A Casargo, al Comando S.S. Interrogatorio, percosse; vogliono i nomi dei capi. Carletto tace.
A Introbio, nella "villa triste". Ancora domande, percosse. Carletto tace. Lo calano con tredici compagni in un gelido pozzo, con l'acqua ai fianchi; sulla bocca di esso sparano raffiche perchè i suppliziati si immergano di più. Gelo, orrore, sgomento del prossimo avvenire; alcuni giovinetti piangono smarriti. Carletto, con un altro valoroso, li rincuora fraterno.
Dopo quattro giorni li tolgono dal luogo orrendo. Interrogatorio. Carletto tace. Furiosi, decretano la condanna a morte. Carletto chiede di lavarsi e sbarbarsi: si prepara al viaggio. Con altri cinque è condotto al martirio. Lungo il percorso si assiepa silenziosa la popolazione di Introbio.
Stupisce, il volto sereno del ragazzo brianzolo. Ma che non rincresca di morire a quella gagliarda creatura dagli occhi così lucenti di vita?
Non gli rincresce. Al Parroco che l'ha comunicato e benedetto ha confidato: -- Ciò che mi addolora è una cosa sola, che la nostra morte abbrevierà la vita di nostra madre. -- Poi gli ha raccomandato una degna sepoltura per il cadavere di Guerino, ed ora è tranquillo, come lo era di fronte alla morte l'altro del suo sangue: assolto il compito, leggero lo spirito.
E' pronto. Ed ecco dal fondo dell'essere salire un desiderio di fresco riso: bello chiudere in letizia la vita poichè si è puri, poichè si è giovani! E un berretto sfreccia nell'aria in giocondo atto di sfida, e un grido risuona nel mozzo dialetto brianzolo: -- Chi va el prim de Barzanò! -- Qui va il primo di Barzanò: il suo paese nativo chiamato a partecipare al suo orgoglio, alla sua gloria.
Poi, limpido come acqua di fonte che riflette un'ombra senza oscurarsi, accoglie in sè l'immagine della morte.

Come Giancarlo Puecher, Carletto Besana ha lasciato una lettera: quello, al padre, un nobilissimo testamento spirituale rivelante la meditata accettazione della fine; questo, il congedo dalla madre, tracciato su di una busta rinvenuta lì per lì dal Parroco:
"Cara mamma, fatevi coraggio quando sentirete la notizia della nostra morte. Ho ricevuto i Sacramenti e muoio in pace col Signore. Mamma, non pensate al fratello Guerino perchè l'ho assistito io alla sua morte. Arrivederci in Paradiso. Figlio Carlo. Ciao".

Documenti simili a questo non si analizzano nè, quasi, si leggono; si ascoltano con l'anima. Poi si venerano in silenzio.

 
 
Lettera di Carletto Besana  
   
Lettera di Carletto Besana  
Mamma dei fratelli Besana
   

Il Congedo di Carletto Besana dalla mamma - "Documenti come questo non si leggono: si ascoltano coll'anima poi si venerano in silenzio".

 

BARZANO' - "Nella casetta rustica, la mamma custodisce le memorie di Guerino e Carletto che non torneranno".

 
 
 

