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Nell'autocarro partigiano i primi uomini sono caduti.
I quattro che si trovano nella cabina si sono gettati
sotto il radiatore fra lo scroscio e la pioggia dei
vetri infranti; degli altri, non possono reagire perchè
pigiati nel centro della macchina, alcuni ai bordi tentano
l'uso delle armi; fra essi Mario Valsecchi, quello stesso
che ha catturato l'automezzo destinato a condurlo alla
morte, punta, spara, poi si abbatte di schianto sulla
sua mitragliatrice.
Le raffiche succedono alle raffiche.
Immobile al centro della sarabanda infernale, l'autocarro
ferito è una tragica sagoma nera fra lingue di fiamma,
la sua sorte è segnata. I fascisti trionfano, urlano
intimando la resa.
Colui che ha la responsabilità di una trentina di vite
-- se tante sono tuttora --, il giovane ufficiale dei
patrioti è di fronte al passo più duro per un soldato;
ma superando l'angoscia, freddamente valuta le circostanze:
resistere -- giudica -- oltre che vano sarebbe colpevole;
e non esita a gridare le cocenti parole della resa.
-- Se è vero -- urlano i fascisti (e sparano) -- il
comandante si consegni. -- Pronto, il tenente balza
a terra fra le scariche. Il fuoco cessa. Ancora gridano
i fascisti: -- Avanti, in fila, per uno! Mani in alto!
Silenziosi, i patrioti scendono, mentre il loro capo
corre avanti, primo ad affrontare la furia nemica. Afferrato,
disarmato, percosso, privato di portafoglio, cinturone,
orologio, cappotto, percosso ancora, infine cacciato
a terra cogli altri, le mani sulla nuca, i mitra puntati
alla testa... Livido è l'odio dei più indegni figli
che l'Italia abbia mai generati!
Il comandante la fosca colonna -- un colonnello Petti
che forse è il famigerato seviziatore di Carpi -- si
avanza a interrogare l'ufficiale partigiano. -- Siete
in 17 prigionieri -- proclama --, cinque i morti --.
Erano in trenta. Qualcuno dunque è riuscito a fuggire?
Interrogativo per ora senza risposta.
Le domande incalzano. Degli Occhi fa credere di aver
agito di propria iniziativa, armando un camion di contadini
suoi; nessun altro è da attendere.
Ma proprio in quel momento i motori della "topolino"
di Sas e del secondo autocarro partigiano si annunciano
con un rombo ineguale...
Degli Occhi è ributtato a terra, i fascisti si mettono
in postazione. Qualche attimo di tragico silenzio sovrastato
dall'inesorabile avvicinarsi dei motori; poi due raggi
luminosi si avventano dalla curva...
Lo schianto di una raffica, e subito l'intimazione di
resa. Una pausa, quindi la risposta della vetturetta:
coi mitra. Il rombo dell'altra macchina s'è taciuto.
Attimi di folle speranza pei prigionieri: se la "topolino"
spara, se i compagni sono scesi a combattere sulla strada...
forse è la liberazione. Ma i fascisti irridono: -- La
"topolino" brucia! --
Per lunghi momenti la parola è alle armi. I prigionieri
non riescono più a distinguere il colpo amico dal nemico;
non sanno. Dove sono i compagni mancanti? Morti, fuggiti?
O stanno lavorando per liberarli? E gli altri? Sas,
Padre Marco? Si faranno uccidere tutti? I fascisti son
forti. Che fanno, gli altri che fanno?
Già, dove sono i compagni?
Sparpagliati fra i cespugli ai margini della strada,
appiattati nelle buche scavate dai tedeschi per rifugio
contraereo, acquattati nella cava, chi dietro un muricciolo,
chi sopra un rialzo, chi ventre a terra sull'erba bagnata,
i compagni sparano. Buio pesto; non si riconoscono l'un
l'altro che alla voce, puntano a caso; le bombe a mano
volano contro il nemico invisibile: uno scoppio breve,
centro? A volte un grido risponde di sì.
Alcuni, fra cui il ferito Valsecchi, sono riusciti
a scappare dal primo camion mentre il tenente si arrendeva.
-- Valsecchi verrà poi trovato cadavere sotto un ponte
--. Un altro ferito, Ezio Magni, non può camminare:
ha una palla nell'addome; un compagno, "Ceccot", si
ferma presso di lui ad assisterlo, ma anche il povero
Magni paga alla causa il tributo della vita e la paga
bene: perdonando ai nemici ed inneggiando alla libertà
della patria.
Uno c'è che non è sceso, nè per arrendersi nè per appostarsi.
Solo vivo tra i morti, Francesco Mozzanica è rimasto
sull'autocarro disertato. Ferito da una bomba a mano
che gli è scoppiata sull'elmetto, non molla la propria
arma. E' stordito, ma un pensiero domina chiaro: vendicare
i caduti.
Punta, spara, costituisce da solo un solido sbarramento
di fuoco. Intanto i compagni che seguono avranno tempo
per prepararsi alla difesa. Preso da una raffica, colpito
al polmone e al braccio sinistro, ancora punta, spara.
Col sangue fugge dalle piaghe la vita... Non importa;
punta, spara. Poi s'abbatte esausto fra i cadaveri.
