CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTA'

LA VITA PER L'ITALIA

BRIGATA G. C. PUECHER

DEL RAGGRUPPAMENTO DIVISIONI PATRIOTI ALFREDO DI DIO

Alla signorina IRENE CRIPPA, madrina del nostro gagliardetto, che con amore e passione di partigiana, ha voluto e saputo raccogliere e narrare gli episodi della cospirazione e delle gloriose giornate della liberazione, esaltando il sacrificio dei nostri puri eroi, il ringraziamento e la riconoscenza di tutti i partigiani e patrioti della Divisione Giancarlo Puecher.

IL COMANDO


PREFAZIONE

Non è avvilire la Storia conferirle basi di verità di cronaca. Soprattutto quando siano verità di vita e
di sentimento di molti. Questa Brianza ha custodito nelle sue vecchie case tante speranze -- ha difeso tanti pericoli -- ha servito tanto ideale. Ha raccolto nei terribili venti mesi, silenziosa: quando ogni ora era di minaccia, quando sembrava che, nell'incombere del suo tragico fato, il nemico di ogni speranza civile umana cristiana e il suo servo sciocco o crudele, si concentrassero col favore di strade che di fatto percorsero in ultimo confuso tentativo prima del disperato abbandono nella resa miserrima.
Ed io penso alla mia casa romita, ultima trincea dell'onore dei miei ragazzi superstiti, e il mio andare e il mio ritornare di ogni giorno (il mio spirito e il mio cuore a dividerne l'ansia) quando ogni giorno faceva temere la incursione e la raffica dei reparti persecutori. E lo sguardo ogni mattina si volgeva ad interrogare, e la sera spiava, da lontano, la tranquillità dei volti come ad averne conferma che non era passato il furore... Perchè nei mesi tormentati, la popolazione si interrogava cogli occhi -- e se talvolta l'espressione sembrava inerte -- il fatto dimostrava il silenzio fedele. Ogni provvidenza si affidava -- per essere efficace -- alla fedeltà silenziosa. E si sapeva dai giovani che essi erano pronti -- e si vedevano al lavoro dei campi, talvolta temerarî a sfidare le improvvise incursioni. E nelle case della grande tradizione -- e nelle modeste dall'urgente lavoro -- e nelle povere pur ricche di fede era tutta una rivendicazione di necessaria resistenza e di religiosa preparazione della grande ora civile. Era, insomma, la mobilitazione che si preparava allo scatto. E lo scatto si ebbe: ne sono testimonianza e consacrazione le pagine che seguono. Volò questa gioventù al pericolo "come alle braccia di arridente sposa -- e il nobil fiore di generosi a scolta -- durar ne l'armi a vigilar mostrando -- con che acceso voler di patria ascolta -- quando libero e vero è il suo dimando".
La Puecher è, comunque, inserita nella storia della insurrezione.
Ma essa deriva da un grande esempio ed è tenuta ad un particolare dovere.
Il grande esempio: il mirabile giovane che le diede il nome. Perchè Egli, giovane, sorriso da fortune, elesse il pericolo -- perchè non pericolasse con la fortuna l'onore del paese -- rimase fedele ai suoi grandi ideali -- morendo ucciso perdonò, abbracciando i suoi uccisori: vivente prova perenne che il supremo sacrificio nei veramente grandi suggerisce, nell'orrore del delitto, la pietà per gli erranti.
Il particolare dovere: vivere nella vita civile ricordando l'onore e l'onere delle grandi investiture ideali. Non attenderne i materiali vantaggi (che se verranno saranno resa giustizia -- che se non verranno non potranno nè pretendersi nè imporsi) -- difenderne tutte le luci, CHE NON SONO SPENTE DA COLPE O DA ERRORI DI SINGOLI, ma che sono affidate ai singoli perchè siano faro ad indicare anche ai lontani e raccolto lume per i raccolti dattorno, perchè il coraggio è sempre ammirevole (e in guerra riscatta e salva i pericolanti beni); è sopratutto ammirevole quando nella vita civile costruisce e ricostruisce. Ma nè costruzione nè ricostruzione sono possibili se sia babele di guerra civile...