LIVIO COLZANI

Anche questi è di coloro che non hanno sofferto incertezze.
Nato a Seregno il 31 Ottobre 1921, nel Settembre del 43 si trovava sotto le armi a Favria Canavese col I° Genio marconisti.
Venuto il giorno del dissolvimento, Livio non vede intorno a sè che il volto frenetico, desolato e desolante, della fuga. Senso tragico di decomposizione inarrestabile. Effettivamente qualcosa, soltanto in apparenza sano, si è sfasciato rivelando l'interno putridume. Valori fittizi son crollati, illusioni si polverizzano -- avevano la gocciolina di cattivo sapore nel fondo, come le bolle di sapone loro sorelle.
Con la bocca amara Livio si guarda intorno: tutti, tutti se ne vanno, lasciando armi, divise; chi dunque difenderà la buona causa domani?
Ha deciso: lui resta. Non abbandonerà la sua arma nè si terrà sciolto dal dovere di servire la patria. Ancora sarà soldato d'Italia, vero e legittimo milite dell'onore nazionale, se pure "gli altri" lo diranno fuori d'ogni legge.
Con lui rimangono in dieci, a costituire uno dei primissimi nuclei di resistenza nell'Italia oppressa. Nè Livio rifiuta le responsabilità, poichè si assume uffici che impegnano a fondo. Eppure a casa lo conoscono per modesto e schivo, aborrente dal mettersi in vista, persino timido; ma oggi che la carica non significa appagamento di un desiderio ambizioso -- se ambizione c'è, è quella d'esser primo al rischio -- il ragazzo l'accetta lietamente, pur conservando sul volto fine quasi una gentile aria di scusa per essersi "fatto avanti".
A casa comunque non va. E' il padre che lo raggiunge nella macchia canavese dove la vita è tanto aspra ed ansiosa ed eroica, dove il pericolo è il pane quotidiano di quel suo figliolo prode che non vuol tornare.
E anch'egli, il padre, respira l'aria forte dei ribelli.
Se aveva in fondo all'anima l'intenzione di portarselo via, il suo Livio, questo è un progetto che rimane ben chiuso laggiù; così alta, fervente, religiosa è la fede del ragazzo che davanti ad essa non si può che condividere e cedere. Il padre ritorna solo.
Inverno 43-44. Neve sotto i passi dei ribelli che stampano orme profonde; la muta fascista ha buon gioco nell'inseguire e nello stanare. Caccia grossa sui monti, fra i villaggi cari ai dipintori degli idilli alpini... I patrioti, coi segugi alle calcagna, non riposano.
6 Marzo, a Castelnuovo Nigra. Il piccolo paese alle falde del Giavino vien circondato dai moschettieri delle Alpi (repubblicani che si sono appropriati di un bel nome per coprire brutte imprese). Dentro, nascosti in una stanza, stanno bloccati due partigiani: Flavio Berrone e Livio Colzani.
I fascisti che hanno frugato, annusato, raspato senza frutto, stanno per andarsene. Sono le 17, quasi sera. I due appiattati già respirano; tra poco saranno liberi.
Invece i foschi segugi piombano su di loro. Sono guidati da una spia.
Non perdon tempo. Sulla piazza del paese, Flavio Berrone è subito messo davanti al plotone schierato. Un ultimo sguardo fra i due camerati, Flavio che si congeda, Livio che risponde: -- Coraggio. A fra poco.
Poi la scarica.
Si rivolgono al Colzani:
-- Hai visto che bella fine? Altrettanto a te se non parli. Ma se dici ciò che vogliamo, sarai libero, intendi?
Un'alzata di spalle.
--Dicci dove sono i tuoi soci. Non capisci che ti lasciamo libero? E se vorrai essere dei nostri... va là che non si sta malaccio a fare il repubblicano. Parlerai?
-- No.
Di aver dei compagni non può negare: gli hanno trovato in tasca il ruolino dei nomi; tanto più irritante quindi il rifiuto di rispondere. Lo incalzano.
Un repubblicano, certo il capo, insiste più degli altri; le sue parole di lusinga ripugnano, viscide come rettili. Livio alza fieramente il bel capo:
-- Preferisco la sorte del mio compagno.
Allora il volto vero del nemico si manifesta: abbietto.
Il repubblicano toglie il cronometro dal polso del condannato, poi ringrazia con uno schiaffo... L'anima pur tanto mite della sua vittima reagisce all'insulto vilissimo: due schiaffi contro uno; ma questi sono eroici.
Nessuna replica; il virile coraggio è qualcosa che supera la loro comprensione e li paralizza.
Però Livio sa bene ch'è finita: chiede che gli mandino un prete. Viene il parroco, ma poi i fascisti, che non amano le espansioni spirituali, lo allontanano ed egli è costretto ad assolvere e benedire da lontano...
Il lugubre apparecchio dell'esecuzione si rinnova nella piazzetta montana che ha già raccapricciato un assassinio. La popolazione assiste fremendo. Il condannato che indovina fra quelle anime semplici chi capisce e sente con lui, prega:
-- Portate un saluto speciale alla mia famiglia. E sia fatta la volontà di Dio.
Lo schianto della raffica gli risponde.

 
 
Livio Colzani
 

LIVIO COLZANI

"6 marzo '44 a Castiglion Nigra.
Lontano dalla terra nativa, e
solo, sparì silenzioso come un
eroe di leggenda".

 
 

Giancarlo Puecher, Guerino e Carletto Besana, Livio Colzani: uno studente, un salumiere, un muratore, un impiegato. Quattro posizioni sociali: felice rappresentanza di tutto il popolo nella comunione dell'eroismo.
Quattro tempre diverse: al pensoso ardore dell'uno contrapposto l'istintivo slancio dell'altro, all'impulso spavaldo la calma fermezza, al coltivato pensiero la candida semplicità. Anche qui l'accostamento è splendido e squisitamente rappresentativo.
Ed è bello, è giusto, è augurale che così sia.
Chè -- ce lo dicono i nostri martiri -- tutto il popolo sa esser presente quando la patria chiama.

 
 
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Irene Crippa
Renate Brianza, 6 novembre 1945
Editore originale: Stefano Pinelli - Milano
Trascrizione per Internet: Enrico Spreafico mail:sprea@libero.it