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Un'altra maglia viene aggiunta alla rete per mezzo di Irene
Crippa, residente a Renate, la quale in tempo repubblichino ha
sospeso completamente la sua attività di scrittrice già limitata
dal suo costante rifiuto della tessera P.N.F. sostituendola con
lezioni di lingue a studenti sfollati. Fra un verso di Shakespeare
e la teoria degli accenti greci la puntarella politica ci scappa
volentieri... e le anime tenebrose si riconoscevano e s'accordavano.
Fra gli alunni di sfollamento c'è dal '43 il giovanissimo figlio
di "Sandri", Francesco Rivolta, che sarà poi staffetta della Puecher
col suo bravo nome di battaglia; e tra le relazioni "tenebrose"
vi sono alcuni partigiani scesi dalla montagna ed ospiti dello
stabilimento Masciadri di Bulciaghetto. A costoro, forestieri
nella zona, necessita d'urgenza un allacciamento con le forze
locali, e naturalmente lo chiedono a chi reputano in grado di
stabilirlo. D'altra parte, le formazioni tenute in collegamento
da "Sandri" giudicano utile un contatto che procurerebbe l'apporto,
oltre che di uomini e di armi, degli automezzi e delle larghe
risorse finanziarie dello stabilimento suddetto. Così, tramite
il greco e il latino, avviene l'allacciamento col
GRUPPO PIETRO SASININI ("SAS") - BULCIAGO
Sas viene dal Mottarone dove s'è rifugiato il 12 Settembre
'43.
Vissuto il duro inverno dei ribelli e l'intensa primavera caratterizzata
dalla caccia alle armi e dall'organizzazione propriamente militare
della valorosa compagine partigiana, appunto in primavera incontra
chi dovrà essergli fedele compagno, l'arditissimo "Rabot" (Cantoni
Antonio) dal pugno micidiale, già organizzato con altra squadra.
Eseguito l'agganciamento delle formazioni, i due partecipano
alle operazioni in Valsesia e all'occupazione di Gozzano, Borgomanero
e Omegna; assaggiano l'amara sorpresa del tradimento di Gravellona
Toce che dopo aver fatto buon viso ai patrioti versa loro sul
capo acqua bollente e mazzi di fiori contenenti bombe. In seguito
all'offensiva nazifascista dell'agosto devono riparare a Massino.
E da lì ha inizio una campagna a base di disarmi, attacchi e
trattative audaci che porta Sas, attraverso molte peripezie,
in Brianza dove Rabot, da lui chiamato, lo raggiunge più tardi
con un compagno (John).
Ospitati entrambi nel medesimo stabilimento, vivono una strana
e rischiosa vita a contatto coi tedeschi e fascisti che frequentano
quotidianamente l'officina; la vicinanza favorisce l'osservazione...
Intanto si lavora a snidare gli elementi adatti per formare
una squadra, e, cerca di qua, annusa di là, Rabot capita nel
fortunato incontro con "Fulmine" (Bernardo Locatelli), di Cremella,
altro "della montagna", che col compagno Panzeri Mario ("Lampo")
di Barzanò, è sceso dalla val d'Aosta dopo molti mesi di esercizio
in sabotaggi.
Fulmine e Lampo avranno parecchio da raccontare ai loro nipotini
quando saranno vecchi (ma c'è tempo): di quella volta che una
corriera zeppa di militi della Decima Mas dovette pagare il
pedaggio di un ponte in ragione di tre morti e una ventina di
feriti; oppure di quando un magazzino tedesco venne privato
di due mortai pesanti con 100 proiettili da un pugno di partigiani
audaci all'incredibile che si trasportarono a braccia, pezzo
a pezzo, il favoloso bottino fin su nei rifugi inaccessibili;
e dovettero poi renderlo, il sudatissimo tesoro, perchè i "nazi"
avevano preso 64 innocenti ostaggi fra la popolazione civile
e minacciavano di fucilarli tutti se entro una data ora i mortai
non fossero stati restituiti. E il sequestro di ben 17 quintali
di dinamite in una miniera sopra Saint Vincent, dove lo mettiamo?
Impresa di grande soddisfazione che doveva avere un seguito
anche più emozionante; infatti le 75 cassette di esplosivo furono
vuotate entro le basi del ponte di Perascritta, a Mongiove tra
Ivrea e Aosta. Ed il ponte saltò, obbediente al volere dei partigiani,
con immenso disturbo per i tedeschi che rimasero bloccati nella
valle per 45 giorni. Giornate belle, anche se si doveva andare
in Francia a prendere armi passando sotto le mitraglie pesanti
nazifasciste, anche se...