Avv. CESARE DEGLI OCCHI.


NOTA DELL'AUTRICE

Questo non è un documentario.
Voglio dire, non è un documentario inteso a testificare dei meriti di singoli.
Se nomi si son fatti, episodi anche individuali citati, ciò è perchè non esemplificare sarebbe star nel generico e quindi nel facilmente sospetto di fantasia. Nulla invece di più veridico di queste vicende, ogniuna delle quali scrupolosamente vagliata attraverso un filtro di ineccepibili testimonianze. Ma nomi ed episodi vanno interpretati col valore di simboli dello spirito e dell'azione collettivi.
Citare però significa anche omettere. Chè, se numerose sono le fonti cui si è attinto, altre ve ne saranno del cui apporto non è stato possibile giovarsi. Molte indubbiamente, forse gravi, certo tutte involontarie, le lacune.
Valga a scusante la complessità del lavoro, ad attenuante la buona volontà. Ed a giustificazione dell'opera -- se pur ve n'è bisogno -- il desiderio che, in tempi di "campagna antipartigiana" giustizia sia resa a chi veramente ha fatto, sacrificato, perduto, per ritornare alla Patria, ch'è di tutti gli italiani, un posto dignitoso fra i popoli.

IRENE CRIPPA.


CARATTERE DELLA COSPIRAZIONE IN BRIANZA

Il partigiano che s'è dato alla vitaccia da lupi sui monti ha sofferto, è vero, il soffribile, ma s'è anche levato il gusto di fare il ribelle a viso aperto. Suo l'esilio, il gelo, l'allarme senza tregua, sua l'esasperazione dell'isolamento, suoi i salti acrobatici dei pasti, la battuta, l'imboscata, la cattura, il fantasma del martirio, l'incendio dell'ultimo tetto; ma anche sua la soddisfazione profondissima di ringhiare sul muso del nemico e vederlo impallidire e fargli assaggiare il morso dei robusti denti nella carne.
La ribellione in montagna è stata una creatura selvatica e sdegnosa che, postandosi fisicamente "sull'altra sponda", ha dichiarato all'avversario, senza possibilità di equivoci, i propri intendimenti.
Ma la ribellione in pianura, in quei territori cioè totalmente assoggettati al viver civile, sull'altra sponda s'è messa soltanto con le forze morali, continuando la sua esistenza gomito a gomito col nemico, necessariamente sorniona e maliziosa, propriamente cospirativa, mescolandosi a spioni e sgherri e facendo loro, sì, qualche sberleffo, ma col viso rivolto dall'altra parte.
In una regione come la Brianza, di facilissimo accesso, situata alle porte di Milano e fra centri infestati di forti guarnigioni nazifasciste, quali Monza, Como, Lecco e Bergamo, ricca di strade, densa di popolazione, l'attività cospirativa ha assunto caratteri di particolare difficoltà richiedendo ai suoi attori sagacia, costanza, audacia e segretezza -- requisiti indispensabili ad ogni azione clandestina di vasta portata -- sviluppate al massimo grado.
Necessità di vivere una doppia vita, l'anormale coperta della normale, necessità di incontrarsi ad ogni passo con mostrine, galloni, aquilacce e fascetti -- e senza poterli incenerire neppure con lo sguardo; al più, un'occhiata di vacua indifferenza e via stringendo i pugni, ma bene in fondo alle tasche --. necessità di subire, cittadino tra i cittadini, una legge che non si riconosce, e intanto contro la stessa legge affilare le proprie armi segrete. Intrecciato al filo dell'attività normale, tendere quello invisibile, o sperato tale, della congiura; allacciare a poco a poco una rete con faticoso e paziente lavoro di ricerca e selezione, irrobustirne le trame deboli, riannodare quelle spezzate -- che spesso alle estremità disgiunte eran rosse di sangue.
Tutto questo sotto gli occhi stessi del nemico, a tu per tu col nemico.
Quale zona più della Brianza brulicante di formazioni nazifasciste? Salivano, di pari passo con l'avanzata alleata, dall'Italia centrale e si installavano qui, vicino alla frontiera Svizzera e non lontano -- via Bergamo-Brescia - dal Brennero. SS, PS, GNR, Brigate nere, Xª Mas e simili miserabili congreghe, insediati nelle sfarzose ville care agli ozi degli antichi signori lombardi, nelle scuole, negli edifici pubblici d'ogni genere, requisiti con stupefacenti criteri di larghezza: 10 o 15 uomini dove si sarebbero messi 100 soldati del regio Esercito.
Podestà e Segretari comunali favorivano, anzi sollecitavano, l'avvento dei protettori in uniforme, perchè sentivano il pericolo partigiano e si preparavano, pur paventandolo, al momento della difesa personale.
Le calme serate rustiche erano ormai allietate da sparatorie, fatte magari contro un gelso o la luna; sparatorie leggerone eseguite per divertimento da quei militari modello, che però significavano: -- Badate bene: noi siamo ricchi di armi e munizioni! --
