, se vuole: armati non si parte piu!
Un ultimo sprazzo di testardaggine prussiana: il comandante non vuol cedere la propria rivoltella. Va bene l'onore delle armi a un soldato che infine se la meriterebbe; ma il Commissario di Guerra, che dovrebbe ospitare nella propria macchina -- ed è disarmato -- l'ufficiale tedesco, non se la sente di considerare con simpatia il punto di vista del proprio interlocutore; ragion per cui ricorre ai metodi sbrigativi ed afferra la contesa rivoltella per la canna; l'altro la trattiene per il calcio e ne nasce un tira e molla piuttosto esilarante, finchè il Rivolta, persa la pazienza, punta... un dito alle costole del tedesco che al contatto sospetto alza prudentemente le mani.
E la questione è brillantemente risolta.
Circa 60 prigionieri -- buona parte dell'intero presidio -- sono così avviati a Barzanò a far compagnia a quelli che vi stanno ammassati (Il conte Della Porta rende al comandante tedesco l'arma provvisoriamente sottrattagli, cavalleresco riconoscimento al valore sfortunato).
Siamo così arrivati alle 16 circa della seconda giornata di insurrezione.

 
 
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Irene Crippa
Renate Brianza, 6 novembre 1945
Editore originale: Stefano Pinelli - Milano
Trascrizione per Internet: Enrico Spreafico mail:sprea@libero.it