Insomma, Lampo e Fulmine avranno da mozzare il respiro ai nipotini
coi loro racconti, ed aggiungeranno: "Ricordati che il nonno
apparteneva al valorosissimo gruppo autonomo Monte Zerbione
comandato dal celebre Robert in Val d'Aosta; ma che poi è passato
in Brianza dove ha trovato da lavorare molto bene nella Brigata
Puecher, e allora...--
E allora, Fulmine offre la sua casa, ch'è un autentico eremo
invisibile fra i boschi, per i convegni di una quindicina di
partigiani; vi nasconde armi, munizioni, documenti, benzina,
vi nasconde anche, nottetempo, Rabot ch'è sprovvisto di documenti
e non può più farcela a dormire altrove. Sulla sicurezza del
luogo veglia con Fulmine suo fratello "Leone", ed il gruppo
di animosi non esita a radunarvisi per progettare colpi di mano
ed azioni propagandistiche.
Perchè la voglia di agire è grande, anche se le condizioni divengono
sempre più difficili. Ciò è dimostrato pure dal fatto che sempre
più serrata e numerosa si fa la compagine clandestina. Un nuovo
collegamento infatti, e importantissimo, si è stabilito, tramite
il rag. Graziano Oltolina del Salumificio Beretta di Barzanò,
fra Umberto Rivolta ed il
GRUPPO DELLA PORTA ("VILLANOVA") - BARZANO'
L'incontro avviene in una cornice d'eccezione: la residenza
del conte Gianfranco Della Porta nel cui bellissimo parco alcuni
ruderi rimontanti all'VIII secolo stanno a dimostrare che la
storia ha già fermato il passo su quelle zolle.
Diplomatico di carriera Gianfranco Della Porta ha ripreso sede
in Brianza dopo un lungo peregrinare per le capitali del mondo.
In seguito alla Grande Guerra, nella quale ha militato come
ufficiale di cavalleria riportandone la medaglia d'argento,
Washington e Bucarest, Berna e Madrid, Parigi e Bruxelles l'hanno
avuto ospite, causa il tirocinio consolare, assai più di Barzanò
ch'è il suo luogo natale.
Rimpatriato però dopo un soggiorno a Berlino come Ministro Consigliere
d'Ambasciata, gli avvenimenti del settembre 1943 l'hanno colto
qui tra la sua gente da poco ritrovata e che poco quindi lo
conosce.
Significativo è dunque, in tali circostanze, il fatto che nell'ora
dello smarrimento il paese -- quella parte del paese che non
intende straniarsi dagli eventi nazionali, nè subire passivamente
l'onta nazifascista -- si rivolga per aver guida e consiglio
al "castello". Atavismo di consuetudini feudali annidato in
fondo all'anima? Sta di fatto che una via maestra si spalanca
innanzi al Della Porta il quale l'imbocca senza titubanze.
Naturalmente è la strada che porta diritto all'insurrezione.
Già un'attività specialissima di protezione dei carabinieri
"disertori" si svolge in casa Della Porta in seguito a colloqui
del conte col cugino duca Marcello Visconti e col gen. Zambon:
militi fuggiaschi trovano asilo nella villa di Barzanò, parte
allogandosi nelle scuderie, parte negli stessi avanzi del castello
longobardo che deve guardare incuriosito quegli strani ospiti
(generalmente poco inclini al moto, ma che sanno dissolversi
come nebbia, facendosi assorbire dai nascondigli del parco,
in certi particolari momenti).
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BARZANO' - Parco Della Porta: Ruderi
del Castello
"L'ombra di Agilulfo, meravigliando, guardava gli strani
ospiti che di tanto in tanto si dissolvevano nei recessi
della vegetazione..."
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BARZANO' - Villa Della Porta.
"Sotto l'arco stemmato vigilavano le
sentinelle nazifasciste, e i cospiratori
passavano. Ma il 26 aprile la tracotanza incamicia bruna
e nera si sgonfiò davanti
a --quattro scamiciati --; e le armi SS si
ammucchiarono nel cortile". |
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Intanto, a fianco di questa speciale opera, sorge l'altra per
l'organizzazione di squadre locali.
Fra quanti hanno chiesto al Della Porta: -- Che cosa facciamo?
-- è l'architetto ten. Franco Longoni di Barzanò che, dopo una
puntata ai Resinelli effettuata nei giorni stessi del disastro
militare, ha preferito ritornarsene al suo paese brianzolo dove
prende a svolgere un prezioso lavoro al fianco del conte. Nel
frattempo un'altra organizzazione insurrezionale, quella dell'avv.
Grassi di Oggiono, occupandosi anch'essa di estendere la sua trama,
incarica l'arch. Longoni di assumere il comando militare della
zona di Barzanò; ne deriva col Della Porta una stretta e quanto
mai proficua collaborazione che sbocca nell'effettiva assunzione,
da parte del Longoni, del ruolo di comandante in seconda nell'organizzazione
Della Porta.