E i partigiani facevano tesoro di simili avvertimenti.
Quante volte un SS o un brigante nero, tornandosene senza più mitra da un giretto al lume delle stelle, non si sarà rammaricato di aver fatto un'eccessiva ostentazione di potenza bellica?
Ma intanto i presidi nazifascisti aumentavano di numero. E più denso si faceva il prodotto di spurgo dell'Italia centro-meridionale, più intensa si faceva la preparazione sotterranea del bucato definitivo.
O inverno 44-45! Se sei stato duro per il ribelle rintanato fra i ghiacci alpini, non hai lesinato le emozioni neppure a colui che tesseva la sua coraggiosa trama da dosso a dosso dei colli briantei sepolti sotto mezzo metro di candore, bellissimo a contemplarsi ma deplorevolmente atto a mettere in vista chi non desiderava fare sfoggio di se stesso.
Nè più dolce la primavera con la sua intensificata fioritura di caserme e presidi.
Momenti scabrosi per il partigiano brianzolo, questo partigiano con "comfort", beneficiario di un tetto, di un lavoro, di un regolare stato civile con tessere annonarie -- sempre non trattandosi di un renitente -- magari di un esonero militare; ma che nonostante ciò ha finito col trovarsi prima o poi nella condizione di lepre inseguita che tiene le orecchie dritte anche nel fondo della sua tana e dorme, sì, forse, ma con gli occhi aperti.
Ora d'esasperazione e anche di scoraggiamento. Ma poi l'impulso che riattizzava la fede e martellava la volontà. Si guardavano nel viso fremente: -- Be', non si fa più nulla? -- Ma certo che si fa, sei matto?
Così, era un modo di dare del pazzo a se stesso per aver dubitato.
E l'opera riprendeva, infaticabile.
Gente di ogni categoria vi ha partecipato: l'uomo di commercio accanto al sacerdote, il diplomatico insieme all'operaio, il proprietario terriero in lega col suo colono, l'intellettuale col bracciante, l'ufficiale col suo soldato -- questi entrambi alla macchia --. Rappresentanza reale di un paese che alimenta le più svariate attività, allineando le fabbriche con le ville e i campi; germinazione spontanea di questa Brianza fertile d'energie non meno che di grano e gelsi, manifestatasi con un pullulare di cellule autonome che s'affannavano -- ma copertamente e silenziosamente -- a cercarsi, per congiungersi in un tessuto di consistenza vitale.
E la popolazione intorno a guardare senza vedere. Il tormento di quelle migliaia d'occhi addosso, anche se ciechi! Ignari e indifferenti i più, superficialmente curioso il resto. -- Ma è vero che ci sono i partigiani in Brianza? -- Macchè partigiani! Dove sono? --
Eran lì tra il popolo, parte del popolo. Appunto per questo, difficile il lavoro, rischiosi i convegni. Non un posto veramente solitario. Dal campo, eccoti spuntare una testa di contadino quando meno te l'aspetti; nel bosco, benedettissime ragazze vanno a passeggio in cerca di primule; le case private? Oh Dio, occhi e orecchi dappertutto.
Un tramare disperato. Ma è riuscito: e la Brianza è stata libera dalla sozzura che ne aveva fatto il proprio ricettacolo. Libera dal pericolo imminente del bombardamento a fondo.
Duemilacinquecento apparecchi -- ha detto un ufficiale americano -- erano pronti per radere al suolo le case brianzole, perchè ognuna d'esse poteva esser divenuta un rifugio nazifascista.
Non dimentichi la Brianza: se i suoi campi verdeggiano intatti, se le sue officine sono pronte al lavoro, se le sue case sorridono ancora dalle creste dei colli o dal fondo delle conche ubertose, se le campane giocano a rincorrersi coi rintocchi placidi sera e mattina, pensi a coloro che hanno percorso le sue strade col sangue agitato dall'idea, mentre essa riposava nell'inerte attesa; coloro che hanno trepidato e disperato e sperato ancora; coloro sopratutto, i suoi figli eroi, che hanno invermigliato l'erba dei fossi e l'asfalto di quella provinciale Bergamo-Como lungo la quale s'è sgranato il rosario dell'onore partigiano indigeno.
Per loro, i morti, sappia la Brianza la breve ma intensa storia della formazione che li ha accolti nelle sue file, quella Brigata Puecher -- poi Divisione composta dalle tre Brigate Carletto Besana, Guerino Besana, Livio Colzani -- che intitolandosi a nomi di purissima gloria ha voluto significare il suo programma.
E che quel programma ha attuato -- dopo i giorni audaci della preparazione -- nell'ora del combattimento aperto, testimoniò il buon sangue sparso: 19 feriti, 35 morti.