Dopo, quasi incosciente, si trova circondato da fascisti
che lo esaminano incerti se sia morto o vivo. Ad ogni
buon conto lo colpiscono ripetutamente coi calci dei
moschetti. Un'ausiliaria infiora di femminile gentilezza
la cavalleresca azione dei colleghi e tira una pedata
al corpo inerte: -- Un partigiano si prende a calci
anche morto! --
Lo lasciano infine; quanto tempo passa? Tutto ora è
silenzio. No, una voce, due voci!... Compagni? Ma non
sbaglia: questo è Panzeri che parla! Chiama: -- Venite,
aiuto! -- Ancora raffiche. Sono sempre lì dunque i maledetti
fascisti! Ah!, i compagni non potranno salvarlo!
Ma Panzeri ed il suo interlocutore, Arturo De Capitani,
non sono dello stesso parere. Hanno udito l'invocazione
e si buttano giù dalla sommità della cava dov'erano
riparati. Una, due raffiche: De Capitani cade folgorato.
Mario Panzeri, il bravo "Lampo" dai cento sabotaggi
in Val d'Aosta, non si ferma, è sulla strada, balza
sul camion. Raffica. Salta giù. Ancora un balzo e una
raffica: giù! Alla terza, perdinci, vada come vada,
non scenderà! E' sull'autocarro. Un attimo, ruzzola
giù col ferito, se lo carica sulle spalle. Quelli sparano,
ma Lampo tiene fede al suo pseudonimo, guizza via. Lo
prendono di mira; ripara il ferito, spara con rabbia,
colpisce, un nemico s'abbatte. C'è un varco; ancora
il ferito sulle spalle e via a testa avanti come un
ariete. Lì vicino è un caffè; riesce a farsi aprire,
è dentro. Salvi!
Più tardi, faranno venire Padre Marco per l'assistenza
al ferito ch'è in istato gravissimo. Panzeri però sta
benone e torna fuori a ispezionare il teatro del suo
dramma. Riverso in terra scorge il fascista che tiene
ancora il mitra tra le mani rigide; raccoglie l'arma,
vi nota 16 colpi residui e una scritta: "Duce, tu sei
un vero Dio. Per te darò la vita".
Immota e fredda, la vittima di una fosca illusione sembra
chiedere al cielo un tragico "perchè" senza risposta.
Poco lontano giace il cadavere di Arturo De Capitani,
il patriota schiantato in un magnifico slancio di fraternità.
Due vittime; ma il "perchè" del ribelle ha una risposta
ch'è luce.
Intanto gli uomini della "topolino", Sas, Padre Marco,
Ratti e l'autista, avvertiti gli spari e presi nelle
raffiche, hanno anch'essi abbandonato la vettura ormai
inservibile. La situazione più penosa è quella di Angelo
Ratti, il mutilato di Russia, che nel tentativo di saltare
oltre un muro perde le scarpe ortopediche. Quasi immobilizzato
tenta tuttavia di sparare, ma la carabina fa cilecca.
Si trascina allora per i campi e riesce a riparare in
un fosso dove altri patrioti lo troveranno poi portandolo
in salvo (gli arriveranno anche le scarpe, ma col sughero
sfasciato dall'acqua: destino che dovesse perderle ad
ogni costo!).
Pure gli uomini del secondo camion sono scesi dopo aver
evitato per miracolo una scarica passata alta. la campagna
è ora brulicante di ombre. Buio, pioggia, spari. Ogni
uomo è solo con se stesso, diffidente del vicino: amico,
nemico? Persino i gelsi danno il brivido, simulando
fantasmi in agguato.
Quasi all'improvviso tutto si fa silenzio. Partiti i
fascisti? Sembra di sì. Qualcuno di loro ha detto: --
Li abbiamo fatti fuori tutti, possiamo andare. -- E
se anche non ha espresso la verità, la quiete repentinamente
calata sulla terra è sinistra. Che c'è nei fossi, tra
i cespugli, sulla strada? Quanti i morti?
Andati, i fascisti. Ma con loro son partiti anche
gli ostaggi, e in quali condizioni! Legati sul rimorchio
del camion ch'è in testa alla colonna, "bene in vista"
sopra gli zaini ammucchiati e "ben diritti", chè altrimenti
"li sistemeranno". I prigionieri sanno che ci son patrioti
in appostamento al blocco di Bulciago, sanno che là
è una mitragliera da 20 ed altre armi pronte ad accogliere
i nemici. Ma davanti ai nemici "son loro", i partigiani
fratelli di coloro che punteranno ignari le bocche da
fuoco!...
Il calvario è aggravato dagli interrogatori: chi erano
quelli venuti con le macchine? Di dove venivano? Dove
andavano? Ci sono altri lungo la strada? Quanti? Dove?
Che armi?
Il sottotenente Degli Occhi (e con lui qualche altro
sporadicamente richiesto), "non sa". E' autonomo, può
soltanto "supporre" che ci siano quà e là degli insorti.
Naturalmente non lo credono, e picchiano; infine si
consolano con una conclusione allegra: -- Tanto peggio
se non sai; tanto se ci attaccano, i primi che muoiono
siete voi qui davanti. --
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LUIGI BONACINA
di anni 22
Nato a Nibionno
Morto a Rovagnate
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GIUSEPPE COLOMBO
di anni 29
Nato a Costamasnaga
Morto a Bulciago
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ANGELO CONTI
di anni 22
Nato a Nibionno
Morto a Bulciago
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LUIGI CONTI
di anni 41
Nato a Monguzzo
Morto a Nibionno
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MARIO CONTI
di anni 29
Nato a Molteno
Morto a Rovagnate
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FIORENZO CRIPPA
di anni 19
Nato a Cremella
Morto a Rovagnate
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ARTURO DE
CAPITANI
di anni 24
Nato a Calco
Morto a Rovagnate
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ATTILIO DONGHI
di anni 21
Nato a Cassago
Morto a Bulciago
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