Lavoro ce n'è per tutti i volonterosi; cosicchè, quando un altro
ottimo elemento, Ermanno Terzolo, ufficiale d'aviazione che preferisce
affrontare gli enormi disagi della vita alla macchia piuttosto
che servire la "repubblica", si presenta al Della Porta offrendo
il proprio aiuto, questi non ha che presentarlo a sua volta al
gen. Zambon per ottenergli un delicato incarico: visitare le fortificazioni
tedesche del Mincio e del Po, oltre ai campi d'aviazione nel Veneto
e in Lombardia, per riferirne utilissime notizie. Ma quando il
gen. Zambon viene arrestato (e, ripresa la libertà, deve riparare
in Svizzera), il ten. Terzolo ritorna al conte Della Porta.
E' ufficiale "traditore", ha moglie e figlio: la vita clandestina
presenta durezze quasi insostenibili; il Comando dell'aeronautica
repubblicana ha richiamato i suoi effettivi. Facile sarebbe per
il Terzolo riprendere l'uniforme e con essa lo stipendio e la
tranquillità. Non si presenta. Due volte arrestato, picchiato
e affamato per diversi giorni affinchè parli circa i suoi pretesi
contatti con partigiani del Piemonte, può respingere con giuramento
l'accusa (perchè infatti in contatto coi piemontesi non è)...
E non appena possibile riprende in pieno i contatti coi partigiani
brianzoli.
Con uomini di simili tempre il lavoro è splendido. E a Barzanò
si lavora.
Una bella squadra locale si compone per merito di Peppino Besana,
un ragazzo che nella primavera del '44 s'è presentato al conte
insieme ad alcuni compagni con la solita domanda: -- Che cosa
dobbiamo fare? --
Ottenuta, dopo la prima indispensabile e inevitabile diffidenza,
la fiducia del Della Porta, ne riceve l'incarico di organizzare
elementi del luogo. Riesce con attiva opera a portare la squadra
a 22 uomini, alcuni dei quali neppure conoscono il conte. Sanno
che c'è "una persona" che comanda, ma il capo che vedono è Peppino.
E Peppino briga per quattro: gli uomini da arruolare, i carabinieri
nascosti da mantenere, la Valsassina da rifornire...
La Valsassina! campo d'azione aperto a quelli di Barzanò dal momento
in cui il gen. Zambon è stato arrestato. Dove, come mandare adesso
i ragazzi che abbisognano di rifugio o che vogliono far la montagna?
Della Porta decide di mettersi in relazione diretta con "Spartaco"
che comanda lassù tra i monti valsassinesi. Ma in che modo vincerne
la diffidenza? Da buon diplomatico il conte lavora di psicologia:
manda uno dei fidatissimi da Spartaco, con una lettera intestata
con le sue armi e firmata col suo nome; lettera in cui spiattella
apertamente la situazione. Spartaco riceve, legge, non crede ai
suoi occhi, esclama: -- Questo è pazzo! Oppure è un trucco. --
Ma poi, assunte le debite informazioni e saputo che il conte Della
Porta veramente esiste, cede di fronte a tanta... disinvoltura,
e si accorda. Tutti coloro che arriveranno nella sua zona col
motto: "Mario saluta Maria", saranno da accogliere come uomini
di quel bizzarro di conte che non vuole pseudonimi (una volta
sola, per necessità, userà quello di "Villanova").
Fra Barzanò e la Valsassina ha inizio la corvée dei rifornimenti.
Carletto Besana, il ragazzo che dovrà iscriversi fra i purissimi
dell'eroismo, Peppino Besana, Ambrogio Casiraghi, Roberto Corbetta
si sobbarcano alla non lieve e non facile fatica di portar lassù
i grossi involti di materiale indispensabile. A piedi, in bicicletta,
con mezzi di fortuna, forzando i muscoli e sfidando le spie, questi
ragazzi svolgono un'appassionata opera di coraggiosa fraternità
assicurando nello stesso tempo la possibilità di resistenza e
di combattimento di una zona alpina. Senza la pianura, la montagna
non vivrebbe: questo non è il più piccolo dei meriti della partigianeria
submontana.
E che il lavoro al piano sia serio e rischioso può dimostrarlo
un episodio fra i tanti: Peppino Besana, l'attivo organizzatore
della squadra barzanese, nel Settembre '44 è preso come sospetto,
sballottato dal carcere di Como a quello di Sesto, poi inviato
in Germania. Durante il poco allegro tragitto, a S. Martino della
Battaglia fugge tornando poi, a piedi, in Brianza. Riacquista
la libertà di circolare -- dopo esser stato rinchiuso per due
mesi -- quando Mussolini concede con forzata generosità l'amnistia. |
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