 
 
  Giancarlo Puecher Passavalli  
     
 

GIANCARLO PUECHER
PASSAVALLI

 
 

IL PRECURSORE

GIANCARLO PUECHER

Nato a Milano il 23 Agosto 1923 da Annamaria Gianelli e dal Dott. Giorgio Puecher Passavalli di Como, ma discendente da nobile famiglia trentina, a Milano Giancarlo cresce e studia, prima al Ginnasio Parini, poi all'istituto Leone XIII dove compie due corsi liceali in un anno; sempre a Milano, diciannovenne, consegue la promozione al II anno di legge presso l'Università regia.
Robusto ed esuberante, impiega le sue eccezionali doti fisiche nell'attività sportiva, e le impiega a fondo: ciclismo, sci, alpinismo, atletica, nuoto, automobilismo, tennis, lo trovano appassionato cultore pur non riuscendo ad esaurire le sue risorse nè a soddisfare le sue aspirazioni; forse soltanto il volo potrà appagare il suo materiale e morale bisogno di ascesa. Ed eccolo, dopo essersi presentato come ufficiale volontario nell'Esercito, volontario pilota. Sottoposto all'esame fisico alla Scuola di Torino, è dichiarato perfetto.
La gioia delle ali è ormai a portata di mano, ma non si lascia cogliere. Il destino decide altrimenti.
La guerra allontana Giancarlo dalla sua città. La casa dov'è nato, in via Broletto, verrà poi rasa al suolo dal bombardamento del Ferragosto 1943.
Trapiantato in Brianza, a Lambrugo, in una villa che domina dall'alto di un poggio le verdissime ondulazioni susseguentisi fino a morire nel Pian d'Erba contro la barriera dei monti di Vallassina, qui è colto dagli avvenimenti della tarda estate.

 
 
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Irene Crippa
Renate Brianza, 6 novembre 1945
Editore originale: Stefano Pinelli - Milano
Trascrizione per Internet: Enrico Spreafico mail:sprea@libero.it